Scriptorium – Recensioni. Rubrica quindicinale

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Le tre età della vita interiore – di Padre Garrigou-Lagrange Op. Un libro che ci rammenta che l’unica cosa davvero necessaria è la vita interiore e la vita interiore, senza confessione, è impossibile e il confessore è chiamato a redimere i peccati quando il penitente è veramente conscio delle colpe commesse

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In questi giorni un giovane sacerdote diocesano ci ha raccontato la sua amarezza e, allo stesso tempo, la sua frustrante stanchezza nello stare al confessionale in quanto la maggioranza delle persone si accosta a questo sacramento senza rendersi conto di ciò che sta facendo: essere chiamate a denunciare i propri peccati, pentendosi  di averli commessi; essere invitate a confidare a Gesù Cristo – perché il sacerdote rappresenta Gesù Cristo e non altro – i mali della propria anima per trovare ad essi rimedio grazie al confessore, ponendosi così sulla strada della guarigione con buoni propositi. «Ore e ore di confessione ho svolto durante l’ultima settimana Santa», ci ha rivelato sconsolatamente lo stesso sacerdote, «ma la gente veniva per scaricare su di me i propri problemi di salute fisica, le difficoltà economiche, di lavoro, di studi… il suo essere disoccupato, il suo essere, nonostante sposata, innamorata di un altro uomo… insomma, pensano di venire dallo psicologo, dal consulente legale, dall’assistente sociale… non sanno più che cosa sia un sacerdote, si è persa l’identità presbiteriale e, contemporaneamente, non sentono l’esigenza di ravvedersi, ma di sfogarsi con una persona che è lì per ascoltare le loro miserie non spirituali, ma materiali, nulla più… hanno cancellato la realtà del peccato dalle loro vite, hanno cancellato l’urgenza di lavare l’anima per ritornare ad uno stato di grazia. Quale tragedia!».

La Chiesa del dialogo, la Chiesa sociale, la Chiesa dell’accoglienza sempre e comunque, la Chiesa che ha spesso perso la figura del sacerdote, il mondo del mordi e fuggi, delle informazioni, della pubblicità, del paganesimo hanno imbavagliato l’anima e gli stessi battezzati imputano i propri malesseri esistenziali soltanto al di fuori di sé, incapaci come sono di guardarsi dentro per riconoscersi figli di Dio, desiderosi di essere nella Sua grazia.

La fede è diventata un fatto meramente sentimentale, un modo per aggregarsi in parrocchia o nei movimenti “cattolici” con altre persone per fare qualcosa insieme. La fede non è più un habitus costante, sia privato che pubblico. Dirsi cristiani equivale a dirsi cattolici, dirsi cattolici equivale a dirsi ortodossi, ma anche buddhisti, islamici, induisti… perché siamo nell’era del multiculturalismo, della libertà religiosa, dell’abbraccio interreligioso e l’identità si è smarrita. Ed ecco che andare dal confessore significa parlargli dei propri problemi e non dei propri peccati, perché il peccato è questione vetusta… l’uomo contemporaneo si è liberato di tutto, anche del peccato… Peccato, però, che l’uomo, che lo voglia o no, non può liberarsi da ciò che è realmente, ovvero l’essere un peccatore. Soltanto Maria Santissima è Immacolata, tutte le altre creature, passate, presenti, future non sono immuni dal peccato, il più grande nemico dell’uomo.

Dice bene il giovane sacerdote: è una tragedia!

Le nostre giornate fatte di mille impegni, di mille voci, di mille notizie, telefonate, chat, messaggi, whatsapp… soffocano ogni sospiro dell’anima, privandola di spazio, di ossigeno, di linfa vitale. E l’egoismo sconsiderato porta l’uomo a perdere se stesso.

