La famiglia nei Padri della Chiesa

La famiglia nei Padri della Chiesa

Bologna – 29 novembre 2014

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Lo spirito ribelle e rivoluzionario insito nell’uomo ha preso, nella cultura postmoderna dell’Occidente, il sopravvento. Quelli che la Chiesa definisce tentazioni e vizi sono divenuti “diritti” e la dignità della persona non è più rintracciabile nella sua ontologica origine di creatura di Dio, bensì nell’espressione totale della sua umanità, compresa quella istintuale, sviluppando in tal modo pensieri e azioni che vanno contro la sua natura, costituita da Dio a Sua immagine e somiglianza, dunque fatta per l’armonia, l’equilibrio, l’autodisciplina. Dando retta al pensiero, alle filosofie e teologie slegate dalla Tradizione della Chiesa, anche molti uomini di Chiesa sono rimasti affascinati dalle presunte libertà promesse dalla cultura moderna e postmoderna, le quali conducono all’errore le anime e la ragione.

L’individuo si erge a giudice di se stesso e decide il proprio destino, escludendo, benché si dichiari «credente», non solo i precetti legati alla Fede, ma anche il cosiddetto «buon senso» e gettando i propri doveri alle ortiche e fra questi doveri anche quelli familiari. Gli impegni presi vengono calpestati per seguire la logica non della rettitudine, dell’affidabilità e della fedeltà della parola data a Dio e agli uomini (il matrimonio in chiesa è un sacramento), ma per seguire ambizioni squilibrate presenti ed emozioni momentanee.

Così, concetti e principi non solo cristiani, ma naturali, che qualche tempo fa venivano dati per scontati, oggi sono stravolti e nulla può essere più dato per scontato. In tal modo si è costretti a riprendere ciò che i maestri antichi avevano già definito ed insegnato, rifacendosi alle disposizioni delle Sacre Scritture e ai pronunciamenti di Santa Romana Chiesa. Si è costretti a rifare i passi già compiuti da chi ci ha preceduto perché la civiltà è ripiombata nel paganesimo più cupo e più inquietante.

Nulla c’è da rifare, ma molto da restaurare e per agire in questo senso occorre riprendere la Tradizione, nella quale è possibile trovare tutte le risposte necessarie, anche alle impetuose argomentazioni scientifiche e/o sociologiche alle quali si rifanno quei teologi che si sono piegati alle esigenze di una cultura non più timorata di Dio, ma invasata di se stessa, ossessionata com’è dalle passioni, dagli egoismi, dagli edonimismi, ossessionata dalla materia: tutti elementi questi che, da sempre, dichiarano guerra sfrontata alla famiglia. Ma una società dove la famiglia è colpita e si autodistrugge, è una società destinata sia ad esaurirsi che ad implodere.

Il relativismo radicale etico-filosofico ha fatto crollare l’idea di una verità oggettiva sull’uomo e, dunque, sul matrimonio e la famiglia. La stessa differenza fra i sessi, sostanziale all’aspetto biologico dell’uomo e della donna, non si basa sulla natura, ma si considera un semplice prodotto culturale, che ciascuno può variare secondo le proprie concezioni e vedute. La conseguenza è inevitabile: si nega e si distrugge la stessa esistenza dell’istituzione matrimoniale e della famiglia. Così le uniche verità sarebbero quelle provenienti dalle maggioranze parlamentari… e ciò vale anche e purtroppo per coloro che si definiscono cattolici e per i prelati, i vescovi e finanche i cardinali; pensiamo alle ultime prese di posizione del Sinodo straordinario sulla famiglia che si è tenuto lo scorso ottobre e, in particolare, alle teorie del Cardinale Kasper.

