Chiesa Cattolica: la vita futura secondo il cardinale Newman

Qualche tempo fa nelle chiese si entrava per pregare, per assistere alla Santa Messa, per adorare Gesù Eucaristia, per ricevere i Sacramenti… per espletare tutto ciò che riguarda la sacralità della vita divina (la Grazia) che si innesta con la vita delle anime. Invece, sempre più, in un’accelerazione impressionante, le belle chiese, quelle architettonicamente e figurativamente degne di questa definizione, vengono allestite per espletare tutto ciò che concerne la sfera caduca della vita materiale, ovvero: attività ludiche, artistiche, musicali, di ristorazione, di ballo, di socialità-integrazione… tutto questo grazie al beneplacito della Santa Sede che, attraverso il cardinale Gianfranco Ravasi, responsabile del dicastero del Pontificio Consiglio della cultura, ha redatto direttive rivolte a tutte le comunità ecclesiali su La dismissione e il riuso ecclesiale di chiese. Linee guida (17 dicembre 2018). Il documento, come si era già spiegato su queste colonne, Corrispondenza Romana (8 maggio 2019), senza minimamente fare alcun accenno di autocritica ecclesiastica per una Chiesa emorragica, che perde sempre più vocazioni e fedeli, impartisce disposizioni che attestano in maniera palese la volontà di rinunciare alle case di Dio come patrimonio divino, per farne patrimonio civico con evidenti scopi di lucro, turistici o sociali che siano. La stessa nefandezza nel destino delle chiese assegnato dalla Chiesa di Roma, la vivono anche le chiese rette da protestanti: ormai protestanti e “cattolici” si scimmiottano a vicenda, perdendo sempre più rispettabilità e onore.

L’ultimo caso eclatante, in ordine di tempo, di riuso delle chiese vuote di fedeli è stato quello della cattedrale di Rochester, la seconda più antica d’Inghilterra dopo Canterbury, fondata nel 604 e consacrata da sant’Agostino di Canterbury (534-604), l’apostolo d’Inghilterra inviato da papa Gregorio I nel 597 al cospetto di re Ethelbert del Kent (552 ca.-616/618). In questa chiesa, retta ormai dagli anglicani, si invitano i fedeli, in questa estate 2019, a cimentarsi nel mini-golf…. con lo scopo di far frequentare il “luogo di culto”. «Open now! Sfida i tuoi amici e la tua famiglia a una partita ad Adventure Golf a tema ponti durante le nostre attività estive gratuite!» è l’annuncio diramato sui social dai webmasters della cattedrale stessa, dove sono state collocate, nella navata centrale, nove buche per nove ponti, che riproducono quelli più importanti della nazione. Ha dichiarato la reverenda Rachel Phillips della diocesi anglicana: «Speriamo che, giocando ad Adventure Golf, i visitatori riflettano sui ponti che devono essere costruiti nella loro vita e nel nostro mondo di oggi» (fonte: Tempi). Molti pastori, “cattolici” o protestanti (e le due religioni non sono più così distanti fra di loro a motivo delle loro ecumeniche asserzioni e azioni), sono ormai divenuti dei prestigiatori da circo, delle caricature di se stessi, delle grottesche maschere che hanno perso il lume della ragione. Leaders “cattolici” e anglicani sperano di richiamare l’attenzione non verso la dottrina della fede, ma verso se stessi. Il 16 luglio u.s. il neo vescovo di Imola, Giovanni Mosciatti, ha festeggiato il suo ingresso in diocesi con un concerto personale, facendo anche un giro in autodromo. «“Più forte, più forte: fatevi sentire!”. Ai piedi della Rocca Sforzesca di Imola la rockstar incita il pubblico. Domina la scena, l’ugula non mente, il timbro della sua tromba vibra nell’aria, sicura, la croce gli danza sul petto… Aspetta, un attimo. Calma. Ma che ci fa un vescovo davanti a centinaia di persone su un palco, a cantare a squarcia gola? Chissà quanti si saranno posti la stessa domanda vedendo il nuovo pastore della diocesi d’Imola, monsignor Giovanni Mosciatti, 61 anni, originario di Fabriano, nelle Marche, a suo agio tra le note di Battisti e dell’Equipe 84. E pensare che poche ore prima si trovava sotto l’altare della cattedrale di San Cassiano a ricevere la sua consacrazione episcopale» (fonte: Il Resto del Carlino).

