I fendenti di Luce divina di Piotr Merkury

di Cristina Siccardi – 13 Maggio 2018 La Domenica di Riscossa Cristiana

Ammirare le opere di Piotr Merkury significa entrare nella dimensione della sacralità, uscire dal mondo per immergersi nella contemplazione di soggetti sacri che parlano, comunicano, che ti guardano dentro, ti colpiscono al cuore, ti sciolgono l’anima e ti invitano a pregare. Non voleva essere definito «pittore religioso» a causa dei temi proposti nelle sue opere: «Io sono un pittore religioso anche quando dipingo una natura morta», diceva. Dietro ad ogni suo elemento raffigurato era evidente la presenza del Creatore. Ecco perché tutto ciò che ci resta della sua fruttuosa produzione artistica è profondamente e nobilmente elevato. I dardi spirituali che fuoriescono dalle sue tele e dalle sue vetrate sono inevitabili, non li puoi scansare, non li puoi dribblare, arrivano intensamente, come spine d’amore. Spine? Perché la sfera a cui ti fa accedere questo grande artista è talmente distante dal vissuto del pensiero contemporaneo, avulso dallo spirito trascendente, nemico delle realtà divine, che il contrasto fra ciò che è nelle corde sacrali dell’autore e ciò che ne sta fuori è sorprendente per l’urto pungente che procura a chi è dato di stare di fronte alle sue immagini.

Artista controcorrente e contro il concetto di arte come prodotto da accettare e valorizzare sebbene brutto, sebbene perverso nel suo messaggio, ma accettato e valorizzato perché espressione soggettiva di un qualcuno che la “critica” mondana definisce “artista”. Piotr Merkury rappresenta il riscatto dell’Arte che ha per finalità la Bellezza, ma anche il riscatto dell’Arte Sacra che ha per approdo il porto della fede, ingresso agli spazi della Trinità, della Madre di Dio e di tutti i Cittadini della Gerusalemme celeste, ovvero gli Angeli e i Santi.

Nelle sue mirabili opere emerge tutto il patrimonio della Russia cristiana e quello dell’Arte cristiana occidentale, nonché tutto il genio personale con il quale ha saputo dare un’impronta inconfondibile al molto che ci rimane di questo poeta della Bellezza visiva, del quale si parlerà all’Università Tor Vergata di Roma giovedì 17 maggio con un convegno dal titolo Ricordo di Piotr Merkury, dove interverranno il Professor Stefano Gallo, il Professor Eugenio Lanzillotta, la Dott.ssa Barbara Ferabecoli.

Sullo sfondo della locandina del Convegno: Autoritratto verde, 2005, tempera su tavola, cm. 70 x 63, Collezione privata.

 

Questo pittore, che maneggiava matite e pennelli, disegni e colori, tele e vetro come un direttore d’orchestra, non concepiva la vita senza fede e poiché l’Arte era parte imprescindibile della sua vita, non concepiva l’Arte Sacra senza la fede. Non inseguì mai consenso ed applausi, il suo lavoro era svolto nel silenzio, nell’eremitaggio e al cospetto di Dio. Inseguì sempre la tensione alla perfezione nel tentativo di riprodurre in questo mondo il soffio trinitario, lasciandone traccia, a livello internazionale, in chiese, luoghi pubblici e privati. Ecco dunque la sua incompatibilità con l’arte “sacra” contemporanea, che sacra non è, avendo gran parte dei pastori rinunciato, a cominciare dal rito della Santa Messa e dal Catechismo, a trasmettere la fede in quanto tale, con l’intenzione di avvicinarsi ai lontani dalla Chiesa (fossero atei o protestanti o ebrei o musulmani o buddhisti…) e così facendo si sono sempre più allontanati dalla Verità portata dal Redentore.

Piotr Merkury prima di essere un grande artista era un credente. Per questo la sua vita si identificò con la sua mirabile arte di pittore e di progettista di vetrate.