Tuttavia il Libro Sacro della Genesi è chiarissimo e non è soggetto a soggettivismi: Dio, connubio di Onniscienza e di Amore, ha creato l’uomo e la donna distinti e complementari fra di loro, dando ad essi il compito di generare figli nel vincolo indissolubile del matrimonio. I testi che narrano la creazione dell’uomo, evidenziano che la coppia formata da un uomo e una donna è, secondo il disegno di Dio, la prima espressione della comunione di persone, per cui Eva è creata come colei che, nella sua alterità, completa Adamo (cf. Gen 2,18). Allo stesso tempo, entrambi hanno la missione procreatrice che li rende collaboratori del Creatore (cf. Gen. 1,28).

Questa verità dell’uomo e del matrimonio è nota anche alla retta ragione umana. Di fatto, tutte le culture hanno ravvisato nei loro costumi e nelle loro leggi che il matrimonio consiste soltanto nella comunione dell’uomo e della donna, sebbene, a volte, ammettano la poligamia o la poliginia.

San Paolo con la sua lettera ai Romani, parlando energicamente e con grande vigore della situazione del paganesimo nella sua epoca e del disordine morale in cui era caduto l’uomo per non aver riconosciuto nella vita il Dio che aveva conosciuto con la ragione (cf. Rm 1,18-32), continua a parlare alla nostra civiltà neopagana. Le sue parole furono il pentagramma sul quale scriveranno i Padri e Dottori della Chiesa:

«Dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi, e di rettili.

Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen […] Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami […] li ha abbandonati in balìa d’una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno […] E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa»[1].

È chiaro che l’ignoranza sulle verità di Dio conduce all’offuscamento delle verità sull’uomo. I Padri della Chiesa offrono una dottrina abbondante sulle verità del matrimonio e della famiglia e a questo riguardo costituiscono un buon esempio nel modo di procedere, poiché dovettero spiegare dettagliatamente l’esistenza di un Dio Creatore e Provvidente che ha creato il mondo, cose animate e inanimate, l’uomo e la donna e «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona»[2]. Il metodo utilizzato dai Padri della Chiesa è preciso ed analitico in tutti i campi che dottrinalmente e teologicamente hanno affrontato poiché dovevano ben spiegare per fronteggiare e combattere le eresie e i disordini etici del paganesimo.

Sant’Ambrogio (339/340-397), sant’Agostino (354-430), san Gregorio Magno (540 ca.-604) hanno prestato molta attenzione al tema familiare, sapendo dare alle chiese, che erano sotto la loro giurisdizione, orientamenti ricchi di saggezza, di concretezza, di spiritualità perché basati sugli insegnamenti divini. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che vi sono affermazioni in disaccordo fra di loro su alcune questioni, questioni che vennero risolte nei Concili e nei documenti dei Sommi Pontefici. Ed è importante rilevare che, anche se viviamo in mezzo all’individualismo, all’idolatria del sesso e al consumismo sfrenato, gli insegnamenti che provengono dalla Tradizione non sono linee guida fuori dal tempo, ma al servizio di tutti i secoli che ci hanno preceduti, degli anni che viviamo e del tempo che verrà, essendo essi coerenti con i principi di «Io Sono»[3], ovvero l’Eterno.

I Padri della Chiesa, ricolmi di saggezza e di sapienza, ci parlano del matrimonio cattolico come di una cosa seria, che impegna l’esistenza e che contempla molti doveri i quali, se rispettati, vengono rispettati i diritti di ogni coniuge. La lealtà delle promesse prese di fronte al sacerdote e all’altare è sempre stata messa a dura prova, ma tale lealtà veniva rimembrata, sostenuta e sorretta dalla Fede e dalla Chiesa. Oggi, invece, tutto è tentazione e la ribellione alla lealtà delle promesse per molti diventa automatica e se i cattivi maestri invitano alla disfatta del matrimonio, dando l’illusione di potersi accostare ugualmente alla Santa Comunione anche se in stato di peccato mortale, è doveroso ricordare gli insegnamenti della Chiesa di sempre.

Chiaro, nei Padri della Chiesa, è il concetto di sacrificio nel matrimonio, il quale non può essere disgiunto dalla dedizione e in una famiglia la dedizione non è un accessorio, ma un fattore fondamentale, senza il quale la casa è destinata inevitabilmente a crollare.

