Riportiamo in patria i Re d’Italia (2)

stemma sabaudoL’articolo Riportiamo in patria i Re d’Italia della scorsa settimana ha destato un vivo interesse da parte di molte persone, le quali hanno portato alla luce alcune significative considerazioni che è ora opportuno presentare in maniera documentata.

Innanzitutto è da evidenziare il fatto che l’Istituto monarchico, nonostante il comunismo abbia fatto di tutto non solo per affossarne la memoria, ma per infangarlo, anche attraverso una campagna anti-Savoia studiata ad hoc, continua a suscitare interesse in chi, seppur giovane, è sconfortato di fronte al vilipendio e alla dissipazione dei valori della vita, della famiglia, della patria, del Cristianesimo, quei valori di cui la monarchia sabauda è stata interprete attraverso diverse figure esemplari, come furono i suoi 6 beati (Beato Umberto III conte di Savoia; Beato Bonifacio di Savoia, Monaco certosino e arcivescovo di Canterbury; Beata Margherita di Savoia, Marchesa del Monferrato, monaca domenicana; Beato Amedeo IX di Savoia, Duca di Savoia, Terziario francescano; Beata Ludovica di Savoia; Beata Maria Cristina di Savoia, Regina delle Due Sicilie), i suoi Venerabili riconosciuti tali dalla Chiesa, le sue donne e i suoi uomini morti in concetto di santità e quei suoi membri estranei agli interessi rivoluzionari e liberali.

Il senso civico e il senso cristiano si fondono, quindi, in chi desidera il rimpatrio delle salme di Vittorio Emanuele III e della Regina Elena e pertanto ha visto, nell’appello accorato di Maria Gabriella di Savoia, oltre ad una legittima richiesta, anche una corale esigenza italiana, tanto più che l’Italia è l’unico Paese in Europa che ancora mantiene all’estero le salme dei propri Sovrani Capi dello Stato.

Nel 1981, infatti, il Governo greco, subito dopo la morte a Madrid della Regina Federica, autorizzò il rimpatrio della salma e la sepoltura nella Tomba Reale di Tatoi; in Albania (2011), Montenegro (1989) e Serbia (2013) i Governi hanno fatto rientrare, con gli onori militari dovuti al loro rango, le salme degli ultimi Re – Zog di Albania, Nicola del Montenegro e Pietro di Jugoslavia – e delle loro consorti, organizzando solenni cerimonie presiedute dai rispettivi Presidenti della Repubblica; nel 1989 il Governo austriaco organizzò, con il cerimoniale in vigore durante la Monarchia, il funerale dell’ultima Imperatrice Zita; lo stesso cerimoniale è stato adottato nel 2011 per il funerale dell’Arciduca Otto d’Asburgo.

Entrambe le cerimonie funebri sono avvenute alla presenza dei Presidenti della Repubblica austriaca in carica in quegli anni. La salma dell’ultimo Imperatore, il Beato Carlo I (marito di Zita e padre di Otto), è ancora a Madeira non per volontà del Governo austriaco, bensì per l’opposizione al trasferimento delle autorità dell’Isola, della Chiesa locale e della popolazione. Inoltre in Russia i resti dello Zar Nicola II e della sua Famiglia sono stati sepolti, nel 1998, con tutti gli onori a San Pietroburgo e la Chiesa Ortodossa russa li ha canonizzati nel 2000; mentre nel 1965, il Presidente egiziano Nasser fece subito rientrare al Cairo e seppellire con gli onori del caso la salma di Re Farouk.

Alcuni, nel leggere l’articolo precedente, sono rimasti stupiti nell’apprendere le difficili condizioni economiche in cui versarono Vittorio Emanuele III, la Regina Elena ed Umberto II, ma questa è realtà storica testimoniata e verificata. Allo stesso tempo è necessario ricordare la donazione di cui si fece interprete Vittorio Emanuele III, quando decise di offrire allo Stato italiano la sua straordinaria raccolta di monete italiane (Corpus Nummorum Italicorum), la più importante collezione numismatica al mondo: era il 9 maggio 1946 quando scrisse una lettera al Presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, subito dopo l’abdicazione e prima di imbarcarsi per Alessandria d’Egitto.

