I santi Martiri cinesi

Il ricordo dei martiri per preparare il futuro

Nell’Anno Domini 2000, anno giubilare, Giovanni Paolo II così si rivolse alle migliaia di fedeli raccolti in piazza San Pietro la mattina di domenica 7 maggio per la recita del «Regina Caeli»: «Fare memoria degli eroici testimoni della fede del secolo ventesimo significa preparare il futuro, assicurando solide basi alla speranza. Le nuove generazioni devono sapere quanto è costata la fede che hanno ricevuto in eredità, per raccogliere con gratitudine la fiaccola del Vangelo e con essa illuminare il nuovo secolo e il nuovo millennio».
I primi martiri del XX secolo sono stati uccisi in Cina dai Boxer, una setta xenofoba e anticristiana. Caddero 180 missionari e circa 40 mila cristiani.
Fra i gravissimi omissis dei testi scolastici è sicuramente da annoverare la rivolta dei Boxer, esempio di fondamentalismo d’impronta cinese.
Quando Giovanni Paolo II, il 1° ottobre 2000, ha proclamato martiri 120 cinesi, uccisi dai Boxer, il governo di Pechino ha fatto di tutto per screditarli. Per mesi ha martellato che erano «nemici del popolo cinese» e «strumenti dell’imperialismo occidentale», proibendo di festeggiarli. Ma Hong Kong non si è piegata. Domenica 29 ottobre 2000 i cattolici dell’ex colonia inglese hanno gremito la cattedrale per una messa solenne in onore dei martiri cattolici con rito prettamente cinese: le reliquie dei martiri sono state accolte dall’assemblea solennemente con incenso, inchini, musiche tradizionali e per l’occasione è stato composto un inno.

 

La guerra dei Boxer
La guerra dei Boxer è stato un avvenimento di grandissima importanza storica e dunque dell’umanità. Il nazionalismo cinese affonda le sue radici nel suo millenario cammino di storia. I nazionalisti cinesi definirono il loro Paese Zhongguo, una parola che significa «centro», nella convinzione che tutto il resto del mondo è periferia, popolata da «barbari» come essi definivano gli altri popoli. La Cina si trovò realmente, nella sua straordinaria civiltà, nella condizione in cui si era trovato per qualche secolo l’Impero Romano al suo apogeo: uno spazio di civiltà circondato dalle barbarie.
Dalla metà dell’Ottocento in poi, le condizioni mutarono notevolmente. L’Occidente sorpassò il livello tecnico della Cina. Nella guerra dell’oppio (1839-1842) i cinesi rimasero stupefatti non tanto della sconfitta, quanto dalla facilità con cui gli europei la ottennero.
In tale contesto culturale assumono una fisionomia di rilevanza sociale i Boxer. Tale movimento era composto da persone povere ed ignoranti, in genere di origine contadina, molti però erano anche battellieri, i quali avevano una ragione personale per odiare l’Occidente: con l’arrivo delle navi a vapore il loro lavoro era tramontato.
Le connotazioni dei Boxer erano alquanto tradizionaliste, conservatrici, xenofobe. Si dedicavano alle arti marziali, fra cui una forma di boxe cinese, da qui il nome ad essi dato dagli inglesi, Boxer. Però il nome potrebbe derivare anche da denominazioni che facevano riferimento al «pugno» come simbolo di organizzazione unitaria: «Società dei pugni armoniosi» oppure «Pugno della giustizia e della concordia».
I Boxer negavano l’uso di armi da fuoco, preferendo le armi bianche della tradizione. Spesso sbarcavano il lunario dando dimostrazione delle loro abilità nelle antiche arti marziali, indossando abiti azzurri con una fascia rossa.
Si trattava di un movimento spontaneo, senza una gerarchia d’autorità e senza una vera e propria organizzazione centrale. E si diffondeva in maniera incontrollata. In genere i Boxer erano convinti che il loro stile di vita li avrebbe resi immuni dalle armi degli europei e che le loro abilità di lotta avrebbero trionfato sugli eserciti occidentali.

 

I martiri cattolici durante la guerra dei Boxer
I tanti martiri cattolici vennero beatificati in vari gruppi dal 1746 al 2000.
Essi furono vittime delle ricorrenti persecuzioni scatenate dai vari imperatori che si succedevano. Morirono a migliaia (circa 30.000) fra vescovi, sacerdoti locali, missionari europei, seminaristi, religiosi di vari ordini, suore di molte congregazioni, catechisti, fedeli laici di ogni categoria, sia maschili che femminili.
Morirono per la fede decine di migliaia di credenti cinesi, ma solo di una piccola parte si è potuto istruire un processo ufficiale per additarli a tutta la cristianità.

