Suor Rita Montella – Cercola (NA), 25 maggio 2015

A causa di impegni precedentemente presi, non posso, con grande rammarico, essere presente qui a Cercola, nella terra d’origine di Suor Rita Montella, fra i suoi parenti, i suoi conoscenti, i suoi amici, i suoi devoti, con Padre Lolli, con Arcangelo Aurino che tanto hanno fatto e continuano a fare affinché Suor Rita venga conosciuta, stimata, apprezzata ed invocata… Per ovviare a questo inconveniente, sarò comunque partecipe attraverso due strumenti: il primo è questa relazione e, il secondo, ben più importante, con la preghiera.

Alla preghiera Cristina Montella (1920-1992) prima e Suor Rita dello Spirito Santo dopo ha dedicato l’intera sua esistenza. La preghiera fu uno stato d’essere continuo in lei e si fece monaca di clausura proprio per poter pregare, ovvero, per poter stare con Dio senza disturbi, senza distrazioni terrene, per parlare con Dio, per adorarlo e stare sempre con Lui.

Come monaca, come sposa di Cristo, volle prendere il nome di Suor Rita dello Spirito Santo. Ieri era Pentecoste. Lo Spirito irrompe nella nostra vita con il Battesimo e lo Spirito Santo, dal Battesimo in poi, continua ad abitare nella persona battezzata, se ella non commette peccati mortali, i quali vengono rimessi, tornando in stato di grazia, quando il sacerdote dà l’assoluzione al penitente. Con il sacramento della confessione il Paraclito, con i suoi doni e i suoi mirabili movimenti, può, nel penitente, tornare in azione. Affermava sant’Agostino, e le sue parole sono perfettamente riprodotte nell’Agostiniana suor Rita:

«Lo Spirito Santo geme in noi, perché fa gemere noi. Non è una cosa da poco che lo Spirito ci insegna a gemere: ci fa capire così che siamo pellegrini, ci insegna a sospirare verso la patria, e per questo desiderio ci fa gemere. Chi invece si trova bene in questo mondo, o meglio crede di starvi bene, chi esulta nelle cose della carne e nell’abbondanza dei beni terreni, e della felicità menzognera, costui ha la voce di un corvo; e il corvo gracchia non geme. Ma colui che conosce il peso opprimente della natura mortale e sa di peregrinare lontano dal Signore e di non possedere ancora quella beatitudine eterna che ci è stata promessa (la possiede con la speranza, ma l’avrà realmente quando il Signore, dopo la sua venuta nel nascondimento dell’umiltà, verrà nella luce della sua gloria), colui che sa tutto questo geme». Suor Rita dello Spirito Santo fu cosciente e degno tempio dello Spirito Santo. E lo fu fin da piccina, grazie alla sua semplicità e alla sua innocenza, tali da farla restare «bambina» anche da adulta (come la chiamava san Pio da Pietrelcina). Sempre fu, si potrebbe dire, strumento musicale dei gemiti dello Spirito Santo.

Prosegue sant’Agostino: «per questo, santamente geme: è lo Spirito che gli insegna a gemere, dalla colomba ha imparato a gemere. Perché molti, infatti, gemono a causa dell’infelicità terrena, perché squassati dalla sfortuna, o gravati oltre ogni modo dalla malattie, perché chiusi in carcere, o avvinti in catene, o sbattuti dai flutti del mare; circondati dalle invidie dei loro nemici, gemono. Ma non gemono, costoro, con il gemito della coloma, non gemono per amore di Dio, non gemono nello Spirito. Perciò, appena liberati da tutte queste tribolazioni, niente sarà più rumoroso della loro gioia, lasciando vedere che sono corvi, non colombe»[1].

Suor Rita fu colomba innocente e nonostante malattie, tribolazioni, persecuzioni, invidie, invidie ed incomprensioni che giungevano da persone a lei più vicine, come alcune sue consorelle del monastero di Santa Croce sull’Arno, ella, gemendo per amore di Dio, entrò in comunione con il Signore e in un modo così speciale ed intimo da essere beneficiata di doni mistici. In lei si verificò ciò che scrisse san Giovanni Crisostomo:

«In virtù dello Spirito Santo noi otteniamo il perdono dei nostri peccati; per opera sua, siamo purificati da tutte le impurità; attraverso la sua mediazione diveniamo, con la grazia che da lui ci proviene, da uomini angeli. Noi, pertanto, non mutiamo affatto la nostra natura umana, ma ci accade qualcosa di ancor più straordinario: pur conservando la nostra dimensione di sempre, partecipiamo tuttavia anche della condizione angelica. A tal segno è la potenza dello Spirito Santo!

