A novant’anni dai Patti Lateranensi

A novant’anni dalla sottoscrizione dei Patti Lateranensi, che regolarono i rapporti fra il governo italiano e la Santa Sede, risolvendo la cosiddetta «Questione romana», appaiono più evidenti i pregi di quell’accordo rispetto ai limiti del successivo ovvero il Concordato del 1984, che, in nome di “laicità” e “neutralità”, abolì la religione di Stato, l’indissolubilità del matrimonio inteso come Sacramento e molte prerogative della Chiesa, segno chiarissimo di come le idee liberali in materia religiosa fossero ormai penetrate nei Sacri Palazzi.

Novant’anni fa, l’11 febbraio 1929, nel giorno di Nostra Signore di Lourdes, vennero sottoscritti i Patti Lateranensi, che regolarono i rapporti fra il Governo italiano, presieduto da Benito Mussolini (1883-1945) e la Santa Sede di Pio XI (1857-1939). Proprio con i Patti si istituì la Città del Vaticano come Stato indipendente e si riaprirono i rapporti fra l’Italia e la Chiesa cattolica, laceralmente interrotti 59 anni prima con la breccia di Porta Pia (20 settembre 1870), che aprì la stagione della cosiddetta «questione romana».

Con la presa di Roma da parte delle violente forze anticattoliche liberal-massoniche, e la loro salita al Governo della nazione, il ministro di Grazia, Giustizia e Culti, Matteo Raeli (1812-1875), ebbe l’incarico di redigere una legge per disciplinare i rapporti tra il Regno d’Italia e la Santa Sede, che venne promulgata dal Parlamento il 13 maggio 1871 (n. 214) con il titolo «Legge sulle prerogative del Sommo Pontefice e della Santa Sede, e sulle relazioni dello Stato con la Chiesa», in sintesi chiamata «Legge delle guarentigie», una legge a senso unico, che papa Pio IX non riconobbe. Il Pontefice, con la breccia di Porta Pia, si era chiuso nei palazzi vaticani dichiarandosi prigioniero politico e considerava quelle norme un atto unilaterale dello Stato italiano, poste a danno della Chiesa (e di fatto così era), perciò le dichiarò inaccettabili. Due giorni dopo l’approvazione della legge, il Papa emanò l’enciclica Ubi nos, con la quale ribadì che il potere spirituale non poteva essere considerato disgiuntamente da quello temporale. Nello stesso anno, il 1° novembre, emanò l’enciclica Respicientes ea, dove definiva ingiusta, violenta, nulla e invalida l’occupazione e la presa di Roma da parte delle truppe italiane e la fine dello Stato Pontificio, denunciando anche la violazione del Palazzo del Quirinale, sua proprietà personale, che l’iniquo Governo anticlericale aveva annesso al demanio pubblico per farne la sede del Re d’Italia. Mentre Pio IX definiva la Legge delle guarentigie «un mostruoso prodotto della giurisprudenza rivoluzionaria», lo Stato soppresse tutte le facoltà di Teologia dalle università italiane, sottoponendo i seminari al controllo statale.

Nel 1874, la Curia romana vietò ai cattolici italiani, con la formula del «non expedit» («non conviene»), la partecipazione alla vita politica, divieto che venne progressivamente abolito durante l’età giolittiana, quando i cattolici, sia come elettori che come eletti, rientrarono nelle attività politiche con il Patto Gentiloni del 1913.

Il motto «Libera Chiesa in libero Stato», tanto caro a Cavour, era stato, con la formalizzazione della «Legge delle guarentigie», “finalmente” applicato ai danni della Chiesa. La frase latina Ecclesia libera in libera patria venne utilizzata per la prima volta dal francese Charles de Montalembert (1810-1870), ripresa nell’epigrafe posta all’interno del suo castello di La-Roche-en-Brenil, e poi rilanciata dal pastore calvinista francese Alexandre Vinet (1797-1847), filosofo, teologo e pubblicista, che rimarcò l’importanza di questo principio all’interno degli Stati moderni, dove Dio veniva privatizzato nei cuori e non aveva più alcuna voce in capitolo nella questione pubblica.