Scriveva sant’Ambrogio:

«L’educazione dei figli è impresa per adulti disposti ad una dedizione che dimentica se stessa: ne sono capaci marito e moglie che si amano abbastanza da non mendicare altrove l’affetto necessario.

Il bene dei vostri figli sarà quello che sceglieranno: non sognate per loro i vostri desideri. Basterà che sappiano amare il bene e guardarsi dal male e che abbiano in orrore la menzogna.

Non pretendete dunque di disegnare il loro futuro: siate fieri piuttosto che vadano incontro al domani di slancio, anche quando sembrerà che si dimentichino di voi; non incoraggiate ingenue fantasie di grandezza, ma se Dio li chiama a qualcosa di bello e di grande non siate voi la zavorra che impedisce di volare.

Non arrogatevi il diritto di prendere decisioni al loro posto, ma aiutateli a capire che bisogna decidere e non si spaventino se ciò che amano richiede fatica e fa qualche volta soffrire: è più insopportabile una vita vissuta per niente.

Più dei vostri consigli li aiuterà la stima che hanno di voi e la stima che voi avete per loro; più di mille raccomandazioni soffocanti, saranno aiutati dai gesti che videro in casa: gli affetti semplici, certi ed espressi con pudore, la stima vicendevole, il senso della misura, il dominio delle passioni, il gusto per le cose belle e l’arte, la forza anche di sorridere.

E tutti i discorsi sulla carità non mi insegneranno di più del gesto di mia madre che fa posto in casa per un vagabondo affamato, e non trovo gesto migliore per dire la fierezza di essere uomo di quando mio padre si fece avanti a prendere le difese di un uomo ingiustamente accusato. I vostri figli abitino la vostra casa con quel sano trovarsi bene che ti mette a tuo agio e ti incoraggia anche ad uscire di casa, perché ti mette dentro la fiducia di Dio e di vivere bene»[4].

Sant’Ignazio di Antiochia (35 ca.-107 ca.) sosteneva che si educa molto con quel che si dice, ancor più con quel che si fa, ma molto di più con quel che si è. Può bastare un discorso per convincere un giovane? Le parole non sono sufficienti. Nell’educatore è richiesta la coerenza di vita, se così non è, l’educando perde la stima e se del maestro si perde la stima moltissimo è perduto.

Nei primi tre canti dell’Inferno Dante (1265-1321) presenta la sua geniale pedagogia. Dinanzi all’epigrafe posta sulla porta dell’Inferno (incipit del canto III) la paura carpisce Dante e di fronte ad essa Virgilio lo prende per mano «con lieto volto» e lo introduce dentro «a le secrete cose». I Padri della Chiesa introducono realmente alle «secrete cose» e ci prendono per mano: sono maestri affidabili, non falsi profeti dai quali oggi siamo circondati.

Nella relazione presentata al Concistoro straordinario sulla famiglia (febbraio 2014), il cardinale Walter Kasper ha lanciato un appello affinché la Chiesa armonizzi «fedeltà e misericordia di Dio nella sua azione pastorale riguardo ai divorziati risposati con rito civile». L’inquietante istanza è stata presente nel Sinodo sulla famiglia dal tema: Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione. L’augurio lanciato dal cardinale Kasper è che la Chiesa troverà un modo per armonizzare «fedeltà e misericordia nella sua pratica pastorale», un genere di pastorale che, entrando in collisione con la dottrina cattolica, scalzerebbe, nella stragrande maggioranza dei casi, la dottrina stessa: la prassi (l’esperienza) pagana diventerebbe guida all’impartizione dei sacramenti.

