Il realismo dei Padri della Chiesa sul matrimonio

Marco Alessandro Giusta (classe 1981), già presidente dell’Arcigay di Torino, chiamato dal sindaco Chiara Appendino a ricoprire la carica di Assessore alle Famiglie (non più Famiglia), è cresciuto a Boves (Cuneo), all’ombra della parrocchia di Mellana, dove ha poi svolto servizio come animatore dell’oratorio e dei campeggi.

Che cosa gli avranno insegnato in quell’oratorio? Già da ragazzo si è interessato ai “diritti” degli omosessuali, fondando il gruppo Arcigay Figli della Luna di Cuneo e una volta arrivato a Torino, dove si è laureato in Psicologia, è entrato nel coordinamento Pride, fino a entrare nella segreteria nazionale dell’Arcigay. Un curriculum iniziato in oratorio… un oratorio come sono tanti oggi, ben diversi da quelli di San Filippo Neri o di San Giovanni Bosco, dove si insegnavano le certezze della Verità di Gesù Cristo Nostro Signore e gli obiettivi puntavano a fare di quei giovani degli onesti cittadini e dei buoni cristiani, forti di fronte alle debolezze.

«(…) Dalla nostra consapevolezza del peso delle circostanze attenuanti – psicologiche, storiche e anche biologiche – ne segue che “senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno” (…). Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione. Ma credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità», così sta scritto nell’Amoris laetitia (Cap. 8, § 308). In questa Esortazione apostolica è palese la rassegnazione di fronte alle fragilità, che altro non sono che i peccati.

La Chiesa oggi è succube della violazione dei principi divini, della trasgressione, del peccato mortale e non palesa forza per contrastarlo, tanto da arrivare a sostenere la possibilità che esistano casi particolari dove sia necessario il discernimento personale e pastorale (Cfr. Cap. 8, § 300) dei sacerdoti di fronte all’«innumerevole varietà di situazioni concrete»: la pluralità dei disagi e malesseri matrimoniali che portano al divorzio e la pluralità di persone divorziate e risposate porta l’attuale magistero pontificio ad affermare la possibilità, per alcuni, di potersi accostare alla Santa Comunione. Sono pertanto previste delle «eccezioni» che devono essere valutate con «serietà» per evitare il «rischio che un determinato discernimento porti a pensare che la Chiesa sostenga una doppia morale» (ibidem).

Di fragilità in fragilità la nostra civiltà, passata attraverso la rivoluzione culturale del Sessantotto, il pensiero comunista, il pastorale Concilio Vaticano II, l’ideologia radicale, non è più cristiana, diventando fiacca e deforme; priva di coraggio e di difese perché priva di identità. Sulla solidità della famiglia naturale si gioca la partita della sopravvivenza dell’Europa in quanto tale, latrice di valori inestimabili di vita, di verità, di rispetto, di tolleranza, di bellezza, di carità, di reale libertà, che soltanto il Vangelo può portare.

Che cosa dicevano i Padri della Chiesa nei confronti del matrimonio? Clemente Alessandrino dichiarava: «Il matrimonio degli altri (dei pagani. Oggi sono legalizzate le cosiddette “unioni civiliˮ) trova la sua concordia nel godimento del piacere; invece, il matrimonio di quelli che tendono alla sapienza porta alla concordia secondo il Logos, cioè la ragione: che consente alle donne di adornarsi non esteriormente, ma con la virtù; che impone ai mariti di non usare le mogli come fossero amanti, avendo cioè per unico scopo di dominarne il corpo, ma che il matrimonio serva loro quale aiuto durante tutta la vita e ottimo mezzo per vivere nell’onestà.. (…) Bisogna dunque escludere dal matrimonio ogni comportamento sordido e vituperevole, perché non si dica, a nostra vergogna, che l’unione degli animali irragionevoli è più consona alla natura che l’unione umana… Si deve dunque conservare puro il matrimonio, come un’immagine sacra, da tutto ciò che potrebbe macchiarlo. Alziamoci dal sonno con il Signore e rechiamoci al riposo ringraziandolo e pregandolo. “Sia quando ti abbandoni al sonno, sia quando sorge l’alma luce”, chiamiamo Dio a testimone di tutta la nostra vita, possedendo nell’anima la vera pietà e mostrando anche nel corpo il dominio di noi. Piace veramente a Dio chi prima nelle parole e poi nelle opere sa essere modesto, mentre i discorsi turpi sono la via verso la spudoratezza, che si conclude nell’agire indegno. Che poi la Scrittura consigli di sposarsi e non permetta mai di abbandonare il proprio coniuge, lo mostra il suo espresso comando (…) Ritiene poi adulterio sposarsi ad uno dei due separati mentre l’altro è vivo» (Stromata, 2, 140-146).