Allo stesso modo come il fuoco, bruciando l’argilla, la trasforma in un corpo duro e resistente, non diversamente opera il fuoco dello Spirito Santo: allorché, infatti, esso discende in un’anima buona, questa diviene più salda del ferro, anche se fino a quel momento è apparsa più molle dell’argilla, e l’anima che fino a poco innanzi era ricoperta da tutto il sudiciume dei peccati viene resa esso più splendente del sole»[2].

In questa nostra epoca così malata di peccati, così corrotta, così secolarizzata e lontana da Dio, dove il Crocifisso è un ingombro e non più vessillo dei credenti, è difficile comprendere ciò che sperimentano le anime mistiche. A Cercola, però, le cose sono differenti, perché suor Rita dello Spirito Santo è Vostra «sorella»… conoscete la vita, conoscete le sue virtù, conoscete lo stretto legame che la unì a Padre Pio, conoscete la sua santità… dunque si parla a persone che la amano e che la pregano. Nonostante ciò è impossibile capire fino in fondo ciò che provano le anime mistiche come quella di Suor Rita Montella. A nessuno, infatti, è dato di sapere ciò che il Signore con ineffabile liberalità elargisce ai suoi amici. Diceva il Padre della Chiesa san Giovanni Cassiano: «Del resto, ciò che ogni giorno egli opera e dona ai suoi santi, ciò che infonde abbondantemente in loro per sua speciale munificenza, nessuno lo conosce se non l’anima che ne gode; nel segreto della sua coscienza è essa giudice singolare di tali benefici, e in modo però che non solo non gli è dato di esporli a parole, ma neppure di abbracciarli col senso e il pensiero quando, togliendosi dal fervore infiammato, ritorna alla vista di queste cose materiali e terrene»[3].

Il Signore fu molto prodigo di doni con Cristina Montella.

Ella è la penultima di nove figli. I genitori sono molto poveri. A causa dell’estrema miseria, la piccola va a vivere da una zia. Proprio in questo tempo iniziano le esperienze dirette con il trascendente. In una camera, adibita a sala di cucito, è collocato un ritratto di san Gerardo Maiella: giovane frate coadiutore redentorista. Sarto, cuoco, infermiere, economo. Le stesse mansioni che svolgerà Cristina nel suo futuro di monaca di clausura. Ha appena due anni quando, un giorno, l’immagine del santo si anima: brevi parole e piccole smorfie divertenti impauriscono la bimba, che scappa via. Trascorsi alcuni giorni, Cristina torna nella stanza e da allora si crea un clima disteso fra lei e il suo particolare interlocutore, finché una volta le mani di san Gerardo si allungano, invitandola verso di sé. Cristina si avvicina, mentre il santo, abbracciandola, le profetizza: «Tu ti farai monaca!». I fenomeni mistici diventano per Cristina ordinaria amministrazione. Aveva incontri con Gesù Bambino, Maria Vergine ed il suo Angelo custode e sempre si sentiva dire: «Cristina, non dire nulla a nessuno!». Tornata a vivere in famiglia, la sua esistenza si fa ogni giorno più spirituale. Spesso dorme sul nudo pavimento e, sotto il capo, tiene una pietra. A sei anni inizia a portare un legaccio penitenziale attorno alla vita, per sentirsi più vicina a Cristo crocifisso. Cristina aveva quattordici anni, quando ebbe il suo primo incontro con Padre Pio. Nella notte fra il 25 ed il 26 agosto 1934, mentre era rapita in preghiera, le apparve il Cappuccino. Non l’aveva mai visto. Come il santo del Gargano, con il quale ebbe una frequenza spirituale continua (in bilocazione e in bilocazione andò anche dal Primate d’Ungheria, Jòzsef Mindszenty, testimone della fede e della libertà, processato e incarcerato dal regime comunista), ricevette le stigmate: era il 14 settembre 1935.

Entrò nel monastero delle Agostiniane di Santa Croce sull’Arno (Pisa) il 10 agosto 1940. Sofferenze, persecuzioni indicibili da parte delle consorelle e della Chiesa; vessazioni e dileggiamenti che terminarono con il bavaglio: suor Rita non poté più vedere e scrivere a nessuno dei suoi tanti figli spirituali. Di lei è rimasto tutto gelosamente nascosto, perché non se ne doveva parlare. Come fosse una vergogna. Ma la storia rende giustizia e suor Rita non è figura inferiore a quella delle grandi mistiche della storia della Chiesa, come Caterina da Siena, Anna Caterina Emmerich, Veronica Giuliani, Rita da Cascia…

Il 26 dicembre 1954, suor Rita tenne fra le braccia Gesù Bambino e, mentre in comunità gli insulti alla sua persona si intensificarono, ella seguitò a vivere la Passione di Cristo, a recitare il Santo rosario con Padre Pio alla presenza di Gesù e di Maria Santissima.