La Chiesa sostiene il peccatore, ma denuncia il peccato e cerca di salvare anime invitando il peccatore a non peccare più, proprio come Gesù insegnò con immensa misericordia all’adultera: «“Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed essa rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù le disse: “Neanch’io ti condanno: va’ e d’ora in poi non peccare più”» (Gv 8, 10-11). Le esigenze dei peccatori, oggi divenute norma sociale, non hanno e non avranno mai la forza di mutare i principi divini e della Chiesa, Sposa di Cristo. L’anima dell’adultera è preziosa a Gesù e alla Chiesa tanto quanto le anime degli adulteri contemporanei e futuri. La misericordia di Dio non è una panacea per tutti i mali, perché i comandamenti di Dio restano tali e la Chiesa è tenuta a ribadirli.

Sant’Agostino si è soffermato a lungo sulla questione matrimoniale. Il cuore del problema è l’indissolubilità del matrimonio, sulla quale ha molto insistito. La teologia cattolica, seguendo sant’Agostino, vede l’indissolubilità, sia in senso legale che spirituale, come un vincolo (sacramentum) che lega i due sposi l’uno all’altro in Cristo per tutta la vita.

San Paolo annuncia agli sposi come comandamento del Signore che la moglie non deve separarsi dal marito e che il marito non deve ripudiare la moglie. Se una delle parti si separa, l’altra deve rimanere senza maritarsi (1 Cor 10-11). Non è concesso commettere adulterio (Rm 7,3) e soltanto la morte di uno dei coniugi offre la libertà di nuove nozze (Rm 7, 2; 1 Cor 7, 39).

Tendenzialmente i Padri della Chiesa sostengono l’opinione che in caso di adulterio sia permesso il ripudio della parte colpevole, ma escludono un successivo matrimonio[5]. Deciso sostenitore dell’indissolubilità del matrimonio, anche in caso di adulterio, è sant’Agostino. Ragioni intrinseche che esigono l’indissolubilità del matrimonio sono la garanzia dell’educazione fisica e spirituale della prole, la salvaguardia della fedeltà coniugale, l’imitazione dell’unione indissolubile di Cristo con la sua Chiesa, il vantaggio della famiglia e il benessere della società.

Siccome l’unione di Cristo con la Chiesa è la causa di abbondante grazia per i suoi membri, il matrimonio, se deve essere una figura piena di quell’unione, non deve apparire come un vuoto simbolo, quale era già prima del cristianesimo, ma un segno efficace di grazia. Il matrimonio può conseguire l’effetto di comunicare la grazia solo per disposizione di Cristo. Il fatto che il matrimonio cristiano venga paragonato all’unione di Cristo con la Chiesa, unione che è fecondata di grazia, costituisce, come sottolinea il Concilio di Trento, un indizio che il matrimonio è vera causa di grazia[6]. Il sacramento del matrimonio conferisce agli sposi la grazia santificante, come recita il Concilio di Trento: «Si quis dixerit, matrimonium… neque gratiam conferre»[7]. Quale sacramento il matrimonio conferisce di per sé l’aumento della grazia santificante.

Nella Scolastica iniziale numerosi teologi e canonisti sostennero per insufficiente conoscenza della natura sacramentale del matrimonio l’idea che il matrimonio è un rimedio contro la concupiscenza, ma non conferisce alcuna grazia. San Tommaso d’Aquino ha riposizionato la situazione: applicando logicamente il concetto di sacramento, insegna che il matrimonio, come gli altri sei sacramenti, non è soltanto simbolo, ma anche causa della grazia.

La grazia concessa è in modo particolare diretta al fine del sacramento stesso: santifica gli sposi e dà loro la forza soprannaturale per l’adempimento dei doveri inerenti al proprio stato. Con la grazia santificante viene loro concesso anche il diritto alle grazie attuali, che si ottengono, come dichiara Pio XI (1857-1939) nella Casti Connubii (31 dicembre 1930), «ogni qualvolta gli sposi abbisognano per adempiere agli obblighi del proprio stato».

Ecco ciò che oggi viene a mancare, ovvero questa realtà soprannaturale che non viene presa più in considerazione e che, invece, sta alla base del Credo e dei Sacramenti. «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15,1-8). Infatti i frutti sono di fronte a noi: meno si considerano i propri doveri alla luce di Cristo, l’unico a dare la forza nella vita, in qualsiasi stato ci si trovi, e più si creano separazioni, divisioni, odi, rancori, vendette.