Come non pensare, allora, alla magistrale opera, senza tempo, in tre volumi di Padre Garrigou-Lagrange Op, Le tre età della vita interiore (Edizioni Vivere in, Roma 2011)? Scrive l’autore:

«L’unica cosa di cui parlava Gesù a Marta ed a Maria consiste nell’ascoltare la parola di Dio e nel viverla. La vita interiore concepita in tal modo è in noi qualcosa di assai più profondo e necessario della vita intellettuale o del culto delle scienze, della vita artistica e letteraria, sociale o politica. Troviamo, purtroppo, molti grandi scienziati, matematici, fisici, astronomi, che non hanno, per dir così, alcuna vita interiore; si dedicano allo studio della scienza come se Dio non esistesse, e nei loro momenti di solitudine non hanno alcuna conversazione intima con Lui. Sotto qualche aspetto sembra ch’essi ricerchino, nella loro vita, il vero e il buono in un àmbito più o meno circoscritto, ma tale ricerca è talmente contaminata dall’amor proprio e dall’orgoglio intellettuale, che vien fatto di domandarci se veramente porterà frutti per l’eternità. Non pochi artisti, letterati, e molti uomini politici s’elevano ben poco sopra questo livello di un’attività puramente umana e, tutto considerato, assai esteriore» (pp. 18-19).

La superbia degli intellettuali a cui fa riferimento il grande teologo domenicano, nell’età contemporanea si è estesa a gran parte dei membri della società scristianizzata occidentale e le anime hanno perso la peculiarità tipica dei membri appartenenti alla Chiesa di Roma: l’umiltà, regina delle qualità di un autentico cattolico. La superbia dei protestanti ha contaminato la Chiesa cattolica, che oggi pensa la misericordia indistinta di un Dio privato di Giustizia. «Molti sembrano pensare che, in ultima analisi, ciò che conta è di salvarsi, e non è quindi necessario essere un santo. […] se vogliamo salvarci dobbiamo prendere la via della salvezza, e questa è in pari tempo quella della santità. In cielo non vi saranno che dei santi, sia che vi siano entrati immediatamente dopo la loro morte, sia che abbiano avuto bisogno di essere purificati nel purgatorio. Nessun entra in cielo se non ha quella santità che consiste nell’essere puro da ogni macchia. Perché un’anima possa godere per sempre della visione di Dio […] ogni colpa anche veniale deve essere cancellata, e la pena dovuta al peccato scontata o rimessa. Se un’anima entrasse in cielo prima della remissione totale delle sue colpe, non potrebbe restarvi, e da se stessa precipiterebbe nel purgatorio per esservi purificata. La vita interiore del giusto che tende a Dio, e che già vive di lui, è veramente l’unica cosa necessaria» (p. 19). L’unica cosa davvero necessaria è la vita interiore e la vita interiore, senza confessione, è impossibile e il confessore è chiamato a redimere i peccati quando il penitente è veramente conscio delle colpe commesse. Chi pensa di andare dal confessore per essere giustificato nel proprio peccato è fuori strada, come fuori strada è quella Chiesa della misericordia che rende lecito ciò che lecito non è agli occhi di Dio. La Chiesa ecumenica scaturita dopo il Concilio Vaticano II è contraria alle leggi del Vangelo, agli insegnamenti di Cristo. Appartenere alla Chiesa di Cristo significa tendere alla perfezione e tendere alla perfezione significa santificarsi. «È evidente che per essere un santo non è indispensabile aver ricevuto una cultura intellettuale, e spiegare grande attività esteriore; basta vivere profondamente di Dio. È appunto quanto vediamo nei santi della chiesa primitiva, di cui molti erano povera gente, e magari anche schiavi; come possiamo vedere in San Francesco, in San Benedetto Giuseppe Labre, nel Curato d’Ars e in tanti altri. Tutti hanno compreso profondamente questa parola del Salvatore: “A che serve guadagnare il mondo intero, se poi perdiamo l’anima? (Mt 16, 26). Se salviamo tante cose per salvare la vita del corpo, che dopo tutto dovrà morire, come non dobbiamo esser pronti a tutto sacrificare per salvare la vita dell’anima destinata a durare in eterno? E non deve l’uomo amare la vita dell’anima destinata a durare in eterno? E non deve l’uomo amare la propria anima più del suo corpo? “Che darà un uomo in cambio dell’anima sua?”, soggiunge il Salvatore (ibid.) Unum est necessarium, dice pure Gesù (Lc 10, 42)» (p. 20). Una sola cosa è necessaria.

(1-continua)

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