Preghiera, penitenza, mortificazione e sofferenza come partecipazione al Calvario di Cristo, con lo scopo preciso di salvare anime, in un’immolazione voluta e cercata per la salvezza degli uomini, proprio come padre Pio. Tutti gli anni Ottanta furono un susseguirsi di sofferenze fisiche, di dolori diffusi, con un cuore che dava segnali negativi. Mentre in comunità gli insulti alla sua persona si intensificavano, ella seguitò a vivere la Passione di Cristo, a recitare il santo rosario con padre Pio, alla presenza di Gesù e di Maria Vergine.

Suor Rita dello Spirito Santo visse nel totale abbandono in Dio. Suor Rita, un po’ come santa Rita da Cascia, era pazza di amore per Lui e quando Dio (che ama di un amore unico e inaudito ogni anima) viene ricambiato, il Premio è grande, già in terra. Ecco allora che Rita sperimenta le estasi, la celeste infusione di letizia spirituale per cui l’animo viene sollevato a quei misteriosi rapimenti del cuore, alla consolazione di gaudi ineffabili ed incredibili nell’orazione tutta colma di fervore… «In tutto ciò», spiega san Giovanni Cassiano, «quanto più la mente avrà raggiunto una purezza raffinata, in modo tanto più sublime contemplerà Dio, ed esperimenterà dentro di sé un’ammirazione sempre maggiore della sua capacità dio parlare o di esporre la sua esperienza a parole. Come infatti chi non ha esperienza non riesce a percepire interiormente la potenza di tale letizia, così chi ne ha non riesce ad esprimerla a parole: come se qualcuno volesse spiegare il sapore del miele a chi non l’ha mai gustato […] E questa è l’opera mirabile di Dio: che un uomo di carne abbia rinnegato, pur restando nella sua carne, gli affetti carnali, e pur nel grande mutamento di cose e di eventi si mantenga sempre nell’identica pace dello spirito, sopportando ogni cambiamento»[4].

«Misticismo» trae origine dal greco μυω, che significa «nascondere». Nel primo Cristianesimo il termine «mystikos» si riferiva a tre dimensioni, che ben presto divennero intrecciate, cioè la dimensione biblica, liturgica e spirituale o contemplativa. La dimensione biblica si rifersice a interpretazioni delle Scritture «nascoste» o allegoriche. La dimensione liturgica si riferisce al mistero liturgico dell’Eucaristia, la presenza di Cristo all’Eucaristia. La terza dimensione è la conoscenza di Dio contemplativa. Dimensioni nascoste, segrete, cariche di mistero.

E come i riti e i dogmi, così anche le esperienze dei mistici costituiscono un segreto; ma esse sono riservate a pochi eletti, che aspirano soltanto a Dio e Lo raggiungono per strade solitarie. La mistica è, in ultima istanza, quella religiosità la quale, per proteggere da ogni profanazione il mistero ineffabile, si rinchiude tutta nella vita interiore.

Nel mistico si manifesta e predomina quella capacità trascendentale, «celeste scintilla», che nella generalità degli uomini rimane al di là della soglia della coscienza, e che condiziona tutte quante le forze vitali, quelle dell’amore e della volontà, più che quelle dell’intelletto, fino a sollevarlo, attraverso la contemplazione e l’estasi, a un nuovo piano di coscienza, nel quale la distinzione di oggetto e soggetto scompare e si celebra l’unione inseparabile tra l’anima umana e il divino. Il misticismo quindi, in quanto sfera del soprarazionale, dell’ unio mystica, porta alla scomparsa dell’io.

La beatitudine del mistico – se è tanto maggiore quanto minore è il contenuto della sua vita – non è il vuoto della coscienza, bensì un’infinita pienezza, dalla quale il mistico è interamente afferrato e plasmato, sicché l’esistenza terrena, il tempo e la decisione nel tempo non hanno, come cose finite, importanza alcuna. Le categorie di spazio e tempo non hanno rilevanza alcuna per il mistico, poiché sono già proiettati nell’eternità, proprio come accadeva a Suor Rita dello Spirito Santo: immanenza e trascendenza coincidono e trovano il loro centro di gravità nell’io che ha abbandonato la sua limitata individualità per assurgere alla compiutezza della comunione con Dio e della comunione dei santi.

Scrive Arcangelo Aurino: «Per la durata dai venti ai quaranta minuti, succhiava direttamente il sangue dal costato del Redentore in una scenografia che ha più del celeste che dell’umano. Con questo dono, divenuto ordinario fin dal giorno della stigmatizzazione […], la protagonista si piazza a livello dei più grandi mistici della spiritualità cristiana»[5].