Era nato il 29 maggio 1951 ad Ossiniki, villaggio a 354 chilometri a sud del capoluogo Kemerovo, che all’epoca era una cosiddetta «colonia aperta», un luogo di confino sperduto nella Siberia meridionale destinato alle famiglie dei deportati, considerati «nemici del popolo». Anni prima, durante la collettivizzazione (dal 1929 al 1933) e successiva deportazione era morto fucilato in un gulag siberiano il nonno materno, ed erano periti, sempre durante la deportazione, nel gelo e nella malsanità, anche due fratellini e la nonna. Sua mamma gli cuciva la croce nei vestiti per evitare che qualcuno lo vedesse e lo deridesse a scuola.

Nonostante tutto il male subito, egli ha saputo purificarlo con il lavacro della fede. Credo ortodosso, riti liturgici immutati nel tempo e studi artistici compiuti a San Pietroburgo, svolti una volta liberato dal gulag, hanno forgiato un uomo idoneo alla nobilissima mansione, come lui stesso la concepiva, di intingere il pennello nei misteri divini. Tuttavia la Provvidenza l’ha chiamato a vivere nel cuore della Cristianità, ovvero a Roma a cui era fortemente attratto. Innamorato dell’Arte Sacra italiana e di quella gotica – entrando nella Cattedrale di Chartres i suoi occhi si inumidivano e si illuminavano di luce, come ci racconta la sua migliore allieva Barbara Ferabecoli – è diventato esempio filosofico e tangibile di come la Bellezza abbia la sua sorgente in Dio.

Tabernacolo in vetro soffiato e istoriato retroilluminato (la chiave per aprirlo si trova dove il capo del Cherubino), Parrocchia Beata Maria Vergine Immacolata, Palma di Montechiaro – Agrigento, 2003, cm. 150 x 150.

 

La sua è stata una vera e propria chiamata. Fin da piccolo aspirava a divenire pittore. Nonostante il clima di terrore presente nel gulag, gli era capitato di vedere delle icone ed era rimasto affascinato dal misticismo che emanavano e dalla devozione che riuscivano a suscitare. Sarà proprio la sua spiccata religiosità a spingerlo verso gli studi artistici. Tanto più la fede era negata, tanto più si radicava nel suo essere la sete di Bontà e di Bellezza da traslare nell’Arte, nella luce trascendente, protagonista dei suoi lavori oranti.

Le Sacre Scritture sono sempre state la sua fonte principale d’ispirazione e tutto ciò che realizzava era mosso dall’amore per Dio, per il Suo Regno in Cielo e in terra: bellezza, armonia ed equilibrio sono sempre stati la trama e l’ordito delle sue composizioni. Ecco che in lui non ha mai trovato spazio di manovra il calcolo personale e la logica commerciale in quanto ha sempre dipinto, come egli stesso affermava, «per Bontà, Saggezza, Eternità».

Talento naturale sommato al dono della fede, nella tragica esperienza del materialismo comunista, si è sempre negato ai riflettori del mercimonio dell’arte contemporanea, scegliendo di servire un solo Padrone, il Signore. Il suo modo di agire dà a noi testimonianza che l’orrido dell’arte contemporanea può essere vinta non certo nei “salotti” dei senza Dio, compresi quelli di molti ecclesiastici, ma nelle coscienze delle persone. A 17 anni Piotr, spinto dalla sua voglia di diventare pittore secondo la lirica di chi vuole porsi al servizio della Bellezza di Dio, giunse, con tutte le difficoltà della sua condizione di “osservato” speciale, a San Pietroburgo, che dal 1924, con la morte di Lenin, era diventata Leningrad. Non solo sopravvisse, ma riuscì a frequentare, dal 1969 al 1973, la Scuola Superiore di disegno ed arti applicate V. Muhina; dal 1973 al 1979 a diplomarsi con lode all’Accademia di Belle Arti in disegno e pittura monumentale, dove era entrato superando un arduo esame di ammissione; dal 1979 al 1981 a specializzarsi all’Accademia di Belle Arti in disegno e pittura monumentale con il professor A. Mylnikov. Fu sempre studente modello, meritando, al termine del percorso accademico la medaglia d’oro.