A seconda delle scelte che si fanno durante l’esistenza, la persona si pone davanti o alla vita eterna o alla morte eterna, la prima è il sommo bene, la seconda è il sommo male. Vivere al cospetto di Dio significa vive in stato di grazia, cercando ogni giorno di combattere ciò che tiene l’anima lontana dal Signore. «Ciò che è esterno non è in te causa di peccato: con l’interno devi sostenere battaglia», afferma Isacco di Antiochia nel Carme sulla penitenza. I Padri della Chiesa come il magistero petrino hanno sempre aiutato e sostenuto i credenti in Cristo nel combattere il peggior nemico dell’uomo, il peccato. San Giovanni Crisostomo, per esempio, sostiene che occorre correggere la smodata passione dell’anima, perché l’anima è più forte del corpo: «(…) qualora l’anima volesse mantenere magro il corpo, avrebbe tutto il potere di farlo. Tu, invece, ti comporti come se qualcuno, vedendo un altro accendere un fuoco e gettarvi la legna e la casa incendiarsi, tralasciato del tutto colui che abbia provocato l’incendio, accusasse la fiamma che si leva in alto, dopo aver bruciato molta legna. La colpa, invece, non è del fuoco, ma di chi lo ha acceso. Quest’ultimo, infatti, ci è stato dato per preparare i cibi, per fornire la luce e per altri analoghi servizi, non per incendiare un edificio. Allo stesso modo la concupiscenza ci è stata data per garantire la generazione dei figli e la conservazione della vita, non per l’adulterio, il libertinaggio e le dissolutezze; (…) L’adulterio, infatti, non dipende dall’appetito naturale, ma da un oltraggio contro natura» (Commento alla lettera ai Galati, 5, 3-4).

Comprendere la realtà dell’uomo non è difficile per il credente. La corruzione dovuta al peccato originale deve portare l’anima ad essere vigile e attenta per difendersi sia dal mondo, sia dalle ideologie, sia dalle tentazioni. Difficile è quando i pastori, nel considerare i perenni e immutabili problemi dell’anima, non offrono più armi per combatterli e vincerli, ma distribuiscono stucchevole e ingannevole permissivismo, una mendace misericordia contraria alla Tradizione della Chiesa.

Sant’Ambrogio era un realista e in qualità di Pastore era guida sicura per il suo gregge, sapendo con cura proteggere e recuperare chi si smarriva. La sua parola si dipanava sul pentagramma degli insegnamenti biblici ed evangelici, dando il giusto peso e il giusto valore all’anima, consegnando un’alta responsabilità ai fedeli. «Riconosci te stessa, o anima magnifica: tu sei l’immagine di Dio! Riconosci te stesso, o uomo: tu sei la gloria di Dio! Comprendi in che modo tu sei la sua gloria. Dice il profeta: Troppo meravigliosa è la tua sapienza per me (Sal 138, 6), (…) Perciò riconosci te stesso, o uomo: cioè, come sei grande, ebada a te stessoˮ, che tu non abbia a cadere inavvertitamente nella rete del diavolo, diventando preda dei suoi inganni! Che tu non cada improvvisamente nelle fauci di quel tetro leone che ruggisce e si aggira cercando chi divorare (1 Pt 5, 8).

“Bada a te stesso”, perché tu possa notare con precisione cosa in te entra e cosa da te esce! Non al cibo io penso (…) ai pensieri, io penso, alle parole. Non penetri in te la brama del talamo altrui; non si insinui nel tuo spirito (…) I tuoi discorsi non intessino la rete della seduzione, non tenda scaltri tranelli al prossimo, non lo infanghi con lo scherno e il motteggio. Dio ti ha creato per la caccia, non per la rapina (…) Cacciatore non di misfatti, ma di redenzione; cacciatore non di colpa, ma di grazia. Tu sei un pescatore di Cristo, a cui è rivolta la parola: D’ora in poi sarai pescatore di uomini (Lc 5, 10). Getta dunque la tua rete: usa dunque dei tuoi occhi, delle tue parole perché nessuno resti schiacciato nell’acqua, ma tu lo possa trarre a te. “Bada a te stessoˮ. Tienti saldo, per non cadere; corri, per raggiungere il premio; combatti per ottenere la vittoria decisiva (…) Tu sei un sodato: spia con attenzione il nemico, che non ti assalga di notte (…) E se tuttavia resti ferito, bada a te stesso!, corri dal medico, cerca subito la medicina della penitenza. (…) Venga a visitarti il buon medico dell’anima, la parola di Dio (…) “bada a te stesso” perché la parola, che sta nascosta nel tuo cuore, non si tramuti in perversione: sarebbe allora come un sottile veleno che cela in sé contagio di morte. “Bada a te stesso”, perché tu non dimentichi Dio che ti ha creato, e perché tu non abbia ricevuto inutilmente il suo nome» (Esamerone, 6, 50).

Se Marco Alessandro Giusta avesse udito nell’oratorio della parrocchia di Mellana gli insegnamenti di Sant’Ambrogio, e dunque la dottrina sapiente della Chiesa sulla cura misericordiosa della propria anima e del proprio corpo, avrebbe intrapreso ugualmente il suo e altrui lesivo percorso anticristiano?

Cristina Siccardi

Fonte: Corrispondenza Romana

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