L’attualità della lettera apostolica Testem benevolentiae nostrae di Leone XIII e la disubbidienza dei posteri

Qual è il primo e supremo mandato del Romano Pontefice? Quello di provvedere «sia all’integrità della fede sia alla sicurezza dei fedeli», come scrisse Leone XIII (1810-1903) nella Lettera apostolica Testem benevolentiae nostrae del 22 gennaio 1899, diretta al Cardinale James Gibbons (1834-1921) di Baltimora e per mezzo di lui a tutto l’Episcopato degli Stati Uniti; in questo documento il Sommo Pontefice condannò il cosiddetto «Americanismo», specchio del Modernismo di matrice europea. Nella Lettera si evincono già i pericoli di un’aspirazione da parte di alcuni ad un Cattolicesimo della prassi, religione oggi divenuta maggioritaria, prassi che si adegui al pensiero moderno: «la chiesa deve avvicinarsi maggiormente alla civiltà del mondo progredito, e, allentata l’antica severità, deve accondiscendere alle recenti teorie e alle esigenze dei popoli. E molti pensano che ciò debba intendersi, non solo della disciplina del vivere, ma anche delle dottrine che costituiscono il “deposito della fede”». Citando il Concilio Vaticano I, il Papa ribadisce l’inviolabilità della dottrina cattolica, che la Chiesa è tenuta a conservare e difendere fedelmente, contro ogni genere di violazione:

«La dottrina della fede, che Dio rivelò, non fu, quasi un’invenzione di filosofi, proposta da perfezionare alla umana ragione, ma come un deposito divino fu data alla sposa di Cristo, da custodire fedelmente e dichiarare infallibilmente… Quel senso dei sacri dogmi si deve sempre ritenere, che una volta dichiarò la santa madre chiesa, nè mai da tal senso si dovrà recedere sotto colore e nome di più elevata intelligenza»[1]. Come in Europa ci furono intelligenze del calibro dell’esegeta e storico delle religioni Alfred Loisy (1857-1940) e del teologo irlandese George Tyrrell Sj (1861-1909), così negli Stati Uniti troviamo Isaac Thomas Hecker (1819-1888), fondatore dei Paulist Fathers. Circa il retaggio dovuto alla corrente di pensiero prima sbocciata negli Stati Uniti, Tyrrell ebbe a scrivere, assimilando gli americanisti ai modernisti, che gli statunitensi «educati ai principi democratici […] tenevano irresistibilmente ad invertire la piramide gerarchica […] per riporla nuovamente sulla sua larga base, come cosa che poggi su fondamenti terrestri e non sembri caduta a capofitto dagli spazi aerei»[2].

Proprio da Padre Hecker prese le mosse la Lettera di Leone XIII, come l’autore scrisse al Cardinale Gibbons:

«Ti è ben noto, diletto figlio Nostro, che il libro intorno alla vita di Isaac Thomas Hecker, specialmente per opera di coloro che lo tradussero in altra lingua o lo commentarono, suscitò non poche controversie per taluni opinioni espresse intorno al vivere cristiano». Di famiglia luterana, originaria della Prussia, Hecker (nato nel 1819 a New York, dove morirà il 22 dicembre 1888) si convertì al Metodismo. Deluso dalla filosofia kantiana, della quale si era appassionato, nel 1844 entrò nella Chiesa cattolica. Divenuto, l’anno seguente, membro della congregazione del Santissimo Redentore, anni dopo, a causa delle sue posizioni originali, vi uscì per fondare, sotto il pontificato di Pio IX (1792-1878), la Società missionaria di San Paolo Apostolo (1858) per le missioni popolari negli Stati Uniti, la quale si proponeva di inserire il pragmatismo tipico americano nella vita cristiana e di accordare il Cattolicesimo con le tendenze moderne. Nel 1865 fondò la prima rivista cattolica d’America che ebbe subito una grande diffusione, The catholic World[3]. Le opinioni americaniste di Hecker, amplificate dal suo biografo Walter Elliot, vennero raccolte e volgarizzate in francese dall’abate Felice Klein nella biografia che questi gli dedicò, avviando accese discussioni, che terminarono proprio con la Lettera apostolica.

«Questo sacerdote americano, consapevole delle esigenze psicologiche, della mentalità, dell’indole del suo popolo esuberante, avido di assoluta libertà individuale, insensibile all’astrattismo teorico e amante invece del Prammatismo, portato dalle ricchezze naturali del paese a un senso edonistico della vita, aveva cercato di adattare, senza troppe preoccupazioni dogmatiche, la religione cattolica allo spirito della sua gente. Il suo tentativo fece rumore anche in Europa e si determinò così quella corrente che ebbe il nome di Americanismo. Più che di un sistema si tratta di una tendenza concretata in alcuni princìpi d’indole pratica, senza organicità»[4].

I punti principali condannati da Leone XIII sono:

  1. La chiesa per ottenere maggiori conversioni deve adattarsi alle esigenze moderne fino a mitigare la rigidezza, non soltanto della disciplina, ma del dogma.
  2. Si deve concedere maggiore spirito di libertà anche per l’individuo, come nelle cose civili, così nelle cose di fede e di morale; quindi è superflua o meno necessaria la direzione spirituale, poiché deve essere lasciato spazio all’azione dello Spirito Santo, nel tempo moderno più prodigo di doni verso tutti.
  3. Le virtù naturali sono preferibili a quelle soprannaturali, perché più consone ai tempi moderni.
  4. Le virtù comunemente dette attive sono da anteporre a quelle denominate passive, come l’ubbidienza.
  5. I voti religiosi sono da considerare come restrittivi della libertà e poco efficaci alla perfezione cristiana, soprattutto nei tempi moderni.