I Padri, sin dall’inizio, considerano il matrimonio come cosa religiosa e sacra. Sant’Ignazio di Antiochia esige l’intervento della Chiesa quando lo si contrae: «È necessario che gli sposi e le spose stringano la loro unione con l’assenso del vescovo, affinché il matrimonio sia secondo il Signore e non secondo i desideri sensuali»[8]. Anche Tertulliano (155 ca.-230 ca.) attesta che il matrimonio veniva contratto «in faccia alla Chiesa»: «Come potrei descrivere la felicità di un matrimonio, fondato dalla Chiesa, consolidato dal sacrificio, suggellato dalla benedizione, annunciato dagli angeli, ratificato dal Padre»[9].

Sant’Agostino difende la dignità e la santità del matrimonio cristiano contro i manichei che lo respingevano perché fonte del male[10], contro Gioviniano (?-405 ca.), che rimproverava alla Chiesa di abbassarlo a vantaggio della verginità[11] e contro i pelagiani che ritenevano il peccato originale incompatibile con la dignità del matrimonio[12]. La dottrina del Vescovo di Ippona è centrata sui tre beni del matrimonio: proles (i figli), fides (la fedeltà), sacramentum (l’indissolubilità).

Nel trattato Sulla dignità del matrimonio Agostino fonda la nuova società umana intorno al nucleo costituito dagli sposi. Egli definisce così una famiglia fondata su tre beni, la prole, in cui si realizza la prosecuzione della società umana iniziata e animata dalla famiglia; la fedeltà, quel donarsi totalmente al proprio coniuge, che è una forma altissima di obbedienza – la madre delle virtù – e che insieme cementa i legami sociali; e il sacramento, che comporta il fondersi dell’ordine sociale, regolato dallo Stato, con l’ordine religioso, sancito e amministrato dalla Chiesa attraverso il rito. In questo modo Agostino crea un ordine sociale nuovo e profondamente intriso di principi cristiani. Al suo cuore palpita, forte e chiara, l’immagine della Trinità, che la presenza dei tre beni tratteggia ed evoca, e che, con la sua presenza discreta e nobile ridefinisce ruoli e confini di questa innovativa forma del vivere da cristiani, ma immersi nel mondo. La dottrina agostiniana sul matrimonio diventerà dottrina comune nella teologia posteriore e di essa si servirà Pio XI per la struttura dell’enciclica Casti connubii.

Il fine primario del matrimonio è la procreazione e l’educazione della prole; il fine secondario è il remedium concupiscentiae. Fino al Concilio Vaticano II l’espressione remedium concupiscentiae indicava uno dei fini secondari del matrimonio, tradizionalmente inteso come una sorta di “legittimazione” della sessualità disordinata. Non essendo questa la sede dove trattare tale argomentazione, ci limitiamo ad affermare che nei Padri della Chiesa il fine matrimoniale era duplice e al primo posto vi era, senza ombra di dubbio, la procreazione. D’altra parte il fine primario del matrimonio è espresso in Genesi i, 28: «Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra!». Il secondario si trova in Genesi 2, 18: «Gli farò un aiuto simile a lui» e in 1Cor 7, 2: «Per evitare ogni impudicizia ognuno abbia la sua moglie e ogni donna abbia oil proprio marito».

Le proprietà essenziali del matrimonio nella Chiesa cattolica sono l’unità (monogamia) e l’indissolubilità. Dal contratto sacramentale nasce il vincolo che congiunge fra loro i due sposi per tutta la vita, inseparabilmente. I Padri della Chiesa nella partecipazione di Gesù alle nozze di Cana ravvisano il riconoscimento e la santificazione del matrimonio cristiano, allo stesso modo che nel battesimo di Gesù al Giordano vedono la santificazione dell’acqua battesimale[13].

