I martiri del comunismo

 

Unione Sovietica, Ucraina, Polonia, Albania, Romania,… L’elenco potrebbe continuare. Quanti martiri nei campi dell’orrore allestiti in quei Paesi… Terribile è che ora rischino di essere dimenticati: della maggioranza di loro non esiste neppure un volto, un nome… Sono state fatte perdere le tracce della memoria, perché nulla è maggiormente temuto dai rivoluzionari del ricordo.

 

La teoria secondo la quale la religione cristiana è l’oppio dei popoli, originata da Karl Marx, determinò tutta l’ideologia comunista, a partire dalla rivoluzione dei bolscevichi. La fede cristiana divenne così un terribile pericolo per i marxisti. Il comunismo acquisì una vera e propria forza “religiosa”: il leninismo percepiva il pericolo del Cristianesimo come tradizione valoriale alternativa al comunismo. Fin dal principio della rivoluzione russa furono posti sotto attacco vescovi, sacerdoti, religiosi, laici. Nel 1945, quando i Sovietici presero il potere nei Paesi dell’Europa orientale, compresero subito che l’organizzazione della Chiesa cattolica era forte e capillare, grazie non solo alle parrocchie, ma anche agli ospedali, ai giornali, alle scuole. Ecco che, con solerzia e dovizia, si smantellarono e si avocarono allo Stato beni e attività allo scopo di minare le fondamenta della Chiesa stessa.

«È adesso e soltanto adesso, mentre in intere regioni colpite dalla carestia le persone stanno mangiando la carne umana, e centinaia, se non migliaia, di corpi stanno ingombrando le strade, che noi possiamo (e quindi dobbiamo) confiscare i beni della Chiesa con la più selvaggia e spietata energia, senza fermarci davanti al timore di schiacciare ogni forma di resistenza. È precisamente adesso e soltanto adesso che la stragrande maggioranza delle masse rurali saranno dalla nostra parte o, per lo meno, non saranno in grado di sostenere [la resistenza religiosa]… Più grande sarà il numero di rappresentati del clero e della borghesia reazionaria che riusciremo a giustiziare meglio sarà». Così scriveva Lenin in una lettera, durante la terribile carestia che colpì Russia e Ucraina fra il 1921 e il 1922. Il tono e lo stile dello scritto ricordano molto da vicino le relazioni che generali e ufficiali repubblicani, durante la Rivoluzione Francese, inviavano a Parigi dalla cattolicissima Vandea, dove si consumò il primo genocidio della storia dell’Occidente. Da allora lo sterminio di popolazioni civili divenne, per questi regimi, non più un crimine, ma un “dovere repubblicano”, il modo più efficace di servire il «nuovo che avanza».

Il leader sovietico voleva essere messo al corrente ogni giorno del numero dei preti giustiziati. Secondo padre Leopold Braun, sacerdote americano che officiava la chiesa di San Luigi a Mosca, nel 1934, le 3.300 chiese cattoliche e le 2.000 cappelle esistenti sul suolo russo vennero ridotte a due chiese, lasciate come dimostrazione pubblica a beneficio degli stranieri che, nonostante le accuse di persecuzione, in realtà il Cattolicesimo era presente in Unione Sovietica, in ossequio al principio della libertà religiosa affermato dalla legislazione rivoluzionaria. Quanti martiri in quei campi di orrore… La cosa spaventosa è che rischiano di essere dimenticati: della maggioranza di essi non esiste neppure un volto, neppure un nome… La grande e satanica abilità sovietica è stata proprio questa: far perdere le tracce della memoria, perché nulla è maggiormente temuto dai rivoluzionari della memoria; ricordare vuol dire far sapere alle generazioni successive che le loro radici, la loro civiltà affondano nel sangue di chi non ha rinnegato Cristo di fronte alla barbarie.

La Conferenza episcopale della Federazione russa il 30 gennaio 2002 avviò il programma «Nuovi martiri cattolici della Russia» allo scopo di preparare il processo di beatificazione dei martiri cattolici della Russia nel XX secolo. Come coordinatore del programma venne nominato il prelato Bronislaw Chaplickij. Allo stato attuale sono allo studio 15 servi di Dio.

Giovanni Paolo II durante la sua visita apostolica in Ucraina beatificò, il 27 giugno 2001, una schiera di 25 martiri della Chiesa greco-cattolica ucraina. La denominazione ufficiale del gruppo, in occasione del rito di beatificazione, fu «Mykolay Charneckyj e 24 compagni», composto di 8 Vescovi, 6 sacerdoti diocesani, 7 sacerdoti religiosi, 3 suore ed un laico. Leonid Fedorov (1879-1935), fra i membri, era in realtà di nazionalità russa e non ucraina, ma la sua causa, iniziata per prima, fu poi aggregata a questo gruppo in quanto a quel tempo anche l’odierna Russia dipendeva dal metropolita con sede a Lviv in Ucraina. Nella medesima occasione papa Wojtyła beatificò anche il vescovo greco-cattolici Teodoro Romza (1911-1947), la cui causa era stata condotta separatamente.