Il Magistero petrino inascoltato

Le ragioni della condanna degli errori dell’Americanismo sono dedotte, nel documento del Pontefice, dai principi etici, ma soprattutto dai principi teologici che ad essi soggiacciono. Le verità dogmatiche sono affidate alla Chiesa, non come un sistema filosofico, da perfezionare con l’inganno umano, ma come un deposito divino, da custodire fedelmente e infallibilmente dichiarare, ritenendo perciò costante lo stesso significato dei dogmi.

La libertà non deve confondersi con la licenza e con il capriccio di pensare, giudicare e parlare di ogni cosa a propria discrezione, sprezzando il pericolo di cadere nell’errore. Sempre è necessario, al di là dell’azione dello Spirito Santo sull’individuo, un insegnamento esterno; di qui la necessità di una direzione spirituale, della quale hanno una necessità maggiore proprio coloro che tendono a cose più perfette, essendo più degli altri soggetti ad ingannarsi.

Non l’Americanismo politico considerò Leone XIII, ma quello religioso e questo apparteneva ad un numero molto ristretto di americani, capeggiati da Padre Hecker; ad acutizzare tali teorie furono volgarizzatori europei come Elliot e Klein: «Anche questi tuttavia, come gli americani, si sottomisero, e fra i primi (28 febbraio 1899) il Klein; ma i condannati principî dell’americanismo ripullularono nel cosiddetto modernismo»[5].

In questo documento ritroviamo i mali di moltissimi uomini di Chiesa: oggi l’eretico Hecker rivive in numerosi profili ecclesiastici, «si passano inosservati e quasi si pongono in dimenticanza alcuni principi della dottrina cattolica. Di tutte le verità, quante ne abbraccia l’insegnamento cattolico, uno solo e uno stesso è infatti l’autore e il maestro, “l’unigenito Figlio che è nel seno del Padre”[6]. E che tali verità siano adatte a tutte le età e a tutte le genti, chiaramente si deduce dalle parole che lo stesso Cristo disse agli apostoli: “Andate e ammaestrate tutte le genti, insegnando loro ad osservare tutte le cose che io vi ho prescritto; e io sono con voi tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli”[7]».

Leone XIII ricorda ciò che venne definito nel Concilio Vaticano I: «Con fede divina e cattolica sono da credersi tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata, e che dalla chiesa, sia con solenne giudizio sia con l’ordinario e universale magistero, sono proposte da credersi come rivelate da Dio»[8].

Se qualcosa dovesse essere tolto dalla dottrina ricevuta da Dio, o per qualunque motivo dovesse essere trascurata, anziché essere missionari, ovvero conduttori di anime in seno alla Chiesa, si sarà apostati e, al fine, la conseguenza sarà quella «di strappare dalla chiesa i cattolici». Missionari significa essere misericordiosi, tuttavia quella a cui faceva riferimento Papa Pecci è una misericordia reale e non sentimentale, perché il vero missionario si fa «tutto a tutti, al fine di salvare tutti»[9]. Pur non trascurando mai i costumi e le esigenze delle diversità dei popoli, il supremo governo di tutta la Chiesa «rimase bensì costante “nello stesso dogma, secondo lo stesso senso e la stessa opinione”[10] e fu sempre solita regolare il modo di vivere così che, salvo il diritto divino, non trascurò mai i costumi e le esigenze di tanta diversità di popoli, che essa abbraccia». Tuttavia, a partire dal Concilio Vaticano II, le cose sono andate diversamente. Americanismo e Modernismo hanno soffiato sulle “voglia di novità” e sulle vanità dei pensieri soggettivi, tanto da catturare gli stessi Papi, abbagliati da quel fascino promesso da filosofi e teologi novatori, abili illusionisti nel materializzare una veste aggiornata per la Chiesa. Il paradosso si manifestò con evidenza: l’obbedienza al magistero petrino precedente venne meno. Il dialogo con il mondo si è trasformato sempre più in scelte di accordo con il mondo stesso, il quale ha invaso ogni ambito ecclesiastico.

Padre Roger-Thomas Calmel Op (1914-1975), del quale quest’anno ricorre il centenario della nascita, spiegò come in un dato momento della storia della Chiesa, si sia sentito

«il bisogno di un rinnovamento biblico, liturgico, o missionario, o del “laicato”; questo rinnovamento era nell’aria; guardate come la rivoluzione si affermi attraverso l’inganno, la seduzione, la falsificazione; si incomincia mettendo da parte i cristiani tradizionali e vitali che avrebbero fatto fiorire il rinnovamento nella fedeltà alla Tradizione della Chiesa, si dà un posto ai rivoluzionari che vogliono il rinnovamento contro la Tradizione e il Vangelo contro la Chiesa, a poco a poco si insegna al popolo cristiano, terribilmente ingannato, a leggere la Scrittura contro la teologia tradizionale, a celebrare la liturgia contro l’adorazione e la contemplazione, a magnificare il matrimonio contro la verginità consacrata, a esaltare la povertà evangelica contro la proprietà privata, a divenire apostolo dei non credenti, prescindendo dalla fede e dal battesimo; questa deviazione incredibile, quest’arte di confiscare per falsificare è assolutamente connaturata ed essenziale alla rivoluzione»[11].