La «Bambina» di Padre Pio è in grado di leggere i cuori, ma anche di individuare e ritrarre i lineamenti fisici di persone mai viste. Vive per anni senza cibo e senza riposo, alimentandosi con la “sola” Eucaristia, che è il suo Tutto. Intanto continua a svolgere le sue mansioni di infermiera e di cuoca e, allo stesso tempo, ad essere vessata, interrogata, indagata scientificamente, sottoposta a test ed esami clinici.

Suor Rita è vera sposa di Cristo: fare la Sua volontà è l’unica sua ragione di vita. Abbandonata a Lui, si sente protetta e al sicuro e, di sé, desidera donare tutto; ogni fibra del suo essere è tesa a Lui e niente vuole sottrargli, consapevole com’è che soltanto attraverso il dolore si può gustare la vera gioia. Lo Spirito Santo è in lei che vive periodicamente la Passione di Cristo, senza però, si badi bene, conseguenze tragiche, né per il fisico, né per la psiche. Il calice amaro è offerto, accettato, consumato stilla dopo stilla per la salvezza di anime su anime e la gioia, dopo il calice, viene donata a Rita allo stato puro, tanto che ella vorrebbe morire per vivere già nella beatitudine perenne.

Attraverso riscontri clinici sappiamo che Suor Rita dello Spirito Santo, nei suoi stati di sofferenza fisica, raggiungeva anche i 52 gradi di temperatura corporea. Nelle relazioni mediche si dice che ella non aveva nessuna malattia specifica («La tua malattia è mistica» le disse più volte Gesù) e che la «suorina» spirava innocenza, purezza, intelligenza, vivacità, nessun isterismo, nessun fenomeno nervoso, niente di ciò, ma perfettamente equilibrata e dei suoi mali accusati «non si capisce niente»[6].

Suor Rita dello Spirito Santo ottiene miracoli di guarigioni, di conversioni, è dotata del dono della bilocazione, della chiaroveggenza, ha la capacità di presagire il futuro. Previde, fra l’altro, il giorno dell’alluvione del Valdarno il 3 novembre 1966 e il terremoto di Ancona il 13 giugno 1972.

La familiarità fra suor Rita e padre Pio fu esplicita, non solo per il continuo frequentarsi in bilocazione, il vivere in comunione la Passione di Cristo, ma anche per l’uso disinvolto di questi due campani veraci del linguaggio. Lascia scritto suor Eleonora Pieroni, che fu testimone di alcuni incontri di bilocazione, in una lettera del 16 aprile 1950:

«Sono sempre ameni, fra loro, tutti e due. Ed è certo che Padre Pio la tira giù sempre perché non spicchi il volo».

Suor Rita dello Spirito Santo non vedeva l’ora di spiccare il volo, lasciare questa valle di lacrime per raggiungere il Paradiso. Molte anime sono state salvate sia dal Cappuccino Santo, sia dall’Agostiniana di Santa Croce sull’Arno, che aveva orrore del peccato. Il mondo cristiano sembra non avere più né orrore, né paura del peccato e non si crede più all’Inferno. Rita ci credeva e desiderava espiare per coloro che erano in pericolo di cadervici dentro: come Cristo, anche Rita, aveva misericordia delle anime e proprio per questo faceva di tutto perché non si perdessero eternamente. Possa l’Agostiniana Suor Rita dello Spirito Santo intercedere ancora, affinché molti aprano gli occhi e continuino a seguire gli insegnamenti del Vangelo e abbandonino gli insegnamenti del mondo. Aborto; fecondazioni in vitro; teoria del gender diffusa a partire dall’asilo, matrimoni omosessuali; adozioni di bambini ai gay; divorzi a macchia d’olio; spappolamento delle famiglie (nucleo di ogni sana società) eutanasia… l’uomo, nell’Europa che era cristiana, vuole fare a meno di Dio e lasciare che siano gli Stati a decidere del suo destino terreno e del suo destino eterno. Suor Rita Montella, come Padre Pio, aveva Fede e avere Fede significa anche credere nell’esistenza del demonio, matrice del peccato (proprio da Satana provenne il peccato originale, inizio di tutti i mali) ed è il peccato il vero e più tragico nemico degli uomini. Il demonio ha paura dei mistici perché essi strappano il peccato dalle anime. Possa la Bambina di Padre Pio continuare a rubargli anime per offrirle all’unico Re dell’Universo, Cristo Signore.

 Cristina Siccardi

[1] Sant’Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 6,2.

[2] San Giovanni Crisostomo, Omelia sulla santa Pentecoste, 1.

[3] San Giovanni Cassiano, Conferenze, 12, 12-13.

[4] Ibidem.

[5] A. Aurino, Suor Rita Montella, monaca agostiniana (1920-1992), Biografia – Missioni – Carismi, Umbriagraf, Terni 2000, p. 66.

[6] C. Siccardi, La bambina di Padre Pio, Città Ideale, Orato 2003, p. 139.

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