Il 16 maggio ricevette questo telegramma:

«S.M. Vittorio Emanuele Alessandria d’Egitto

Ho letto al Consiglio dei Ministri la lettera con la quale V.M. annunciava la cessione della raccolta numismatica allo Stato italiano.

Il Consiglio dei Ministri il quale sa apprezzare tutto il valore del dono per la storia del nostro Paese mi ha incaricato di esprimere a V.M. la gratitudine del Governo.

Adempiendo a tale gradito incarico la prego di accogliere i sensi del mio profondo ossequio.

Alcide De Gasperi».

Le ultime due casse di monete che Vittorio Emanuele III aveva trattenuto per completarne la catalogazione (allegando alla sua lettera di donazione una nota nella quale scriveva di trattenerle per tale ragione) furono donate, nel febbraio 1983, da Re Umberto II allo Stato italiano. Il Presidente del Consiglio dell’epoca, il Senatore Amintore Fanfani, fece stimare, proprio in quegli stessi giorni, la collezione completa: risultò del valore di 100 miliardi di Lire.

Ad eseguire la consegna delle due casse, per mandato dello Stesso Umberto II, fu il Marchese Fausto Solaro del Borgo, scomparso il 9 luglio scorso (due giorni dopo la scomparsa di un altro grande gentiluomo dell’Italia retta ed onesta: il Marchese Luigi Coda Nunziante di San Ferdinando), devoto collaboratore e fedele amico di Re Umberto, il quale fece un’altra storica e, in questo caso anche devozionale, donazione: la Sacra Sindone.

L’annuncio della donazione alla Santa Sede nella persona del regnante Pontefice Giovanni Paolo II venne data il 25 marzo 1983, sette giorni dopo che il Re era spirato a Ginevra (18 marzo 1983), dall’avvocato Armando Radice, il quale lesse il seguente comunicato:

«In data 23 marzo, il marchese Fausto Solaro del Borgo ha consegnato a sua eminenza reverendissima il cardinale Agostino Casaroli, segretario di Stato di Sua Santità, una lettera degli esecutori testamentari di Sua Maestà Umberto II, Sua Maestà Simeone di Bulgaria e Sua Altezza Reale il Langravio Maurizio d’Assia, con la quale lo pregavano di informare Sua Santità Giovanni Paolo II che il defunto Sovrano aveva disposto tra le sue ultime volontà che la Santa Sindone conservata nel Duomo di Torino venisse offerta in piena proprietà al Sommo Pontefice (…)», ritenendo, come è scritto nel documento di donazione dello stesso Umberto II, «doveroso per il futuro garantire definitivamente l’affidamento alla Chiesa di una delle reliquie più insigni della Passione di Nostro Signore (…) Unitamente alla Santa Sindone dovrà essere donato quanto pertinente al culto della Medesima, conservato nella Reale Cappella del Duomo di Torino ed, eventualmente, risultante di mia proprietà» (cfr. Maria Gabriella di Savoia, La Sindone nei secoli nella collezione di Umberto II, Gribaudi, Torino 1998, pp. 11-15).

Fra le carte autografe di Umberto II si rinvenne questa preghiera, che risale alla fine del 1933 e fu tratta da un’orazione formulata dal Beato Pio IX: «Signore, che nella Santissima Sindone, entro la quale il Vostro corpo adorabile, deposto dalla croce, venne avvolto… Fateci la grazia che nel giorno della Resurrezione siamo fatti partecipi di quella gloria, nella quale Voi regnate eternamente».

Queste memorie appartengono alla nostra storia, alla nostra identità, al nostro essere italiani.

Cristina Siccardi

Fonte: Corrispondenza Romana

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