Il bisogno di «rinnovamento» di cui parla Padre Calmel era stato decodificato da abili intelligenze, prima menzionate, la cui Fede aveva però meno valore che la sete di positivismo e di liberalismo: la libertà di coscienza aveva per costoro assunto un peso preponderante rispetto all’importanza della dottrina e del catechismo. Arriverà, infatti, San Pio X (1835-1914), del quale ricorre quest’anno il centenario della sua dipartita, con la Pascendi Dominci Grecis del 1907 a condannare il Modernismo. Ma la disubbidienza, praticata già nei confronti di Leone XIII, proseguirà il suo negativo percorso anche con e dopo Papa Sarto, nonostante le sagge misure che egli prese.

Disubbidire significa non adempiere l’altrui comando o volere, ossia trasgredire e/o tradire l’altrui volontà. La volontà dei Pontefici che sono venuti prima del Concilio Vaticano II è stata quella di condannare Americanismo e Modernismo; con e dopo l’Assise del 1962-1965 la stragrande maggioranza degli uomini di Chiesa si sono sentiti in dovere di disubbidire a quelle condanne. Ci fu chi, come Monsignor Marcel Lefebvre – il Vescovo che era stato apprezzato da Pio XII (1876-1958) e aveva compiuto prodigi apostolici e missionari in Africa – avanzò le proprie perplessità e rimase fedele agli insegnamenti evangelici e della Tradizione cristiana; ma i disubbidienti di Leone XIII e di San Pio X lo accusarono di disubbidienza, e fu messo al bando e con lui i suoi discepoli. Tuttavia il Vescovo del XX secolo, novello Sant’Atanasio, amò ancor più Santa Romana Chiesa e a Lei tutto si diede. Quando, nella Chiesa, la giustizia assume connotati più umani che soprannaturali, essa prende in considerazione le simpatie di corrente piuttosto che la luce della verità. Proprio Monsignor Lefebvre, all’epoca Arcivescovo di Dakar, per la quaresima del 1961 scrisse una Lettera pastorale dove emerge il suo unico orizzonte esistenziale, essere nella Verità custodita dalla Chiesa e trasmetterla:

«Le nostre anime sono fatte per la Verità. Le nostre intelligenze, riflesso dello spirito divino, ci sono state date al fine di conoscere la Verità, di darcene la luce che ci indicherà lo scopo verso il quale deve orientarsi tutta la nostra vita […]. È per questo che il dovere più pressante dei vostri pastori, che devono insegnarvi la Verità, è quello di diagnosticarvi quelle malattie dello spirito che sono gli errori. E come non deplorare, come già faceva San Paolo, che alcuni di coloro che hanno ricevuto la missione di predicar la Verità non han più il coraggio di dirla, oppure la presentano in un modo tanto equivoco che non si sa più dove si trova il limite fra Verità e l’errore».

In fondo, «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?»[12].

«Io non sono che un Vescovo della Chiesa cattolica» – disse il Vescovo “disubbidiente” per le autorità romane che disubbidivano agli insegnamenti antecedenti; disse il Vescovo ribelle alle idee rivoluzionarie, il quale non voleva far altro che proseguire ciò che aveva imparato e professato fino al Vaticano II – «che continua a trasmettere la dottrina. Io penso, e la cosa senza dubbio non tarderà, che si potranno incidere sulla mia tomba le parole di san Paolo: Tradidi quod et accepi[13]: “Vi ho trasmesso quel che anch’io ho ricevuto”, molto semplicemente […]. Mi sembra di sentire le voci di tutti quei Papi sin da Gregorio XVI, Pio IX, Leone XIII, san Pio X, Benedetto XV, Pio XI, Pio XII, dirci: “Ma di grazia, di grazia, cosa farete dei nostri insegnamenti, della nostra predicazione, della fede cattolica, l’abbandonerete? La lascerete scomparire da questa terra? Di grazia, di grazia, continuate a custodire il tesoro che noi vi abbiamo donato. Non abbandonate i fedeli, non abbandonate la Chiesa! Continuate la Chiesa! Perché, in fondo, dopo il Concilio, ciò che noi abbiamo condannato, ecco che le autorità romane lo adottano e lo professano”»[14].

La prassi è divenuta baricentro della religione

Chi nella Chiesa odierna pensa alla salvezza delle anime? Essa è stata sostituita con la cosiddetta «dignità umana», con i pretestuosi «diritti», con la «fratellanza universale» di matrice illuminista. Il pensiero moderno ha corrotto la fede.

«Vero è che il decidere di questo non spetta all’arbitrio di singoli uomini», si legge ancora nella Testem benevolentiae, «che per lo più sono tratti in inganno da un’apparenza di rettitudine; ma spetta alla chiesa giudicarne». Leone XIII parla di vero e proprio «disegno, secondo cui gli amanti di novità pensano che debba introdursi nella chiesa una tal quale libertà, per la quale, diminuita quasi la forza e la vigilanza dell’autorità, sia lecito ai fedeli abbandonarsi alquanto più al proprio arbitrio e alla propria iniziativa. E ciò affermano richiedersi sull’esempio di quella libertà, che, posta in voga di recente, forma quasi unicamente il diritto e la base della convivenza civile», convivenza ogni giorno più difficile nell’ex Europa cristiana, un tempo fondata sui principi del Diritto Divino ed oggi fondata sui principi anticristiani dell’Unione Europea (la sua formazione con il nome attuale risale al trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1º novembre 1993), che prendono le mosse dalla Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen del 1789. Il 12 ottobre 2012 la stessa Unione Europea è stata insignita del premio Nobel per la pace, con la seguente motivazione: «per oltre sei decenni ha contribuito all’avanzamento della pace e della riconciliazione della democrazia e dei diritti umani in Europa» e in quale modo ha perseguito questo ideale? Disprezzando le più elementari regole della vita secondo Dio, ovvero i dieci Comandamenti. Quel che è peggio si è insediato, nella Chiesa stessa, un nuovo modo di concepire il sacerdozio, che non ha precedenti nella storia. Nel corso dei secoli sono esistiti esempi di presbiteri traviati ed eretici, schegge impazzite, ma erano casi isolati. Dopo l’Americanismo, dopo il Modernismo, dopo il Concilio Vaticano II, invece, moltissimi sacerdoti hanno adottato stili di vita incongruenti, incompatibili con il loro stato e hanno insegnato ai fedeli nuove cose e gravi errori, gettando alle ortiche gli insegnamenti della Chiesa di sempre.