Anche nel resto dell’Unione Sovietica e nei Paesi balcanici la persecuzione fu orribile. La cosiddetta «Chiesa del silenzio» prese a vivere la sua Passione nell’isolamento internazionale, abbandonata anche dalla voluta omertà dell’Ostpolitik vaticana.

Tra i numerosissimi cattolici di nazionalità albanese, che durante il regime comunista (1944-1991) hanno subito prigionia, torture e falsi processi, nel tentativo di sradicare il Vangelo e la cultura di un’intera nazione, sono stati selezionati i nomi di 38 candidati agli altari, capeggiati dall’arcivescovo di Durazzo, monsignor Vincenzo Prennushi (1885-1949). Il gruppo di martiri comprende: due vescovi, 21 sacerdoti diocesani, 7 sacerdoti francescani, 3 gesuiti (due sacerdoti e un fratello coadiutore), un seminarista e quattro laici (compresa un’aspirante religiosa). Sono stati beatificati il 5 novembre 2016, nella piazza davanti alla cattedrale di Santo Stefano, a Scutari.

Le accuse, con le quali venivano arrestati, torturati e a volte sottoposti a processi farsa, erano soprattutto due: essere delle spie della Santa Sede e/o essere collaborazionisti del nazismo o del fascismo. Eliminare i sacerdoti, portatori di cultura, significava anche infliggere un micidiale attacco all’identità nazionale.

Pure in Polonia si tentò di distruggere la forte identità cattolica, ma grazie alla sua numerosa popolazione (40 milioni) e alla sua unitarietà, per lingua e tradizione religiosa, la Chiesa polacca continuò a vivere, a differenza dei Paesi pluralisti, con piccole minoranze cattoliche. Negli anni Ottanta, la palma del martirio di Jerzy Popieluszko (1947-1984) fu ben nota, anche sui media, e il sacerdote polacco sarà beatificato da Benedetto XVI il 6 giugno 2010. Attualmente sono in corso i processi per innalzare all’onore degli altari Maria Christophora Klomfass (1903-1945) e 15 compagni, Józef Steinki (1889-1945) e 36 compagni, Maria Paschalis Jahn (1916-1945) e 9 compagne della congregazione delle Suore di Santa Elisabetta, emule di santa Maria Goretti, uccise dai soldati sovietici.

Quella avvenuta in Romania, dopo il 1945, ad opera del Governo comunista fu una delle più spietate e sanguinose persecuzioni anticattoliche di tutto il Novecento. La violenza che qui si perpetrò è stata in parte documentata dalle ricerche di Cesare Alzati e Giuliano Caroli, alle quali si affiancano le impressionanti memorie del vescovo Ioan Ploscaru (Catene e terrore, Edb 2013), sopravvissuto a 15 anni di detenzione e di feroci torture.

Il regime comunista romeno, guidato dall’Urss, annientò con il terrorismo le due anime del Cattolicesimo locale: quella latina e quella di rito orientale, greco-cattolica, che nel 1948 contava 6 diocesi e oltre un milione e mezzo di fedeli. La Chiesa romena, privata dei beni e delle chiese, analogamente a ciò che era accaduto in Ucraina: i vescovi, dapprima incarcerati, subirono il martirio a motivo della loro fedeltà alla Chiesa di Roma. Vasile Aftenie (1899-1950), vescovo titolare di Ulpiana e vescovo ausiliare di Făgăraș e Alba Iulia, venne arrestato sulla Piaţa Romană, insieme ad altri vescovi greco-cattolici; fu portato a Dragoslavele e poi nel monastero ortodosso Caldarusani, trasformato in un campo di concentramento. Nel maggio del 1949 venne trasferito e isolato al Ministero degli interni, dove subì orrende torture per ordine del generale Alexandru Nikolski, membro della Securitate. Mutilato, con la barba strappata e paralizzato, fu rinchiuso nell’infame carcere di Văcărești, vicino a Bucarest, dove morì il 10 maggio 1950. Grazie e miracoli si verificano per sua intercessione e nel 2010 i suoi resti sono stati tumulati in una chiesa greco-cattolica di Bucarest.

Il 28 gennaio 1997, la Congregazione per le cause dei santi concesse il nulla osta per i 7 vescovi della Chiesa greco-cattolica romena, avviando in tal modo la loro comune causa di canonizzazione e il 19 marzo scorso papa Francesco ha autorizzato la promulgazione dei decreti riguardanti il loro martirio, si tratta dei servi di Dio Vasile Aftenie, Valeriu Traian Frenţiu, Ioan Suciu (1907-1953), Tit Liviu Chinezu (1904-1955), Ioan Bălan (1880-1959), Alexandru Rosu (1884-1963) e Iuliu Hossu (1885-1970), creato cardinale in pectore da Paolo VI nel 1969.

