Il Diario di mons. Canovai

passione-per-cristoEra il 7 maggio 1940 quando don Giuseppe Canovai (1904-1942), sacerdote romano che diventerà diplomatico della Santa Sede, scriveva: «Mio Dio voglio essere Sacerdote, in tutto, per tutto, in ogni attimo della vita, in ogni momento della mia giornata, in ogni atteggiamento del mio spirito… voglio che tutto sia Sacerdozio».

La chiamata sacerdotale è una grazia molto speciale perché segno di predilezione divina, ma quando il sacerdote risponde nei termini sopra citati la grazia è doppia, infatti Monsignor Canovai perseguì la santità sacerdotale in modo determinato e costante. L’attenzione ecclesiastica si sta focalizzando su di lui. Il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, propone con vigore questa straordinaria figura, additandola come esempio sia di presbitero che di diplomatico: «Che cosa hanno in comune due figure tra loro diverse e distanti come il sacerdote ed il diplomatico? La risposta, a prima vista complessa, è in realtà più semplice di quanto si immagini. Entrambi ricevono una missione. Entrambi sono inviati. Il diplomatico è mandato dal proprio governo a trasmettere un messaggio che non è suo. Il sacerdote è inviato dalla Chiesa per annunziare la buona novella del Signore. Entrambi sono la voce di qualcun altro. Per svolgere bene un compito così delicato, tutti e due dovranno sapersi adattare al mondo in cui vivono, ben sapendo però che la loro Patria è un’altra».

Questo il gran segreto: se la Patria è un’altra il cuore è in essa, come spiega il Vangelo: «Dov’è il tuo tesoro, lì è il tuo cuore» (Mt 6, 21). Il brano del Cardinale Parolin è tratto dalla prefazione dell’opera Passione per Cristo. Diario di Mons. Giuseppe Canovai, edito in questi giorni da Cantagalli (elegante cofanetto che raccoglie tre volumi ‒ dal settembre 1919 al novembre 1942, € 60.00).

Monsignor Canovai ha avuto una vita breve (38 anni) ed intensa, intensa soprattutto nella sua ricca spiritualità e nella sua ferma volontà di vivere al meglio le virtù teologali e cardinali. Quale la sua meta? Essenzialmente una: «guadagnare Cristo» (Fil 3, 8). Fortemente e ardentemente profondi i pensieri dipanati e sbriciolati in questo Diario: è il cammino di un sacerdote in reale comunione con Dio perché vuole la Trinità con tutte le sue forze e perché è rimasto puro: insegue continuamente il candore dell’innocenza: «(…) tu doni al tuo amico la comunione dei tuoi beni e effondi nell’amore con cui si unifica a te i meriti della tua redenzione. Per questo Signore fammi nella preghiera fanciullo, dammi Signore di pregare in unione di amore con te, in comunione di amicizia con te: senza nominarti o anche quando non ti invoco espressamente che tutto sia nella comunione con te, come sentivo uno il mio cuore con la mamma mia quando pregavo con lei» (Vol. 3, p. 1523).

Oggi molti preti sono “adulti” e non cercano la comunione con Dio nel silenzio e nella preghiera, ma nei problemi della gente, più o meno angosciata, più o meno povera, con il risultato pratico che, non coltivando l’unione con il Signore, rendono arida la loro missione, non riuscendo ad abbeverare gli spiriti disidratati del nostro tempo. Monsignor Canovai si sentiva realmente alter Christus e lo dimostrava, come si può evincere da questo Diario, dove ogni parola è solfeggiata sul metronomo della propria anima.

Scrive nell’introduzione il curatore del Diario, Monsignor Florian Kolfhaus: «Essere sacerdote, essere un santo sacerdote, è stata la grande passione di Mons. Giuseppe Canovai», sul quale nel 2001 si è chiuso a Roma il processo diocesano dell’iter riguardante la sua causa di beatificazione ed ora il suo dossier è al vaglio della Congregazione per le Cause dei Santi. Monsignor Canovai dà ampia dimostrazione che il sacerdote è persona pienamente completa se votata a desiderare il possesso del Cielo e se ambisce al Tutto, ovvero a Cristo, fonte e cuore adorabili.

La sua convinzione è fiume mistico che scorre con irruenza travolgente: «Vorrei che tutto il mio sangue si facesse espressione del mio amore come tu lo desti tutto sulla Croce in testimonianza all’Amore» (Vol. 1, p. 12); «Io ti voglio Signore (…) tutto, tutto per me (…) ti voglio di una volontà assoluta, violenta, o preda celeste promessa ai violenti!» (Vol. 1, p. 12), «(…) in quell’istante sublime in cui il nostro cuore si unisce al suo, e siamo come Giovanni appoggiati al suo petto, sia sublime la nostra preghiera, dimentichi del mondo, della terra, della nostra vita quotidiana con tutte le sue piccole noie e i suoi piccoli bisogni, le sue piccole ambizioni le sue miserie, tutto sparisca in quell’istante sublime» (Vol. 1, p. 13).

Laureato in Filosofia, Giurisprudenza, Teologia e Diritto Canonico, don Giuseppe Canovai non ha mai pianificato la sua vita, si è lasciato condurre dalla volontà di Dio. Lavora in Vaticano, ma allo stesso tempo si dedica all’apostolato, nel 1937 viene nominato Assistente diocesano della Fuci (Federazione universitari cattolici italiani) e intanto ispira la Professoressa Tommasina Alfieri per la fondazione di un’opera apostolica e secolare, l’Opera Familia Christi, votata alla santificazione dei laici nel mondo e a coloro che sono intenzionati a consacrarsi al Signore nella vita religiosa, poi costituisce dentro questa realtà una famiglia sacerdotale. Nel maggio del 1939 diventa diplomatico della Santa Sede a Buenos Aires, prestando servizio presso la Nunziatura apostolica.

Egli fu «come il cardinale Merry del Val, a cui può forse essere comparato, un diplomatico pienamente nel mondo e, allo stesso tempo, completamente staccato dalla mondanità. Il suo tratto dominante fu la bonomia: la battuta scherzosa, il tono scanzonato, l’allegria contagiosa. Non si tratta solo del suo temperamento naturale, ma della gioia soprannaturale di chi si sente chiamato a servire Cristo e la Chiesa» (Vol. 1, p. 16).

Tuttavia questa affabilità che conquista molti convive con una sofferta tristezza interiore a causa della consapevolezza dei suoi limiti umani. Ecco che vive con passione la Passione di Cristo: conosce la Croce da vicino a motivo delle sofferenze spirituali e fisiche che lo aiutano ad essere più unito al Figlio di Dio. Uniche sue consolazioni sono la pietà eucaristica e la devozione a Maria Vergine. Inscindibile dalla sua vita è il suo sconfinato amore per il Santo Sacrificio: vive la Santa Messa non come un banchetto, ma nel significato autentico, come Calvario, come Passione, come Crocifissione e come Redenzione del Salvatore.

Per Monsignor Canovai non è allora strano invocare il Signore per chiedergli non petali di rose, ma spine, ossia «i roventi brucianti dell’amor tuo e di sotto le spine germini una spiga a me invisibile, perché bello è non vedere e non sapere, non conoscere e non pensare frutto di fatica nostra» (Vol. 1, p. 17). Fidarsi umilmente, ciecamente di Dio e abbandonarsi alla Sua amorevole volontà, questo a lui bastò.

Cristina Siccardi

Fonte: Corrispondenza Romana

Torna in alto