Quel dogma dell’infallibilità papale (costituzione dogmatica Pastor Aeternus), proclamato il 18 luglio 1870 durante il Concilio Vaticano I, è stato poi realmente seguito oppure si è insinuata nella Chiesa quell’idea di cui tratta Leone XIII nella lettera qui presa in esame?

«Si dice infatti non doversi più oggi preoccupare tanto del magistero infallibile del papa, dopo il giudizio solenne che ne diede il concilio Vaticano; posto questo magistero perciò al sicuro, si può lasciare ad ognuno più largo campo, sia nel pensare, sia nell’operare. Strano modo, a dire il vero, di ragionare: poiché se si vuole essere ragionevoli, e tirare una conclusione dal fatto del magistero infallibile della chiesa, tale conclusione dovrebbe essere quella di proporre di mai allontanarsi dallo stesso magistero, ma di affidarsi interamente ad esso per venire ammaestrati e guidati, e così poter più facilmente serbarsi immuni da qualsivoglia errore privato. Si aggiunga che coloro che così ragionano molto si allontanano dalla sapienza di Dio provvidente; la quale, se volle asserita con più solenne giudizio l’autorità e il magistero della sede apostolica, lo volle innanzitutto per difendere più efficacemente l’intelligenza dei cattolici dai pericoli dei tempi presenti».

Pericoli, tentazioni, minacce assediano gli uomini del mondo moderno con armi suadenti e “democratiche”, illudendo le persone di essere libere di scegliere; in realtà sono prese in una tenaglia totalitaria, culturale e legislativa, che indirizza i loro passi e le loro decisioni, dove il pensiero rimasto cattolico viene silenziato e talvolta perseguitato, non solo negli ambiti laicisti, ma anche in quelli clericali e vaticani.

Esortò il primo Papa: «Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede».[15] Questa saldezza nella Fede è messa in serio pericolo perché nella stessa Chiesa sono rimasti in pochi a vigilare sulla dottrina: ci sono oggi più voci, più dottrine, più insegnamenti; il soggettivismo è diventato padrone dell’azione, dunque della pastorale. E la prassi, declamata dall’Americanismo, dove usi e costumi sono di fatto il baricentro delle scelte da intraprendere, non è più una conseguenza dei dogmi e della dottrina, ma esse si devono adattare allo sviluppo e al corso degli eventi storici e sociali. Secondo Karl Rahner (1904-1984) la teologia, come sta realmente e deplorevolmente accadendo, non sarebbe stata più vista come riflessione sul Depositum fidei, consegnato alla Chiesa con la morte dell’ultimo Apostolo, San Giovanni, ma sarebbe stata vista come teologia pratica della promessa e del “miraggio”, come teologia storica del futuro. Fu proprio e soprattutto Rahner a porre in evidenza il nuovo significato di «teologia pastorale», strettamente ancorata alla prassi e alla teologia politica. «Rahner, infatti, vuole svincolare la pastorale dal solo significato originario di disciplina che incarna il dato dottrinale, per darle quasi uno statuto di “scienzaspecchio” della teologia in quanto tale, di disciplina volta a verificare l’operato del teologo»[16].

Scrisse il teologo tedesco, che ebbe un ruolo determinante nell’influenzare le linee del Vaticano II:

«Se la prassi è vista solo come concretizzazione di certe “idee” in un materiale spazio-temporale, che rimane indifferente, allora anche la T.P. [teologia pratica] può essere compresa come la direttiva per l’esecuzione dei contenuti della rivelazione, cioè della teologia dogmatica e della teologia morale, dati appunto come idee. Ma se questa concezione di fondo viene contestata da un’antropologia profana e da una migliore comprensione della rivelazione, intesa come storia, allora la teologia pratica, anche se teorica, non sarà più vista come originaria dalla teoria teologica»[17]. Da queste considerazioni si giunge alla conclusione che ogni pensiero soggettivo ed esperienziale, anche profano, è permesso e che ogni presunto diritto umano abbia diritto d’asilo nella Chiesa: l’errore e il peccato vengono oggi in pratica perdonati in quanto tali e non in quanto commessi dall’errante e dal peccatore penitente e risoluto nel non voler più cadere.

«In altre parole, Rahner ci dice che la teologia non dovrà solamente ricavare i dati della sua indagine dalla dogmatica e dalla morale, ma dall’antropologia profana, che sarà il metro con cui misurare oggi l’evento della fede. Per questo, a dire di Rahner, le discipline che dovranno stare maggiormente a cuore al pastore, sono, oltre alla pastorale, anche un’antropologia teologica». Il metro per misurare la Fede non è più la pratica e la morale cristiana, quella che permetteva di comprendere se la Fede veniva applicata e vissuta oppure no, bensì l’uomo con le sue materiali esigenze e con le sue istanze sempre più distanti da Dio e dalla dimensione soprannaturale. Per Rahner la pastorale si colloca in una dialettica storica, in cui ha priorità la ragion pratica intesa come libertà: mero soggettivismo e mero storicismo, dove il mondo domina sulla metafisica, che la moderna speculazione teologica non considera più:

«Non si radica in questa nuova visione, in qualche modo, l’assorbimento del dogma nella prassi e la possibilità della sua realizzazione storica? La riformulazione dogmatica della fede, a cominciare dall’anno zero del Concilio, ma per la via del fare, della prassi? Non è derivata da questa visione una teologia politica, presto interpretata come teologia della liberazione?»[18]. E la teologia della liberazione non sta trovando le sue applicazioni in quel concetto ideologico e politico di «periferie del mondo»? Intanto, però, la grazia della Fede in quali anime può approdare?