Il prossimo 13 ottobre papa Francesco canonizzerà il cardinale John Henry Newman (1801-1890), “Dottore della Chiesa in pectore”. La contraddizione fra un testimone della Fede e della Verità rivelata del calibro di Newman e le comparse del presente teatro ecclesiastico è sconcertante: il quadro che ci offrono gli uomini contemporanei della Chiesa terrena rimanda, cinematograficamente parlando, alle visioni felliniane (pensiamo alla passerella degli abiti ecclesiastici del film Roma del 1972), producendo una squallida rappresentazione tragicomica composta da teatranti mefistofelici. Se Newman, presto santo, assistesse alle condizioni in cui versano la dottrina cattolica, le liturgie (profanate), le chiese (profanate), i seminari, nonchéi capi dissennati, non si convertirebbe più al Cattolicesimo, come invece avvenne proprio grazie alla dottrina, alle chiese (in particolare quelle di Milano e della Sicilia, che visitò con amore e dedizione, lasciando pagine indimenticabili), alle liturgie, ai santi: «La mia anima sia con i santi! Proprio a me toccherebbe alzare la mano contro di loro? Che piuttosto la mia mano destra dimentichi ogni sua arte e si dissecchi come la mano di colui che una volta osò stenderla contro un profeta di Dio! Anatema all’intera schiatta dei Cranmer, Ridley, Latimer e Jewel! Periscano i nomi di Bramhall, Ussher, Taylor, Stillingfleet e Barrow dalla faccia della terra, prima che io mi rifiuti di prosternarmi con amore e venerazione ai piedi di coloro la cui immagine ebbi sempre davanti agli occhi e le cui armoniose parole risuonarono sempre al mio orecchio e sulle mie labbra!», così egli scrive nella sua Apologia Pro Vita Sua (Jaca Book, Milano 1995, pp. 145-146), autobiografia dove ripercorre in maniera sublime il suo sofferto, lungo e avvincente cammino di conversione d’anima e di intelletto (con i sentimenti giunse all’approdo prima di dare piena ragione al suo assenso, perché, per coerenza e onestà intellettuale, volle abbracciare la Chiesa di Roma soltanto quando arrivò al pieno sviluppo delle sue tesi teologiche senza influenze emozionali).

Nel primo sermone della sua raccolta dei Parochial Sermons (Sermoni parrocchiali), intitolato La Santità è necessaria per la beatitudine futura, Newman, in quei primi giorni del suo ministero come parroco di St. Mary the Virgin a Oxford, affermò: «quella vita futura si svolgerà alla presenza di Dio, in un senso che non si applica per la vita presente; cosicché può essere meglio descritta come una interminabile e ininterrotta adorazione dell’Eterno Padre, Figlio e Spirito Santo». Newman per il suo sermone prese le mosse da un passo della Lettera agli Ebrei di san Paolo: «La santificazione, senza la quale nessuno vedrà mai il Signore» (Eb 12,14).

L’autore sostiene che in questa vita terrena le persone possono scegliere cosa fare o almeno desiderarlo, mentre in quella futura saranno certe di ottenere ciò a cui aspirano. Ma è proprio questa aspettativa che Newman intende correggere e il suo giudizio è realistico: spesso, troppo spesso, non si dà importanza e non si apprezza ciò che è necessario essere e fare per la vita dopo la morte: «Pensiamo di poterci riconciliare con Dio quando vogliamo, come se null’altro sia richiesto se non un’attenzione temporanea, un tantino più dell’ordinario, ai doveri religiosi. Pensiamo che basti una certa maggiore austerità, durante l’ultima malattia, nel presenziare alle funzioni religiose, come gli uomini d’affari sbrigano la corrispondenza prima di un viaggio o ordinano le loro carte per presentare un bilancio» (J.H. Newman, Sermoni sulla Chiesa, ESD, Bologna 2004, p. 839).

Nel Paradiso, secondo il santo Cardinale, non si fa ciò che piace alle anime impure: «Qui ognuno può fare quello che gli piace, ma lì bisogna fare quello che piace a Dio». Allora il Cielo non sarà un luogo per consolidare i propri interessi mondani, grandi o piccoli, o per estendere la propria sfera di influenza o per accrescere il proprio prestigio. «Quivi sentiamo parlare unicamente e soltanto di Dio». Allora la cosa si fa assai seria. Si dovrà dar conto di tutto, anche delle case del Signore allestite come campi da golf, restaurants, gallerie espositive e quant’altro. In una immagine davvero straordinaria, a causa del modo in cui viene elaborata, Newman afferma che essere in Cielo sarà come essere in chiesa! Lì loderemo Dio, Lo adoreremo, canteremo a Lui, Lo ringrazieremo, ci doneremo a Lui e chiederemo la Sua benedizione costante, perenne, eterna. E così, come avviene qui e ora, alcuni troveranno tutto ciò delizioso, ma altri, semplicemente, lo odieranno (come fanno i demoni) e perciò non vorranno neppure stare in Paradiso. Padre John Henry dice che non dovremmo stare in un banco di chiesa per sempre o in quale modo ci si “divertirà”, ma che saremo felici di stare in Dio se durante la nostra esistenza in terra avremmo accettato le grazie del Signore e se avremmo fatto la Sua volontà.

Il giorno dopo la sua morte il celebre quotidiano The Times pubblicò un elogio funebre che terminava con queste parole: «Di una cosa possiamo essere certi, cioè che il ricordo di questa pura e nobile vita durerà e che… egli sarà santificato nella memoria della gente pia di molte confessioni in Inghilterra, se Roma lo canonizzi o no… Il santo che è in lui sopravvivrà».

I santi si riconoscono al fiuto, non a caso si parla di «profumo della santità» e quello di Newman è essenza sopraffina che dovrebbe creare vertigini, collassi e, chissà, anche conversioni, ai commedianti di oggi se solo avessero la voglia e l’umiltà di conoscere colui che in piazza San Pietro sarà annoverato fra i campioni della perfezione cristiana.

Cristina Siccardi

Fonte: Corrispondenza Romana

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