L’espressione venne fatta propria anche da Cammillo Benso Conte di Cavour (1810-1861), che usò in occasione del suo primo intervento al Parlamento, subito dopo la proclamazione del Regno d’Italia (17 marzo 1861), che portò alla proclamazione di Roma come capitale, proclamazione formale, visto che tutta la città eterna, fino al 1970, rimase sotto la giurisdizione del Papa. Secondo Cavour, il Pontefice avrebbe dovuto dedicarsi esclusivamente al potere spirituale senza interferire con il potere temporale, solo in questi termini sarebbe stata possibile una pacifica convivenza fra Stato e Chiesa.

Con i Patti Lateranensi, firmati da Mussolini e il cardinale Pietro Gasparri (1852-1934), allora Segretario di Stato, e resi esecutivi con la Legge n. 810, la Chiesa cattolica riconobbe l’esistenza di uno Stato italiano, accantonando ogni pretesa giuridica sul territorio di Roma e allo stesso tempo si attuò una rappacificazione che soddisfò la Santa Sede. Va sottolineato il fatto che, a fronte della piena laicità dello Stato rimarcata nella Legge delle guarentigie, nei Patti del ’29 la religione cattolica venne definita la «sola religione dello Stato», riprendendo in tal modo l’Art. 1 dello Statuto Albertino, la costituzione adottata dal Regno di Sardegna, che rimase in vigore per cento anni, dal 4 marzo 1848 fino al 1° gennaio 1948, quando subentrò la Costituzione repubblicana. Così recitava il citato articolo: «La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi».

Nel trattato bilaterale del ‘29, di carattere giuridico-politico, l’Italia riconosceva la personalità giuridica internazionale della Santa Sede, la costituzione dello Stato della Città del Vaticano, il diritto di legazione attivo e passivo, la piena proprietà sulle basiliche di San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e San Paolo e sul palazzo pontificio di Castel Gandolfo. In base alla convenzione finanziaria venivano risarciti da parte italiana i danni materiali subiti dalla Santa Sede con la perdita del potere temporale. Il concordato regolava «le condizioni della religione e della Chiesa in Italia», riaffermando il carattere cattolico dello Stato. Veniva assicurata piena libertà di culto e il rispetto della giurisdizione ecclesiastica per le materie di sua competenza. Si garantiva, inoltre, un trattamento di favore a persone ed enti ecclesiastici, dando risalto alle attribuzioni delle autorità ecclesiastiche, in particolare in materia di matrimonio, insegnamento, istituti ecclesiastici, anche attraverso agevolazioni tributarie.

Con il nuovo Concordato bilaterale, che subentrò ai Patti Lateranensi nel 1984, sottoscritto dall’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi (1934-2000) e dal Segretario di Stato Agostino Casaroli (1914-1998) – reso esecutivo con la Legge n. 121/1985 (oltre ad un successivo Protocollo dello stesso anno, reso esecutivo con la Legge n. 206/1985)  – si abolirono una serie di privilegi della Chiesa cattolica stabiliti dai Patti del ‘29, considerati ormai “incompatibili” con uno Stato laico e pluralista. È stato quindi abrogato il principio del confessionismo statale, affermando la neutralità dello Stato in materia religiosa. Allo stesso tempo è caduta una serie di esenzioni e di privilegi a favore degli enti ecclesiastici; sono stati definiti gli impegni finanziari dello Stato nei confronti degli enti ecclesiastici e sono stati riconosciuti gli effetti civili al matrimonio contratto secondo le norme del diritto canonico: nei Patti Lateranensi, essendo il matrimonio un «sacramento», veniva considerato indissolubile, nel Concordato dell’84 non più. La legge dei liberali Fortuna-Baslini del 1° dicembre 1970 n. 898 aveva spazzato via il «Concordato fascista» come stava scritto sui cartelli delle manifestazioni di piazza del 1974, l’anno del Referendum sul divorzio.

La libertà religiosa, che a differenza della tolleranza religiosa, pone sullo stesso piano ogni genere di religione, venne dapprima adottata dallo Stato italiano senza Dio per poi entrare in prima linea nei documenti del Concilio Vaticano II (1962-1965), ufficializzando così la penetrazione delle idee liberali in materia di religione all’interno della Chiesa, che oggi ha perso il suo potere spirituale a vantaggio del potere politico.

 

Fonte: Radici Cristiane n. 149 – dicembre 2019

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