Il II Concilio di Orange (529) insegna nel canone 9: «Ogni qualvolta noi facciamo opere buone (salutari) è Dio che opera in noi e con noi perché le facciamo» («quoties bona agimus, Deus in nobis atque nobiscum, ut operemur, operatur»), nulla a che vedere con la teologia degli americanisti e dei modernisti. E nel canone 20 «L’uomo non può fare opere buone (salutari) senza che Dio non gli conceda di farle» («nulla facit homo bona, quae non Deus praestat, ut faciat homo»). Difatti, nonostante tante chiacchiere si facciano attualmente sulla pace nel mondo, ogni giorno si aprono tragici scenari bellici…

 

Il nuovo Pelagianesimo

Cristo con l’immagine della vite e dei tralci, mostra chiaramente il suo influsso di grazia nelle anime, in grado di produrre frutti di vita eterna, quindi in grado di donare una prassi salutare: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me ed io in lui, produce molto frutto; perché senza di me voi non potete far nulla»[19], «sine me nihil potestis facere». Nel Cattolicesimo protestantizzato tutto è ribaltato, la Fede non scende più dall’alto verso il basso, ma il credo ecumenico parte dal basso verso tutti i punti cardinali. San Paolo esprime lo stesso pensiero della vite e dei tralci con l’immagine dell’unione fra il capo e le membra (Ef 4, 15 ss.; Col 2, 19). Per ogni pensiero salutare (2 Cor 3, 5), per ogni decisione della volontà (Rm 9, 16) e per ogni opera buona (Fil 2, 13; 1 Cor 12, 3) l’Apostolo richiede l’aiuto della divina grazia: «Nessuno può dire: Gesù Signore, se non in Spirito Santo» ( 1 Cor 12, 3).

In fondo stiamo vivendo in una sorta di nuovo Pelagianesimo: la volontà dell’essere umano è in grado di scegliere il bene o il male senza uno speciale aiuto divino (la grazia), inoltre il bene ed il male non sono oggettivamente identificati, ma soggettivamente individuati. Sant’Agostino (354-430) combatté tenacemente il Pelagianesimo, dottrina contraria alla Fede tradizionale della Chiesa. Commentando il passo evangelico poc’anzi esposto[20], il Vescovo d’Ippona affermò:

«Perché nessuno creda che il tralcio possa da se stesso fare almeno un piccolo frutto, egli non dice: “senza di me potete fare poco”, ma “non potete far nulla”. Dunque sia poco sia molto non si può fare fuori di colui senza del quale non si può far nulla»[21].

Che la grazia sia assolutamente necessaria per ogni atto buono e salutare la ragione stessa lo deduce da ciò che essendo il fine ultimo, la visione beatifica, essenzialmente soprannaturale, anche gli atti che servono a raggiungerlo devono essere soprannaturali, ossia fatti con la grazia[22]. Molti sono stati e sono i disubbidienti che non credono più in queste realtà proclamate dalla Chiesa fino al Concilio Vaticano II. La Tradizione della Chiesa è rimasta inascoltata e talvolta vilipesa. Si è dato maggior peso alla «licenza»:

«La licenza che assai sovente si confonde con la libertà», scriveva Leone XIII nella sua Lettera, «la smania di parlare e sparlare d’ogni cosa, la facoltà di pensare ciò che si vuole e di manifestarlo con la stampa, portarono così profonde tenebre nelle menti, che, ora più che l’innanzi, è utile e necessario un magistero, per non andare contro la coscienza e contro il dovere». Un magistero che troverà in Pio X un ubbidiente, capace e santo esecutore. Nella sua prima enciclica, E supremi, del 4 ottobre 1903, trattò la questione centrale dell’età moderna e postmoderna, la Fede cattolica è in pericolo:

«Ci atterrivano, sopra ogni altra cosa, le funestissime condizioni, in che ora versa l’umano consorzio. Giacché chi non iscorge che la società umana, più che nelle passate età, trovasi ora in preda ad un malessere gravissimo e profondo, che, crescendo ogni dì più e corrodendola insino all’intimo, la trae alla rovina? Voi comprendete, o Venerabili Fratelli, quale sia questo morbo: l’apostasia di Dio, di cui invero è più congiunto collo sfacelo, stante la parola del profeta: “Ecco che coloro i quali da te si dilungano, periranno” (Sal 72, 26).

Vedevamo pertanto che, in forza del Pontifical Ministero che Ci si voleva affidato, era per Noi doveroso accorrere a rimedio di tanto male, stimando come vòlto a Noi quel comando divino:Io ti ho oggi costituito sulle genti e sui regni affinché svella e distrugga, ed edifichi e pianti(Ger 1, 10). Ma, consapevoli della Nostra fiacchezza, rifuggivamo spaventati da un còmpito quanto urgente altrettanto difficilissimo.

Pure, poiché al voler divino piacque di sollevar la Nostra bassezza a tanta sublimità di potere, pigliamo coraggio in Colui che Ci conforta; e ponendoCi all’opera, appoggiati nella virtù di Dio, proclamiamo di non avere, nel Supremo Pontificato, altro programma, se non questo appunto di “ristorare ogni cosa in Cristo” (Ef 1, 10) cotalché sia “tutto e in tutti Cristo” (Col 3, 11).