Sant’Agostino paragona il vincolo matrimoniale (quiddam coniugale), «che non può essere spezzato né per la separazione dei coniugi, né per l’adulterio», al carattere indelebile del battesimo[14]. Tuttavia il matrimonio non è assolutamente irripetibile come il battesimo, ma relativamente, ovvero finché resta in vita l’altro coniuge, disposizione che va contro le opinioni ereticali dei montanisti e dei novazianisti e contro le correnti rigoriste della Chiesa greca[15].

La Chiesa primitiva sorse e crebbe, su radici giudaiche e in un mondo pagano. «In quel mondo, come tra gli ebrei, scopo del matrimonio era la generazione di figli legittimi per sostituire i loro genitori nella società e infine ereditare i loro beni. Sia tra gli ebrei che tra i pagani, il divorzio era sempre possibile per gli uomini e a volte per le donne. L’adulterio della donna, che così poteva far diventare eredi del patrimonio di famiglia i figli estranei, era molto più serio dell’adulterio del marito, e, grazie ad una regola spesso mantenuta dai cristiani, un marito era normalmente obbligato a divorziare dalla moglie se era colta in adulterio»[16]. Il Figlio di Dio venne a mettere ordine. Gesù fu interrogato sul matrimonio. Gli venne domandato che cosa pensasse del permesso di Mosè a divorziare, e il Salvatore rispose: «per la durezza dei vostri cuori». Risposta lapidaria e diretta che va ripetuta e sottoposta ancora oggi a chi disconosce l’indissolubilità del matrimonio e propone di elargire la Santa Comunione a chi non è in stato di grazia, promuovendo atti di profanazione e di mancanza di carità e di misericordia verso quelle anime impenitenti. L’insegnamento di Nostro Signore che il matrimonio è indissolubile è risottolineato da san Paolo: «Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito – e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito – e il marito non ripudi la moglie»[17] e ancora: «La donna sposata, infatti, è legata dalla legge al marito finché egli vive; ma se il marito muore, è libera dalla legge che la lega al marito. Essa sarà dunque chiamata adultera se, mentre vive il marito, passa a un altro uomo, ma se il marito muore, essa è libera dalla legge e non è più adultera se passa a un altro uomo»[18]. C’è una Legge divina, dunque, che regola le unioni matrimoniali e nessuno è autorizzato a mutare tale Legge, nessun Sinodo, nessun Concilio e nessun Sommo Pontefice.

Il matrimonio è la base sulla quale poggia la famiglia, così afferma la Legge divina contenuta nelle Sacre Scritture, e così nel magistero dei Padri della Chiesa. Se tale unione sacramentale viene meno, la famiglia si sgretola e tutti i membri, marito, moglie, figli, ne restano feriti e più di tutti proprio i figli.

Afferma l’agostiniano Robert Dodaro: «Dobbiamo opporci a tutti i tentativi di attribuire acriticamente pratiche posteriori al periodo patristico, per negligenza scientifica o per ragioni ideologiche, queste ultime spesso derivate da una malintesa nozione di ecumenismo perseguito in spregio della verità storica. Ovviamente, la riflessione su qualsiasi riforma della posizione occidentale deve iniziare da ciò che essa è e perché è tale, non da cosa poteva essere o diventare, o da cosa si sarebbe desiderato che fosse o diventare»[19]. Dunque, sostiene Dodaro, Preside dell’Istituto patristico Augustinianum di Roma, che ha curato la pubblicazione Permanere nella verità di Cristo (dove hanno portato i loro contributi quattro studiosi e cinque cardinali), i sostenitori della cosiddetta “misericordia”, quella che afferma la possibilità di dare la Comunione ai divorziati risposati, non sono riusciti a rispondere adeguatamente «e in molti casi per nulla» alle obiezioni pronunciate da valenti studiosi contemporanei. Fra i sostenitori della “misericordia” citiamo, in particolare, gli iscritti di Giovanni Cereti, fonte principale del cardinale Kasper[20].

