Agostino Cottolengo. Pittore e maestro

di Cristina Siccardi – 10 luglio 2013 Corrispondenza Romana

A Nizza Marittima, sulla Costa Azzurra, c’è una grandiosa pala d’altare, nella chiesa dell’Annunciazione, dedicata al Cuore Immacolato di Maria, datata 1847: raffigura la Vergine con la corona regale, il capo circondato da dodici stelle e i suoi piedi, poggiati sulla luna, schiacciano il serpente.

Il suo Sacro Cuore è circondato da raggi di luce. A destra, su un piano prospettico più avanzato rispetto a Maria Santissima, sono raffigurati santa Teresa d’Avila e san Michele Arcangelo, mentre a sinistra si trova san Francesco di Sales e l’Angelo annunciatore. In basso si trova il mare, con una barca a vela. L’autore dell’opera è Agostino Cottolengo, fratello di san Giuseppe Benedetto Cottolengo, è quinto figlio dei dodici avuti dai coniugi Cottolengo. Uno splendido libro uscito in questi giorni lo ricorda: Agostino Cottolengo. Pittore e maestro 1794-1853 (Lidia Botto, Maria Teresa Colombo, Gian Mario Ricciardi, l’Artistica Editrice, Savigliano 2013, pp. 199, € 40.00), con il contributo della Casa Natale di S.G.B. Cottolengo, diretta dalla stessa suor Maria Teresa Colombo.

Nel novembre del 1810, quando Torino è governata dalle autorità napoleoniche, Agostino entra alla facoltà universitaria de l’École spéciale des Arts du Dessin (fondata, come Accademia di San Luca, nel 1652), riordinata sul modello dell’Ateneo di Parigi. «È colto, benestante, seguito dalla famiglia, ma conosce il sapore amaro della precarietà. Fatica, e non poco, ad acquisire prestigio e soltanto dopo il 1830 la sua bottega si riempirà di clienti e di lavoro» (p. 25). Trascorrerà, infatti, anni di incertezze, di committenze saltuarie e poco retribuite, continuamente assalito dal dubbio di aver sbagliato professione e turbato da una compagna costante ed invasiva: la tristezza. Leggiamo, in una lettera del fratello Ignazio, novizio e studente di teologia nel convento di San Domenico di Torino, dove con l’abito religioso ha assunto il nome di fra Alberto Ignazio Francesco: «Carissimo fratello, Un profondo silenzio che a quest’ora regna nel chiostro, mi lascia assai libero il pensiero per vergare questo foglio che a Te indirizzo, mentre vivo mi ridesta il rammarico sofferto nel leggere il tuo patetico scritto. (…) La ragione me la indichi tu stesso; il lavoro improbo e la malinconia. Quanto al primo ti compatisco, perché fosti costretto a ridurti in così facile crisi, ma riguardo alla seconda ti compiango. Converrebbe alcune volte essere duri macigni per non far sì che essa estenda un tale possesso sul cuore! Ma poi, lasciarti abbattere così, da arrecare funesti danni nel fisico e nel morale, non denota un animo virile. La fortezza è una delle virtù cardinali, tolte le quali l’uomo viene a farsi quasi un essere degradato della sua nobiltà…» (p. 28).

A 48 anni Agostino è un artista affermato. È chiamato il «pittore borghese di vescovi e di altari», eppure non è soddisfatto, il suo spirito continua ad essere turbato e malinconico, pare trovare conforto soltanto nei tre fratelli sacerdoti: il santo, il domenicano, il teologo canonico di Chieri. Decide di sposarsi a 51 anni e alla nascita del secondogenito (1847), scriverà al fratello don Luigi: «Vieni in patria, affinché io possa godere il più dolce contento che aver mi possa: quello di consegnare alle mani di un fratello un essere che Dio mi diede, affinché lo mondi, lo santifichi e lo faccia cristiano» (p. 49).

Artista dall’autocritica severa, prese ispirazione da due maestri che egli stimava oltremodo, Raffaello e Caravaggio. Rimase sempre come un grande artista in potenza, senza raggiungere gli ambiti approdi espressivi; così dovette accontentarsi di firmare le sue opere in chiese “minori”, ma che oggi, ai nostri occhi, abituati purtroppo a vedere chiese, prive di sacralità, diventano veri e propri gioielli di Fede e di nobilissima Arte.

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