Non mancheranno di sicuro coloro i quali, misurando alla stregua umana le cose divine, cercheranno di scrutare quali siano le secrete mire del Nostro animo, torcendole a scopo terreno ed a studi di parte. A recidere ogni vana lusinga, diciamo a costoro che Noi altro non vogliamo essere, né col divino aiuto altro saremo dinanzi alla società umana, se non il Ministro di Dio, della cui autorità siamo depositarî.

Gli interessi di Dio saranno gli stessi Nostri; pei quali siamo risoluti di tutte spendere le Nostre forze e la vita stessa. Per lo che, se alcuno da Noi richiede una parola d’ordine, che sia espressione della Nostra volontà, questa sempre daremo e non altra: “Restaurare ogni cosa in Cristo”».

La situazione era così drammatica che soltanto ricapitolando ogni cosa in Cristo si poteva riposizionare il mondo cattolico nella giusta direzione, minato da Americanismo e Modernismo. San Pio X, conscio della sua responsabilità, rappresentò, sulla scia dei suoi predecessori, la sapienza della Tradizione della Chiesa, quella che sarà superata dai novatori, spregiudicati e alternativi: i veri ribelli del magistero pontificio. Egli rappresenta ancora il punto più alto, nel tempo di attacco frontale alla Chiesa, di fedeltà e di rispetto dell’autorità e della sapienza della Chiesa, quella avocata da Leone XIII:

«Non intendiamo Noi certamente ripudiare tutte le conquiste del genio dei nostri tempi; che anzi quanto di vero con lo studio, o di buono con l’operosità, si ottenne, Noi lo vediamo con piacere aggiungersi e accrescere il patrimonio della scienza e dilatare i confini della pubblica prosperità. Ma tutto questo, perché non venga privato di sola utilità, deve esistere e svilupparsi nel rispetto dell’autorità e della sapienza della Chiesa». Papa Pecci prende molto sul serio l’errore dell’Americanismo e lo radiografia:

«Innanzitutto, per coloro che vogliono tendere all’acquisto della perfezione cristiana, si rigetta, come superfluo anzi come poco utile, ogni esterno magistero; lo Spirito Santo, dicono, ora, meglio che nei tempi passati, effonde larghi e copiosi i suoi carismi sulle anime dei fedeli, e con un certo misterioso impulso le ammaestra e le conduce, senza alcun intermediario. È certamente non lieve temerità voler definire la misura, con cui Dio si comunica agli uomini; ciò dipende unicamente dalla volontà di lui, ed è egli liberissimo dispensatore dei doni suoi. “Lo Spirito spira dove vuole”[23]. “A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo”[24]». Nuove tesi sull’azione dello Spirito Santo hanno preso posto nella «teologia pneumatica», per ricondurlo sulle vie della storia dell’uomo e rinnovare così la vita cristiana. In definitiva tutto diventava e diventa lecito perché l’esperienza umana (senza nessuna prova soprannaturale) può essere sottoposta al soffio della Terza Persona della Trinità. Ma ai banditori del «Soffio» divino, diretto sulle persone e sugli eventi che essi ritengono illuminati, Papa Pecci così risponde:

«E chi poi ripercorrendo la storia degli apostoli, la fede della chiesa nascente, le battaglie e i tormenti dei martiri eroici, di quelle antiche età così feconde di uomini santissimi, chi oserà porre a confronto i tempi passati con i presenti e affermare che quelli sono stati meno favoriti dalle effusioni dello Spirito Santo? Ma, pur tacendo di ciò, nessuno dubita che lo Spirito Santo, con azione misteriosa, agisca nelle anime dei giusti e le stimoli con illuminazioni e impulsi; se così non fosse, vano sarebbe ogni aiuto e magistero esterno».

Lo spirito ereticale tracciava la strada ai fautori dell’Americanismo, esaltando oltre misura le virtù naturali, anche al di sopra di quelle soprannaturali, attribuendo alle prime maggiore efficacia e fecondità: una vera e propria contraddizione, poiché si abbassa la grazia al di sotto della natura, il divino al di sotto dell’umano e le virtù passive a quelle attive, seguendo una gerarchia completamente opposta a ciò che la Tradizione della Chiesa ha sempre dichiarato. Tutte le virtù, in realtà, ribadisce Leone XIII, riprendendo il Magistero di sempre, sono abiti operativi e tutte opportune e necessarie in ogni tempo.

Il Papa si sofferma sull’errore dell’Americanismo di considerare lo Spirito Santo come fattore agente a sé stante, senza relazione con la Chiesa, tipico atteggiamento del Protestantesimo e nell’argomentare ciò cita due Padri della Chiesa: Sant’Agostino e San Giovanni Crisostomo (344/354-407):

«Se taluno afferma di poter corrispondere alla salutare, cioè evangelica, predicazione, senza la luce dello Spirito Santo, il quale dà a tutti la soavità nel consentire e nel credere alla verità, costui è ingannato dallo spirito ereticale», inoltre la Tradizione insegna che «questi avvisi e impulsi dello Spirito Santo, il più delle volte, non si sentono senza un certo aiuto e una specie di preparazione del magistero esterno. A questo riguardo dice S. Agostino: “Lo Spirito Santo coopera al frutto dei buoni alberi, esternamente irrigandoli e coltivandoli per mezzo di qualche intermediario, e internamente dando lui stesso l’incremento”.