Gesù, 2002, tempera su tavola, cm. 113 x 83, Collezione privata.

 

Proprio nell’Accademia di San Pietroburgo incontra l’Arte italiana e grazie ad un viaggio premio visita per la prima volta l’Italia nel 1979, offrendogli l’opportunità di familiarizzare con l’opera dei grandi artisti del Quattro-Cinque-Seicento, Leonardo, Giorgione, Tiziano, Raffaello, El Greco, Van Dyck, Rubens, Velazquez, Caravaggio, Rembrandt, che aveva già avuto modo di vedere all’Ermitage, uno dei musei più ricchi del mondo, contenente inestimabili raccolte d’arte antica e moderna. Nasce così un profondo amore per questa terra e per la sua arte, tanto da sentirsi a casa e di sceglierla come patria d’adozione, diventandone cittadino nel 2011. Nell’introduzione al catalogo La metafisica della Luce di Piotr Merkury. Dipinti – Vetrate – Disegni della mostra a Villa Mondragone di Roma, organizzata e allestita nel 2005 dall’Università degli Studi Tor Vergata, Francesco Negri Arnoldi scrive:

«Pittore russo approdato ormai da tempo sul suolo italico, Merkury porta con sé, dentro di sé l’anima della sua lontana patria, la Siberia. Non negli aspetti esteriori, ma nello spirito; uno spirito intriso di profonda religiosità, uno spirito ricco di emozioni interiori. La sua pittura, alimentata da una vivace fantasia inventiva, sembra riproporre forme e valori propri di quella antica cultura figurativa che ha improntato per secoli la produzione d’arte sacra. Innegabile, nei suoi modi di espressione, è infatti il richiamo ai canoni della pittura bizantina. E non solo nella forma, spesso anche nei contenuti». Come non trasalire di fronte al suo Cristo regale, maestoso, imperiale, tanto amabile quanto potente giudice da desiderare di piegare le ginocchia per adorarlo? Come non rimanere fulminati dalle sue Madonne bellissime, dolcissime, soavissime, così materne da desiderare di essere da lei protetti, confortati e illuminati? Come non provare ribrezzo per il ciarpame spesso prodotto nella nostra contemporaneità, avallato da una committenza ecclesiastica dimentica di ciò che è sacro, di ciò che rende gloria a Dio, di ciò che invita al raccoglimento e all’orazione? Come non esaltare i suoi angeli, carichi del loro ruolo e di celestiale musica che pare fuoriuscire con note magnificenti dalle figure impresse con forme e colori che mai turbano, ma che rubano occhi e cuore? Altro che i falsi, brutti, informi “angeli” antropomorfi e psicopatologici del decantato Marc Chagall…

Madonna sul blu, 2004, tempera su tavola, cm. 30 x 18, Collezione Barbara Ferabecoli.

 

In San Giorgio, Salomone, Ester, Apocalisse, Pietà, Destino, Crocifissione, Passione di Gesù, Eclissi, Fuga in Egitto, Madonna verde, Trinità, Terrore… emerge l’anima occidentale e russa insieme: due tradizioni che si integrano nell’elaborazione personale di un Maestro che ha sfidato, rimanendo in piedi, sia il pensiero tirannico sovietico, sia il liberismo occidentale, rimanendo pienamente se stesso e fedele ai principi evangelici, nonostante la drammatica esperienza culturale e anticristiana dell’Europa odierna.

La vetrata istoriata del 2003, dal titolo Re Magi (cm. 55×70), è un capolavoro dal forte impatto religioso: la Vergine Maria, finissima ed elegantissima nella sua sapiente umiltà di Madre di Dio e della Chiesa, riceve beata e sorridente, con l’Infante divino fra le braccia, questi sacerdoti zoroastriani, che qui ed ora riconoscono il Re dell’Universo, mentre la Luce divina s’inonda dal vetro lavorato a ricamo. E l’adorazione di questi scrutatori delle stelle, così plasticamente trasmessa, si fa nostra.