La lotta per la fede coinvolse anche religiosi italiani in Romania, come, per esempio il francescano veneto Clemente Gatti (1880-1952), attivo prima in Transilvania e poi a Bucarest; morì in seguito alle spietate torture e su di lui è in corso la causa di canonizzazione. Il personale della Nunziatura venne processato, così come accadde con il primate d’Ungheria József Mindszenty, il quale, dal 12 febbraio 2019 è venerabile, in quanto la Chiesa ha riconosciuto le sue virtù eroiche. Le angherie perpetrate ai danni del Vescovo magiaro echeggiarono ampiamente nel mondo occidentale e fu un’eclatante prova della natura militante dell’ateismo sovietico e dell’oppressione esercitata sulla Chiesa. Mindszenty subì il martirio di 22 anni di prigionia, intervallati dagli arresti domiciliari. Il Cardinale ungherese si oppose sempre e senza cedimenti, nonostante le pressioni politiche vaticane – che trovarono il loro maggiore rappresentante nel cardinale Agostino Casaroli (1914-1998), Segretario di Stato dal 1979 al 1990 – ai compromessi e alle trattative fra la Chiesa e i governi comunisti.

Le nefandezze accadute in Unione Sovietica e nei Paesi satelliti, a differenza delle efferatezze perpetrate nei lager nazisti, sono ancora poco presenti nella memoria storica ed ecclesiastica dell’Occidente. Ma il comunismo ha perseguitato in modo cruento anche la Chiesa al di fuori del raggio sovietico. Nella Spagna comunista sono innumerevoli i martiri, basti dire che, con le ultime beatificazioni del marzo 2019, finora ne sono stati beatificati quasi 1.900 martiri e 11 canonizzati. Alla fine dell’agosto del 1936, un alto dirigente catalano, alla domanda di una giornalista de «L’Oeuvre» sulla possibilità di riavviare il culto cattolico in Spagna rispose: «Oh, il problema non si pone neppure, perché tutte le chiese sono state distrutte». Andrés Nin, capo del Partito operaio di unificazione marxista, in un discorso pronunciato a Barcellona l’8 agosto 1936, dichiarò: «C’erano molti problemi in Spagna (…) Il problema della Chiesa lo abbiamo risolto completamente, andando alla radice: abbiamo soppresso i sacerdoti, le chiese e il culto». José Díaz, segretario generale della sezione spagnola della III Internazionale, il 5 marzo 1937 disse a Valencia: «Nelle province in cui dominiamo, la Chiesa non esiste più. La Spagna ha superato di molto l’opera dei Soviet, perché la Chiesa, in Spagna, è ora completamente annientata».

In Italia l’argomento è ancora tabù storico ed ecclesiastico. Il rispetto “idolatrico” per i partigiani impedisce l’apertura di processi di beatificazione a favore di vittime in odium fidei. Nel periodo postbellico, quando si scatenò la guerra civile, il clero cattolico venne perseguitato, in particolare nel cosiddetto «triangolo rosso» (Bologna-Reggio Emilia-Ferrara) per mano comunista. Il sacerdote e storico imolese don Mino Martelli calcolò 110 (Una guerra e due resistenze, 1940-1946, Edizioni Paoline, Bari 1976) delitti. Sacerdoti e parroci assassinati dai partigiani e militanti comunisti, come don Umberto Pessina (1902-1946), ucciso nella sua parrocchia a San Martino Piccolo, frazione di Correggio. Emblematico il campione per la fede Rolando Rivi (1931-1945), il seminarista di 14 anni beatificato il 5 ottobre 2013; ma ricordiamo anche il servo di Dio Luigi Lenzini (1881-1945), del quale l’8 giugno 2011, l’arcivescovo di Modena, monsignor Antonio Lanfranchi, ha dato inizio all’inchiesta diocesana. Ma poi c’è tutto il capitolo delle foibe… per ora la Chiesa ha preso in considerazione il caso di don Francesco Giovanni Bonifacio (1912-1946), il sacerdote istriano picchiato, spogliato, colpito con un sasso sul viso e finito con due coltellate prima di essere gettato in un inghiottitoio carsico. Il suo corpo non è mai stato ritrovato. Venne beatificato il 4 ottobre 2008.

È auspicabile che la Chiesa si faccia protagonista nel portare alla luce l’esercito dei martiri del comunismo. Negli ultimi anni sembra che qualcosa si stia muovendo, ma è ancora troppo in sordina il recupero di eroici testimoni della fede, le cui vicende disonorano i loro aguzzini e glorificano il nome di Cristo; si pensi al caso del martire Alojzije Viktor Stepinac (1898-1960), cardinale e arcivescovo di Zagabria, beatificato il 3 ottobre 1998 da Giovanni Paolo II, la cui canonizzazione, per il momento, è stata deliberatamente rinviata sine die onde evitare screzi diplomatici con la Chiesa ortodossa serba: sarebbe divenuto il primo santo martire ucciso dai comunisti nell’Europa dell’Est. Coprire tutta questa empia e amplissima Storia europea e non trasmetterla ai posteri significherebbe farsi ancora, come era avvenuto con l’Ostpolitik, complici dei carnefici.

Fonti: Radici Cristiane n.143 – maggio 2019

radioromalibera.org

 

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