Appartiene ciò infatti a quella legge ordinaria, con la quale Dio provvidentissimo, come decretò di salvare comunemente gli uomini per mezzo degli uomini, così stabilì di non condurre ad un grado più alto di santità coloro, che da lui vi sono chiamati, se non per mezzo degli uomini. “affinché. Come dice il Crisostomo, l’insegnamento di Dio ci giunga mediante gli uomini”. Di ciò abbiamo un esempio illustre negli stessi inizi della chiesa: quantunque Saulo, “spirante minacce e stragi”[25], avesse udita la voce dello stesso Cristo e gli avesse domandato: “Signore, che vuoi che io faccia?”, fu mandato in Damasco ad Anania; “Entra nella città, e quivi ti sarà detto ciò che tu debba fare”[26]».

La sapienza insita nella Tradizione della Chiesa, ha sempre raccomandato maestri e guide spirituali, ai quali devono tendere soprattutto coloro che possiedono maggiori doti intellettive e che hanno una maggiore propensione alle realtà più perfette, «per il fatto stesso che si pongono per una via ai più sconosciuta, sono più soggetti ad errore, e hanno perciò più bisogno degli altri», una regola che fu «sempre in vigore nella chiesa; questa dottrina tutti, senza eccezione, professarono quanti lungo il corso dei secoli fiorirono per sapienza e per santità; né alcuno può disconoscerla senza temerità e pericolo».

L’assurda distinzione fra virtù attive e passive

L’istanza americanista di adattare la Chiesa alle esigenze della civiltà moderna, sacrificando antichi canoni, mitigando il rigore, orientandosi verso un metodo più democratico, sarà l’humus su cui verrà coltivato il Modernismo. Haecker e i suoi pretendevano più larghezza alla libertà individuale sia nel pensiero che nell’azione; essi sostenevano che più che l’organizzazione gerarchica agisse sulla coscienza dell’individuo direttamente lo Spirito Santo (chiara influenza protestante). Inoltre era determinante per gli americanisti, come lo sarà per i modernisti, abbandonare e non curare più le virtù passive (mortificazione, penitenze, obbedienza, contemplazione), ma concentrasi e sviluppare le virtù attive (azione, apostolato, organizzazione), per cui era da auspicare un maggior favore alle congregazioni religiose di vita attiva a scapito di quelle contemplative. Leone XIII risponde loro:

«Se non si vuole “correre invano”, e dimenticare la beatitudine eterna, a cui Dio per sua benignità ci destina, quale utilità presentano le virtù naturali, senza la ricchezza e la forza che ad esse dona la grazia divina? Bene dice S. Agostino: “Sono grandi sforzi, un correre velocissimo, ma fuori di strada”. Infatti, come, con l’aiuto della grazia, la natura umana, che per il peccato originale era caduta nel vizio e nella degradazione, viene risollevata e a nuova nobiltà innalzata e corroborata, così le virtù, che si esercitano non con le sole forze naturali, ma con il sussidio della stessa grazia, diventano feconde per la beatitudine eterna, e nello stesso tempo più forti e più costanti». Non si può pretendere che la grazia scenda nel disordine, nella disubbidienza, nella vita mondana e questo per quanto riguarda tutti i fedeli, ma in modo specialissimo per coloro che hanno scelto di vivere conformi a Cristo.

Non possono esistere virtù attive – si potrebbero chiamare anche di carità operativa (per l’Americanismo più idonee ai tempi moderni, le quali assumono un connotato non tanto caritativo quanto solidale, ovvero socio-politico) – divise da quelle passive – si potrebbero chiamare di purificazione e di dominio della propria volontà per conformarsi meglio alla volontà di Dio (per l’Americanismo più idonee ai tempi passati) – le une richiamano e riconducono alle altre, «concorrendovi senza dubbio la grazia divina, se l’atto della virtù è soprannaturale». Non esistono preferenze cronologiche per le virtù, esse esistono, come la Tradizione insegna e dimostra, unificate (le virtù incidono inesorabilmente sulle azioni) e hanno come modello Cristo. «Maestro ed esemplare di ogni santità è Cristo; su di lui si devono modellare quanti desiderano entrare in cielo. Ora Cristo non muta col passare dei secoli; ma è “lo stesso ieri, e oggi e nei secoli”[27]. È perciò agli uomini di ogni età che si dirigono quelle parole; “Imparate da me che sono mite e umile di cuore”[28]; in ogni tempo Cristo ci si presenta “fatto obbediente fino alla morte”[29]; e vale per ogni età l’affermazione dell’apostolo: “Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la loro carne con i vizi e le concupiscenze”[30]. Piacesse a Dio che queste virtù fossero oggi praticate da molti, come le praticarono i santi uomini dei tempi passati! Quelli, con l’umiltà, con l’obbedienza, con l’abnegazione di sé furono potenti in opere e in parole, con vantaggio sommo della religione e della società civile!».

Dal disprezzo che gli americanisti (alias modernisti) avevano e continuano ad avere per le virtù evangeliche, da essi considerate «passive» e viste come negative, è normale che, di conseguenza, ci sia da parte di costoro un disprezzo verso la stessa vita religiosa. Questo pragmatico e rivoluzionario pensiero, che vede nell’azione sociale la migliore espressione del Vangelo, vissuto fra bisogni ed istanze politiche, educative, assistenziali, sanitarie… porta ad avere una scarsa considerazione di coloro che prendono i voti: «Infatti essi dicono che questi voti si allontanano moltissimo dall’indole dell’età nostra, perché restringono i confini dell’umana libertà; e sono più adatti per gli animi deboli che per i forti; né molto giovano alla cristiana perfezione e al bene della società umana: anzi ad entrambi si oppongono e sono d’impedimento». Oltre ad essere un falso teologico, visto che coloro che si legano a Cristo con la santità dei voti, godono maggiormente e portano santa letizia e benedizioni al prossimo proprio perché svincolati dalle catene del mondo «con cui Cristo ci ha liberati»[31], queste congetture si dimostrano essere un falso storico, come sottolinea lo stesso Leone XIII:

