Così nasce una famiglia

Sono in undici in famiglia, padre, madre e nove figli. Famiglia d’un tempo? Semplicemente famiglia cattolica e come tale al centro della vita domestica c’è Dio e le sue eterne leggi. Sono i Donna d’Oldenico di Torino. Oggi si viene a conoscenza del loro stile di vita grazie al libro del padre, il medico Giovanni, che ha deciso di scrivere diciotto lettere per parlare di educazione ad uno dei suoi figli, che sta per sposarsi; il titolo è, infatti, Lettere a un figlio sull’educazione (La Fontana di Siloe). Come ha reagito a questo testo la famiglia? Risponde Donna d’Oldenico: «Moglie e figli non hanno “reagito”: hanno “agito”! In queste Lettere io ho messo la penna, per scrivere il contenuto di una vita e di un’esperienza, che sono di tutta la famiglia. Potrei dire che Carmìna e i nostri figli non sono attori, ma autori di queste Lettere; anche la redazione è stata condivisa: man mano che il testo procedeva, leggevamo e correggevamo insieme. Stimolo a scrivere, a parte le richieste di documentare quanto si vive in casa nostra, arrivate da persone per me significative, è stato anche il fatto di avere figli che crescono e si apprestano a metter su famiglia».

Una famiglia controcorrente, in un Occidente che ha perso il senso, il valore, la forza della famiglia. Le contemporanee linee della psicanalisi hanno portato ad affermare che la figura paterna è evaporata e nelle nostre società non esiste più un riferimento di autorità del padre perché, in nome del relativismo, la “dea libertà” rende ognuno obbediente di se stesso, idolatra di se stesso e della propria volontà. Ecco, invece, che Giovanni Donna d’Oldenico dimostra come può ancora esistere la famiglia tradizionale, ovvero quella di sempre, quella pensata e creata da Dio, dove i genitori si augurano per i propri figli non esistenze da divi, ma da santi.

«Il santo conosce ciò che è grande e durevole: la gloria di Dio; la desidera, la domanda e ne partecipa; il divo persegue traballando la gloria propria, patinata e sdrucciolevole: una ricerca che spesso si accompagna alla grettezza. […] Dato che non intendi adeguarti a questa mondanità friabile, che vomita divi, aspiranti, riusciti, decotti o falliti che siano, evita di trattare tuo figlio come fosse il centro del cosmo, un sole intorno a cui tutto orbita; e vieta con determinazione a chiunque di farlo. Lascia al centro Cristo; sai bene che funziona. Lo stesso, per inciso, vale tra marito e moglie: non è dall’uno che dipende la felicità dell’altro, ma quella di tutti e due da Cristo».

Piero, già medico, Anna, Carlotta, Filippo, Matteo, Giuseppe, Tommaso, Agnese, Maddalena, che frequenta la seconda elementare, sono i figli. E uno di loro è seminarista, perché in famiglie di tale caratura è naturale e soprannaturale insieme che fioriscano le vocazioni.

Possono un padre ed una madre di oggi, oltre all’obbedienza, consigliare la povertà e la castità? In casa Donna d’Oldenico ciò accade e i figli ne sono grati e vivono sereni, in pace con se stessi e con il prossimo. Anche se non si abbraccia la professione religiosa, questi tre stili di vita, tutti vissuti dal povero, casto, obbediente Gesù, sono ottimi mezzi per vivere meglio: dominarsi con la temperanza (nel possesso di cose e/o di persone), obbedendo alle leggi di Dio. Così, obbedendo al diritto divino, tutti vengono rispettati e nel dovere ottemperato ognuno riscontra il proprio diritto onorato.

Divorziati risposati (adulteri e concubini)? Unioni omosessuali? Il problema non è per la Chiesa quello di permettere a questi peccatori di farli continuare a peccare in maniera socialmente e mediaticamente giustificata, ma di risolvere il loro peccato alla radice, offrendo loro orizzonti spirituali sani e puliti, colmi di bontà e beltà, grandiosi rispetto a quelli nefasti che vanno contro la volontà del Signore. Tutto questo presuppone ragionevolezza e saggezza da parte dei genitori, i quali sono chiamati, per primi, a dare il buon esempio. «Già. Perché l’esempio può educare, ma solo a condizione: che in esso sia evidente anche la fallibilità, che è fragilità redenta, lotta contro limiti e peccati […] ma più di tutto, conta che in te abiti Cristo, l’unico in grado di educare per davvero, cioè di tirar fuori quello che c’è di buono dentro ciascuno: può farlo solo Lui, perché solo Lui conosce fino in fondo l’uomo e ogni uomo. Allora sì che l’esempio di un genitore può valere: quando palesa al figlio il proprio essere salvato da Cristo; quando, cercando di vivere la grazia che Dio dona, consente a Cristo di trapassare, come per osmosi, da sé al figlio […] È Cristo che rende un padre adeguato al compito che ogni giorno gli affida. L’esempio, se non è questo, è la superbia compiaciuta del fariseo, pago del suo sentirsi a posto in coscienza, avendo rispettato ogni prescrizione: una piccineria la cui persistenza certifica, di fatto, la propria irredimibilità. Guai!».

L’autore ci ha spiegato che l’attacco al sacramento del matrimonio, «segno e strumento dell’unione tra Cristo e la Chiesa», nasce dal tentativo diabolico di scollare l’uomo dal suo Creatore e, dunque, da se stesso. Alla domanda «Quale valore può assumere la Fede cattolica nel tentativo di arginare una cultura divorzista e abortista, quindi ferocemente antifamiliare?» egli risponde che assume un «valore simbolico: tenere unito l’uomo al significato di sé che è Dio; mostrare che fedeltà, indissolubilità e fecondità, sono costitutive dell’amore e che la difficoltà a viverne, non corrisponde al cuore dell’uomo, essendo frutto di quel peccato la cui redenzione Cristo, tramite la Chiesa, ha reso possibile: la carità donata. Soprattutto, però, la fede dà la speranza, frutto della quale è anche quella certezza raccomandata da Rosmini: “godere una perfetta tranquillità e conservare un gaudio pieno, riposando interamente nel Signore, per quanto gli avvenimenti possano parere contrari al bene della Chiesa”. Una serenità baldanzosa, che considera il turbamento una tentazione e che si radica nella promessa di Gesù, quella che quotidianamente “L’Osservatore Romano” richiama nella sua testata: “Portae inferi non praevalebunt”. Una serenità che è segno della fede e di essa è anche misura: “Modicae fidei, quare dubitasti?”».

Cristina Siccardi

Fonte: Il Timone, gennaio 2016

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