Re Magi, in vetro soffiato e istoriato, 2003, cm. 55 x 70, Collezione privata.

 

Il suo lavoro partiva sempre dal disegno, realizzato con precisione fiscale: costruzione lineare e pulita del tratto con la matita o del carboncino, poi arrivava la stesura cromatica con chiari e scuri intercalati spesso da fendenti lame di luce. A San Pietroburgo glielo avevano insegnato e lui era diventato un ricercatore, uno scienziato del disegno. Al contrario, in Italia, le Accademie non insegnano più come si diventa veri pittori e veri progettisti di Arte monumentale perché l’arte contemporanea ha sabotato invasivamente il magistrale patrimonio docente che ci apparteneva.

«Nel panorama dell’arte novecentesca europea», scrive ancora Francesco Negri Arnoldi, «un pittore come Merkury potrebbe essere definito “simbolista” […] Ma in realtà la sua pittura più che di evocazioni oniriche si nutre di reali, anche se trascendentali, presenze. Non per nulla Merkury è anche un ottimo ritrattista. Per esprimere tali contenuti Merkury sceglie a volte un linguaggio fiorito, d’ispirazione tardogotica, alla Pisanello; altre volte formule intellettualistiche prossime allo stile di Botticelli, e che ben si addicono alle sue doti di raffinato disegnatore».

No, la sua non è arte astratta e simbolica, è Arte che parla del reale Regno di Dio. «Piotr Merkury, pur se vive e lavora da molti anni in Italia, non si è lasciato sedurre, al contrario di altri pittori della sua terra, dalle mode che infuriavano in Occidente, il picassismo prima e il duchampismo poi, né dalle post o trans-avanguardie, ma è rimasto fedele alla tradizione dell’arte russa, che è quanto dire a se stesso e alla sua propria vocazione» artistica e religiosa (Piotr Merkury. Nuovo maestro del colore di Costanzo Costantini e Galina Smirnova, in La metafisica della Luce di Piotr Merkury. Dipinti – Vetrate – Disegni a cura di Stefano Gallo, Università degli Studi di Roma Tor Vergata, catalogo stampato da om grafica – Roma 2005, p. 19).

Come è avvenuto, allora, che molti suoi connazionali sono rimasti impigliati nelle maglie rivoluzionarie dell’arte? La croce, quella conosciuta nel gulag, l’ha salvato. «Noi vivevamo sotto un controllo quotidiano, ogni giorno bisognava andare alla polizia a firmare, non ci si poteva allontanare. L’idea del comunismo di Stalin non era un’idea politica, era un’idea economica. Far lavorare le persone, milioni di persone senza essere pagati. […] In quell’epoca, dove c’erano i deportati non c’erano chiese; le persone si riunivano per le preghiere, come si faceva nelle catacombe. […] Quando avevo sei, sette anni si era costruita una chiesa piccola, ma con tutto, con le icone. E io giravo dentro e guardavo in alto. Mi ricordo ancora che una volta ebbi uno scapaccione, leggero, perché guardavo sempre verso l’alto» (Ivi, p. 11).

Ha continuato a guardare in alto anche da adulto, fino alla fine, quando è scomparso il 4 novembre 2017.. Guardando in alto si è salvato dalle menzogne dell’arte contemporanea, dalle insignificanze o inganni o mostruosità o depravazioni delle avanguardie, del simbolismo, dell’astrattismo. Tutto ha egli sempre messo in relazione, termine che molto amava, alle realtà divine; così la luce che è riuscito a creare nelle sue opere sia pittoriche che monumentali – che seguivano una lunga incubazione di meditazione e di progettualità – per poi essere realizzate con calma mistica, ha preso, nel corso degli anni, sempre più forma, sempre più vita.

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