«Le stesse vostre città confederate non ricevettero forse dai membri delle famiglie religiose i princìpi della fede e della civiltà? […] E ora, nei tempi in cui siamo, come alacre e fruttuosa prestano la loro opera al cattolicesimo i religiosi, dovunque essi sono! Tanti di loro vanno a portare l’evangelo in nuove terre e ad estendere i confini della civiltà; e ciò con sommo ardore di volontà e fra grandissimi pericoli! […] Questa lode va tanto ai religiosi di vita attiva quanto a coloro che, amanti di solitudine, attendono alla preghiera e alla penitenza. Quanto questi altresì abbiano meritato e meritino egregiamente dalla società umana, ben lo sanno coloro che non ignorano quel che valga a placare e a conciliare Dio “la preghiera assidua del giusto”[32], quella specialmente che è congiunta con la mortificazione corporale».

La mortificazione corporale era e continua ad essere l’unico mezzo per essere in maggiore e miglior unione con Cristo, a cui il religioso, abbandonando il mondo, ha deciso di appartenere. Perciò «Se vi sono di quelli che preferiscono unirsi in società senza vincolo di voti, lo facciano pure, secondo che loro aggrada; un tale istituto di vita non è nuovo nella chiesa, né riprovevole. Si guardino però dall’anteporlo agli Ordini religiosi; che anzi, essendo ora gli uomini più che per il passato proclivi al godimento, assai maggiore stima è dovuta a quelli che “abbandonato tutto, hanno seguito Cristo”[33]».

Leone XIII allontana l’idea di una Chiesa americana diversa da quella di Roma: la Tradizione ha consegnato questa, non l’altra. Ha consegnato una Chiesa cattolica, non altre chiese: una per unità di dottrina come per unità di regime, «il cui centro e fondamento avendo Dio stabilito nella cattedra del beato Pietro, a buon diritto ha il titolo di romana, infatti “dove è Pietro ivi è la chiesa”. Perciò chiunque voglia essere ritenuto cattolico, deve con sincerità ripetere le parole di Girolamo al papa Damaso; “Io nessun altro seguendo come capo se non Cristo, mi unisco alla tua beatitudine, cioè alla cattedra di Pietro; su quella pietra so che è edificata la chiesa; chi non raccoglie con te, dissipa».

Il carattere che distingue il Pontificato romano dalle istituzioni umane è lo spirito di continuità, d’ininterrotta successione di uomini, di idee, di aspirazioni, di principi in tutto ciò che concorre alla dilatazione del Regno di Gesù Cristo e alla propagazione delle dottrine della sua Tradizione bimillenaria. Mentre la rivoluzione e le eresie che ad essa si legano proclama superbamente: «Il mondo comincia da me», Leone XIII, con la sua Testem benevolentiae nostrae, ubbidì umilmente alla catena magisteriale della Chiesa.

Cristina Siccardi

[1] Cost. Dei Filius cap. IV.

[2] Da Dio agli uomini, 1907. Saggio raccolto in George Tyrrell, Il Papa e il modernismo, Edizioni Enrico Voghera, 1912.

[3] La sua pubblicazione è cessata nel 1996.

[4] P. Parente-A. Piolanti-S. Garofalo, Dizionario di Teologia dogmatica, Roma Studium, 4a ed.

[5] Enciclopedia Treccani, in http://www.treccani.it/enciclopedia/americanismo_res-545223ec-8bab-11dc-8e9d-0016357eee51_(Enciclopedia-Italiana)/, 15 agosto 2014.

[6] Gv 1,18.

[7] Mt 28, 19-21.

[8] Dei Filius, cap. III.

[9] 1 Cor 9, 22.

[10] Dei Filius, cap. IV.

[11] D. Fabre, Le père Roger-Thomas Calmel, Clovis, Suresnes Cedex 2012, p. 314.

[12] Rm 8, 31.

[13] 1Cor 11, 23.

[14] Omelia di Monsignor Marcel Lefebvre, 30 giugno 1988.

[15] 1 Pt 5, 8-9.

[16] S. Lanzetta, Iuxta Modum. Il Vaticano II riletto alla luce della Tradizione della Chiesa, Cantagalli, Siena 2012, p. 102.

[17] K. Rahner, Teologia pastorale, in Dizionario di pastorale, a cura di K. Rahner – F. Klostermann – H. Schild – T. Goffi, Queriniana, Brescia 1979, p. 796. (Originale tedesco: Lexikon der Pastoral-theologie, Herder, Freiburg im Br. 1972).

[18] S. Lanzetta, op. cit., p. 104.

[19] Gv 15, 1ss.

[20] Gv 15, 5.

[21] L. Ott, Compendio di Teologia dogmatica, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1964, p. 377.

[22] Cfr San T. d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, 109, 5.

[23] Gv 3, 8.

[24] Ef 4, 7.

[25] At 9,1. Il testo del passo dice: «Saulo frattanto, sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo, che aveva trovati» (At, 9, 1-2).

[26] At 9, 6.

[27] Eb 13, 8.

[28] Mt 11, 29.

[29] Fil 2, 8.

[30] Gal 5, 24.

[31] Gal 4, 31.

[32] Gc 5, 16.

[33] Cfr Lc 5, 11.

Questo articolo è comparso in lingua francese su Courrier de Rome (septembre 2014). Riportiamo le scansioni tratte dalla rivista (cliccare sulle immagini per ingrandire).

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