Scrive ancora Dodaro: «Kasper non cita alcuna prova a favore della sua posizione che sia rinvenibile nei primi centocinquanta anni di cristianesimo, presumibilmente consapevole che gli elementi a favore sono molto limitati e spesso oscuri, e che in quei primi tempi un numero sostanziale di Padri avversava e scoraggiava qualsiasi forma di nuovo matrimonio»[21].

Per sostenere le loro posizioni, tanto Cereti quanto Kasper, hanno menzionato nei loro trattati dei casi eccezionali incorsi nei primi secoli del Cristianesimo, ma sono eccezioni e tali restano, sulle quali si può soltanto speculare, ma non certo trarre ammaestramento perché i cristiani dell’antichità vedevano qualsiasi comportamento “misericordioso” verso i divorziati risposati come comportamento direttamente opposto agli insegnamenti di Cristo. L’evidenza storica è talmente palese che, con metodo scorretto e viziato, coloro che vogliono condurre l’acqua al proprio mulino cercano casi sporadici per lasciare aperta la questione e far serpeggiare diabolicamente il dubbio.

Nel libro Permanere nella verità di Cristo, il Cardinale Raymond Leo Burke cita Giovanni Paolo II circa la carità pastorale che la Chiesa deve esercitare a favore di coloro che asseriscono la nullità del loro matrimonio: «Un matrimonio valido, anche se segnato da gravi difficoltà, non potrebbe esser considerato invalido, se non facendo violenza alla verità e minando, in tal modo, l’unico fondamento saldo su cui può reggersi la vita personale, coniugale e sociale. Il giudice pertanto deve sempre

guardarsi dal rischio di una malintesa compassione che scadrebbe in sentimentalismo, solo apparentemente pastorale. Le vie che si discostano dalla giustizia e dalla verità

finiscono col contribuire ad allontanare le persone da Dio, ottenendo il risultato opposto a quello che in buona fede si cercava»[22].

La Chiesa, frutto dell’amore di Dio e che esiste per offrire amore a Dio e alle sue creature, opera sulla Verità e sulla Giustizia, nonché per la Verità e per la Giustizia, e mai sul e per il sentimentalismo. Di fronte a molti drammi familiari, prima dell’arrivo delle filosofie anticristiane e delle teologie immanentiste, la Chiesa ha sempre offerto terapie salutari e benefiche per le anime, per i membri coinvolti nel dramma, per la società cristiana intera, costruita sulla cellula familiare. Terminiamo, infatti, con un passo tratto dagli scritti di sant’Ambrogio che offre la chiave di speranza certa a coloro che continuano a vivere il proprio matrimonio come impegno fedele in Cristo:

«Il Signore è sempre vicino a tutti quelli che lo invocano con cuore sincero, con fede retta, con speranza ferma, con carità perfetta; egli infatti sa quello di cui avete bisogno prima che glielo domandiate: egli è sempre pronto a venire in soccorso in ogni necessità a tutti coloro che lo servono fedelmente. Perciò non dobbiamo preoccuparci gran che dei mali che ci sovrastano, quando abbiamo la certezza che Dio, nostra difesa, ci è vicinissimo secondo il detto: “l Signore è vicino a chi ha il cuore ferito, egli salva gli spiriti affranti. Molte sono le sventure del giusto, ma lo libera da tutte il Signore” (Sal 33,19-20). Se noi ci sforziamo di compiere e di conservare quanto ci ha comandato, egli non tarda a renderci quello che ci ha promesso.

“Ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti” (Fil 4,6) per potere affrontare le prove con pazienza e serenità e mai con amare contestazioni – Dio ce ne guardi – anzi “rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre” (Ef 5,20)»[23]. E Dio Padre, che vede nel segreto, benedice e ricompensa, già qui in terra e a maggior ragione in Paradiso, i puri di cuore.

