San Leone Magno e la nascita di Gesù Bambino

Un piccolo paese del nord d’Italia, un bellissimo chiostro nel quale si muove un presepe vivente, famiglie, tanti bambini, molto silenzio, botteghe medioevali, un paiolo sul fuoco a spezzare il freddo, qua e là lumi a dare bagliori di luce nella velata nebbia pedemontana… e il tutto avviene mentre da un altoparlante una voce legge la Creazione narrata nella Genesi… Non è il racconto di secoli fa, ma un esempio di ciò che avviene ancora oggi, in alcuni luoghi dove la gente ha nostalgia di Nostro Signore e ha bisogno di narrare la vera storia della nascita di Gesù a sé e agli altri, con semplicità, quella semplicità che suggerì a san Francesco di dare vita ad un presepe vivente a Greccio (Rieti).

Vivere il Natale in autenticità significa comprendere che Gesù è incompatibile con il mondo e che il mondo, nemico dell’anima, può essere vinto. Vincere il mondo, allontanandosi da esso, è più facile: certamente il monastero aiuta a far vivere lo spirito rispetto ai rumori assordanti che stanno di fuori. Attualmente, poi, appare un’impresa titanica: tutto ci parla di terra e poco-nulla di Cielo, neppure i pastori della Chiesa, nella stragrande maggioranza dei casi, elevano più le nostre povere e assetate anime.

È possibile guardare alla greppia del Salvatore mentre si guarda, compiacenti, alle illusioni e agli errori del mondo? L’una cosa respinge l’altra, senza soluzione di compromesso. Non è possibile tenere contemporaneamente l’anima su Cristo e sul mondo. La persona per rendersi conto di aver peccato deve aver fatto una scelta di appartenenza a Cristo, altrimenti non sentirà neppure l’esigenza di confessarsi. Appartenere a Cristo significa mettere Dio al primo posto:

«Due infatti sono gli amori da cui procedono tutte le determinazioni umane», spiega Papa Leone Magno (Sermoni 90, 1-3), i cui insegnamenti non conoscono fugacità del tempo «e sono tanto diversi in sé, quanto sono diversi i loro oggetti. L’animo razionale, che non può restar senza amare, ama o Dio, o il mondo. Nell’amore di Dio, nulla è troppo; nell’amore del mondo, tutto è troppo e nocivo. Perciò dobbiamo attaccarci per sempre ai beni eterni, e usare invece dei beni temporali solamente di passaggio; così a noi, che peregriniamo e ci affrettiamo a tornare in patria, qualsiasi forma di benessere in questo mondo serva come cibo per il viaggio, non come attrattiva di una fissa dimora».

Ma da ciò che blandisce con la bellezza, l’abbondanza e la varietà non ci si allontana facilmente, se in tale bellezza non si ama il Creatore delle realtà visibili piuttosto che la creatura. Dio è esigente: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, e con tutte le tue forze» (Mt 22, 37), il comando è assoluto: nulla può sciogliere dal vincolo dell’Amore del Creatore.

E unendo a questo precetto quello dell’amore per il prossimo il Signore ci propone l’esempio della sua bontà, «perché noi amiamo ciò che egli ama e operiamo come egli opera. […] Egli esige in tutto la prestazione del nostro servizio e vuole che noi siamo dispensatori dei suoi doni, perché così chi porta in sé l’immagine di Dio fa la volontà di Dio» afferma ancora san Leone Magno. Ed ecco che Gesù ci ha insegnato a pregare così: «Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra» (Mt 6, 10), non «come in terra così in cielo», ma «come in cielo così in terra».

Al Divino Bambino, seconda Persona della Trinità, che altro potremmo chiedere in questo Santo Natale 2014 se non ciò che già chiedeva in quel sermone il Sommo Pontefice del V secolo, carico di zelo per l’ortodossia della cattolicità e che guidò con sapienza il destino della Chiesa romana, ovvero «assoggetti a sé chi ancora non gli è soggetto, e faccia gli uomini in terra servi della sua volontà, come lo sono gli angeli in cielo? Chiedendo ciò, amiamo Dio e amiamo il prossimo: unico è in noi e non distinto l’amore, quando desideriamo che il servo serva e che il Signore imperi».

Se queste fossero ancora le parole dei nostri pastori a Roma, come altrove, molte più persone troverebbero la forza di vincere il mondo; troverebbero la forza di dire no alla disgregazione delle famiglie, all’aborto, alla teoria del gender, all’eutanasia, alle manipolazioni genetiche, alla degradazione dei costumi, alla disonestà, alla corruzione, all’invasione del credo musulmano…

Se i no giungessero chiari dai ministri di Dio probabilmente Gesù Bambino tornerebbe in carne ed ossa, proprio come accadde nel presepe vivente di Greccio nella notte di Natale del 1223, quando san Francesco lo prese fra le sue braccia. Ma i miracoli, è evidente, arrivano solo dove c’è gran fede e gran bontà.

Cristina Siccardi

Fonte: Corrispondenza Romana

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