«Sono Maria Cristina». La beata Regina delle Due Sicilie, nata Savoia, di Cristina Siccardi

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La «reginella santa» era l’appellativo più ricorrente per la Beata Maria Cristina. “Reginella” perché morta giovanissima, ad appena 23 anni; “santa” perché pervasa da una religiosità così forte da riuscire a far passare il marito, il re Ferdinando II delle Due Sicilie, da una fede sostanzialmente esteriore a una vita di preghiera realmente sentita.

La futura Beata della Chiesa cattolica (la beatificazione è avvenuta nel 2014) a cui Cristina Siccardi dedica una bella biografia («Sono Maria Cristina». La beata Regina delle Due Sicilie, nata Savoia, di Cristina Siccardi San Paolo, Milano 2016, p. 222, €20) era figlia di Vittorio Emanuele I, penultimo Re di Sardegna della dinastia Savoia, poiché dopo la morte del successore, il fratello Carlo Felice, in mancanza di discendenti maschi il titolo sarebbe passato al ramo Carignano con Carlo Alberto.

Maria Cristina era nata a Cagliari il 14 novembre 1812, durante il periodo in cui la corte sabauda era in esilio, poiché il loro Regno era divenuto parte dell’Impero francese di Napoleone. Ritornata a Torino dopo la restaurazione, avrebbe voluto prendere i voti e dedicarsi interamente alla vita contemplativa.

Ma lo zio, Carlo Felice, aveva su di lei altri progetti e desiderava per lei un matrimonio che potesse rafforzare il debole Stato subalpino (la cui scarsa forza militare era appena stata messa in evidenza dall’invasione francese) con un’alleanza matrimoniale che legasse la sua famiglia a qualche potente dinastia. E Ferdinando II di Borbone, discendente di una delle schiatte più prestigiose d’Europa ed erede del trono più importante d’Italia, sembrava (ed in effetti era) un ottimo partito.

L’autrice definisce le nozze con il monarca napoletano «forzate e felici»: forzate, perché, come detto, Maria Cristina avrebbe preferito entrare in convento, ma seppe adattarsi alle richieste dello zio, Carlo Felice, in nome della ragion di Stato, conscia che virtù cristiana è anche il sacrificio delle proprie aspirazioni per un motivo più alto. Però anche felici, perché seppe farsi profondamente amare dal marito e dalla nuova famiglia. Il pur breve periodo di regno (1833-1836) fu ottimo: «Maria Cristina non pensava di riformare lo Stato, ma la sua benefica azione cristiana agiva, per forza di cose, su di esso» (p. 129).

Ed agiva anche sul suo regale consorte, che se non poteva seguire l’intensa vita religiosa di Maria Cristina (tre Messe durante la mattina, Adorazione eucaristica e Rosario nel pomeriggio), almeno partecipava quotidianamente alla prima Messa e al Rosario. Oltre al re ed alla Corte (alla messa mattutina ed al Rosario venivano invitati tutti i famigliari) anche i sudditi del Regno seguivano l’esempio della “reginella santa”: «si parlava più decorosamente, le donne vestivano meno scollacciate e si praticava maggiormente la fede» (p. 135).

Purtroppo il tempo passato a Napoli fu molto breve: dopo tre anni di matrimonio, a soli a ventisei anni di età, Maria Cristina morì per le complicazioni successive al parto in cui dette alla luce l’erede al trono, il futuro Francesco II. Era il 31 gennaio 1836.

Cristina Siccardi, studiosa specializzata in biografie di santi e di beati, si basa in gran parte sull’epistolario della Regina e sui ricordi quotidiani di dame di compagnia e di cameriere, riuscendo quindi a dare una visione dei sentimenti che provava e della vita effettiva che conduceva, lontano quindi dal distacco della storiografia ufficiale e soprattutto dalle calunnie della propaganda liberale, che negò l’amore di Ferdinando per la sua consorte, sia il benefico influsso che ella ebbe su di lui, inventando una serie di calunnie volte a screditarlo, facendolo passare per un villano ed inetto alla politica.

Calunnie di cui la biografia della Siccardi, precisa e puntuale ma che si legge con grande piacevolezza, fa piena giustizia: l’amore coniugale di Ferdinando II – peraltro perfettamente coetaneo di Maria Cristina ed anch’egli nato in un esilio isolano, a Palermo, a causa dell’invasione francese – fu sincero ed altrettanto sincera fu la sua adesione alle pratiche religiose che la consorte propose alla corte napoletana.

Gianandrea de Antonellis

Fonte: Corrispondenza Romana

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