 

I martiri di Taiyuan
Fra i 120 nuovi santi proclamati nel 2000, vi è un gruppo di 26, tutti Francescani, uccisi dai Boxer il 9 luglio 1900. Il glorioso gruppo, capeggiato liturgicamente dal vescovo Gregorio Grassi, comprende 2 vescovi, 3 sacerdoti, 1 fratello religioso, 7 suore Francescane Missionarie di Maria, 14 laici cinesi, di cui 5 erano seminaristi e 11 Terziari Francescani, tutti beatificati nel 1946 da papa Pio XII.

Insieme a loro, compresi nella stessa causa, erano stati beatificati anche padre Cesidio Giacomantonio, dei Frati Minori, ucciso il 4 luglio 1900 a Hengzhou, monsignor Antonino Fantosati e padre Giuseppe Maria Gambaro, morti tre giorni dopo.

Facevano parte della Missione denominata «Casa di S. Pasquale» situata a Taiyuan nello Shanxi, che comprendeva una cattedrale, un orfanotrofio di oltre 200 orfanelle, il Seminario Maggiore per il clero cinese, un convento francescano in un paese poco distante dalla celebre e antica città, un ambulatorio, un costruendo ospedale e inoltre era la residenza del Vicario Apostolico dello Shanxi, monsignor Gregorio Grassi.

 

Gli “atti” del loro martirio
Quando il 5 luglio 1900 i Boxer arrivarono a Taiyuan distrussero le case e il tempio dei protestanti, che essendo più ricchi, furono saccheggiati per primi.
Il vescovo Grassi e il suo coadiutore, monsignor Fogolla, cercarono di mettere in salvo i cinque seminaristi presenti, ma essi furono fermati alla porta Han-si della città e riconosciuti dalle talari che indossavano, perciò vennero condotti dai soldati del crudele viceré Yu-Hsien, che capeggiava anche i Boxers, al tribunale del sottoprefetto, con il beneplacito della settantenne imperatrice Tzu-Hi.
Venne chiesto loro di ripudiare il cristianesimo ed al loro rifiuto fu messa al loro collo una pesante canga (una specie di gogna, strumento di pena cinese) e lasciati agli insulti dei pagani, fino a tarda notte. I giovani seminaristi non vollero né apostatare, né lasciare soli i padri e le suore della «Casa di San Pasquale».
A loro bisogna aggiungere nove domestici cristiani cinesi. Quando i missionari furono portati nella «Casa della Pace Celeste», una specie di albergo utilizzato come un carcere provvisorio, i più fedeli li seguirono; nei cinque giorni di detenzione, dal 5 al 9 luglio 1900, le porte del carcere per loro erano aperte, potevano ritornare alle loro famiglie, ma essi preferirono restare e condividere la sorte dei missionari, che l’avevano innalzati con il battesimo alla dignità di Figli di Dio e quasi tutti erano terziari francescani.

 

L’ultima tappa
Il 9 luglio 1900 i 26 martiri di Taiyuan, furono portati con la scusa di essere interrogati, nel cortile del tribunale, e lì improvvisamente furono massacrati in un’orrenda carneficina a colpi di sciabolate, in un mare di sangue, quasi tutti decapitati, comprese le suore che subirono il martirio per ultime.
Le teste dei vescovi e di qualche padre furono innalzate alla porta Meridionale, mentre i corpi dei martiri, tutti mutilati, furono lasciati all’offesa della plebaglia pagana fino a sera; furono poi ammassati in una fossa comune vicino alle mura della città, presso la Grande Porta Orientale, dove rimasero per tre giorni, in pasto ai cani ed agli uccelli rapaci.
Poi per paura di una pestilenza, furono sepolti alla rinfusa fuori le mura, assieme alle ossa anonime di mendicanti e giustiziati. Solo nel gennaio 1901, dopo l’intervento armato delle potenze occidentali, i Boxer vennero dispersi, l’imperatrice esiliata e i corpi dei martiri esumati, per dare loro pietosa e degna sepoltura.

Cristina Siccardi

Fonte: www.santiebeati.it

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