Chiudo l’intervento ricordando che per il puro di cuore e per l’autentico fedele alla sequela di Cristo questi tempi sono bellissimi perché offrono l’opportunità di esternare, dimostrare, difendere la Fede. Riscopriamo, dunque, i Padri della Chiesa: le loro pagine sono intrise di fede, di speranza, di carità e donano le chiavi per risolvere le questioni filosofiche, teologiche ed etiche. Il Cardinale John Henry Newman, dopo essere stato docente all’Università di Oxford, stimato ed ammirato da tutti e dopo la sua straordinaria conversione, venne lasciato solo… ma pagò molto volentieri quel prezzo: quando abbracciò la fede cattolica egli non cercò più nulla e dai tetti si mise a gridare il Tesoro che aveva trovato. Il Beato Cardinale Newman sostenne sempre, con grande determinazione: «I Padri mi fecero cattolico (The Fathers made me a Catholic), ed io non intendo buttare a terra la scala con la quale sono salito per entrare nella Chiesa»[24].

Cristina Siccardi

 

[1] Rm 1, 20-32.

[2] Gen 1, 31.

[3] Es 3,14-15: «Dio disse a Mosè: “«Io sono Colui che sono!”. Poi disse “Dirai agli israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi”».

[4] Sant’Ambrogio, in C. M. Martini, Sette dialoghi con Ambrogio, Vescovo di Milano, Centro Ambrosiano, 1996.

[5] Cfr. Pastore di Erma, Prec. IV, I,6; Giust., Apol. I, 15; Clemente di Alessandria, Trom. II, 23, 145, 3; Origene, in Mat 14, 24. Alcuni Padri, fra i quali Basilio (Ep. 188, can. 9), Epifanio (Haer 59, 4) e Ambrosiastro (I Cor 7,11) permettono, riferendosi a Mt 5, 32 e 19, 9 e per influsso della legislazione civile, il divorzio ed un nuovo matrimonio in caso di adulterio della donna. Cfr. L. Ott, Compendio di teologia dogmatica, Casale 1964, pp. 756-757.

[6] D. 969: quod Paulus Apostolus annui.

[7] Cfr. L. Ott, op. cit., p. 761.

[8] Ignazio di Antiochia, Pol. 5,2.

[9] Tertulliano, Ad uxorem II, 9.

[10] Agostino, De morbus Ecclesiae catholicae et moribus Manichaeorum, 389.

[11] Agostino, De bono coniugali, 401.

[12] Agostino, De nuptiis et concupiscentia, 419-420.

[13] Cfr. Agostino, De bono coniugali 3, 3: Giovanni Damasceno, De fide orth. IV, 24.

[14] De nuptiis et concup. I, 10, 11.

[15] Cfr. Atenagora, Suppl. 33, dove si dice che il secondo matrimonio è «un decoroso adulterio»; Basilio, Ep. 188, can. 4.

[16] Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e comunione nella Chiesa cattolica, a cura di Robert Dodaro O.S.A.,Cantagalli, Siena pp. 63-64.

[17] 1 Cor 7, 10-11.

[18] Rm 7, 2-3.

[19] Permanere nella verità di Cristo, op. cit., p. 73.

[20] Cfr. Divorzio, nuove nozze e penitenza nella Chiesa primitiva, Bologna 1977, 1978, Roma 2013. Recensito da Crouzel in «La Civiltà Cattolica», 3046 maggio 1977, pp. 304-305. Cfr. anche G. Pelland, La pratica della chiesa antica relativa ai fedeli divorziati risposati, in AA.VV., Sulla pastorale dei divorziati risposati, Città del Vaticano 1998.

[21] Permanere nella verità di Cristo, op. cit., p. 78.

[22] Giovanni Paolo II, Allocutio 1990, 875, n. 5.

[23] Ambrogio, Sulla lettera ai Filippesi. Rallegratevi nel Signore, sempre, PLS 1,617-618.

[24] I. Biffi, Newman: I Padri mi fecero cattolico. Il ruolo dei Padri della Chiesa nella spiritualità del grande cardinale inglese, in «L’Osservatore Romano», 28 marzo 2009.

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