Il “dottore della Chiesa” John Henry Newman, presto santo

Dopo il cardinale József  Mindszenty (qui) , come avevamo promesso, questa settimana parliamo del cardinale John Henry Newman, di entrambi sono stati promulgati i Decreti della Congregazione delle Cause dei Santi riguardanti, rispettivamente, le virtù eroiche e il miracolo, così che il primo è divenuto venerabile ed è prossima la sua beatificazione, mentre per il secondo, beatificato il 19 settembre 2010 da papa Benedetto XVI a Birmingham, durante il suo viaggio in Gran Bretagna (16-19 settembre 2010), è prossima la sua canonizzazione.

 

«Ex umbris et imaginibus in Veritatem» («Dalle ombre e dalle immagini[1] alla Verità»), così recita l’epitaffio sulla tomba di Newman (1801-1890), il pastore anglicano che abbracciò il Cattolicesimo dopo lunghi anni di elaborazione intellettuale, filosofica, teologica. Un uomo di Dio che attraverso la ragione, lo studio, l’intelletto, le dispute filosofiche e teologiche, in completa solitudine, è assurto alla Madre Chiesa. La sua vita si identifica con l’elaborazione del pensiero. Ha preso così estremamente sul serio la sua esistenza da voler capire, comprendere fino in fondo che cosa significava esistere e dove era la Verità.

Lungimirante fu Leone XIII, Pontefice raffinato, sensibile, amante delle lettere e in particolare di Dante, fondatore di istituti di filosofia ed università cattoliche in diverse città, fra cui Lovanio e Washington, che aprì agli studiosi parte degli archivi segreti del Vaticano, attento anche alla sfera mistica del cattolicesimo (canonizzando, per esempio Chiara da Montefalco), a creare cardinale, nel 1879, John Henry Newman.  Era particolarmente attento a dare nomine e titoli a personalità particolari, come, per esempio, al piemontese cappuccino Guglielmo Massaja, creato cardinale, fra i più grandi pionieri delle missioni nella storia del quale è aperto il processo di beatificazione, che fu Vicario apostolico in Etiopia, ma anche all’austriaco Johannes Baptiste Franzelin (1816–1886), al teologo e filosofo Tommaso Maria Zigliara (1833–1893), al teologo Camillo Mazzella (1833–1900), al tedesco Joseph Hergenröther (1824 – 1890). Così come non sono da dimenticare, per la loro tempra missionaria, Charles-Martial Allemand Lavigerie (1825– 1892), fondatore dei Padri Bianchi e delle Suore Bianche per l’evangelizzazione dei musulmani e dell’Africa sub-sahariana; infine ricordiamo un altro cappuccino Ignazio Camillo Persico (1823–1895), Vicario apostolico in India.

Newman si pone fra i più grandi pensatori, filosofi e teologi della storia dell’umanità. Un giorno Pio XII confidò al filosofo cattolico Jean Guitton: «Non dubiti, Newman sarà un giorno dottore della Chiesa», mentre Paolo VI affermò che Newman appartiene a tutti coloro che «sono alla ricerca di un preciso orientamento e di una direzione attraverso le incertezze del mondo moderno»[2].

Un più che secolare luogo comune, a partire da George Tyrrell e proseguito con Ernesto Buonaiuti, fra i principali esponenti dell’eresia modernista, condannata da san Pio X nel 1907 con l’enciclica Pascendi Dominici Gregis, fa del Cardinale Newman il precursore, quasi il padre nobile, del modernismo classico e quindi della nouvelle theologie, attribuendogli le radici degli elementi più innovativi del Concilio Vaticano II. Niente di più falso di fronte alla sua granitica Fede, una Fede ragionata e ferma, radicata sulla roccia del dogma e sull’amata Tradizione. Per accorgersi di questo amore è sufficiente notare che atteggiamento ebbe nei confronti del rito della Santa Messa, che fu il centro della sua nuova vita cattolica. Egli fi fece cattolico grazie ai Padri della Chiesa, ai riti liturgici conosciuti in Italia e alle chiese ammirate profondamente, soprattutto quelle della Sicilia e di Milano.

È sufficiente leggere le splendide pagine che ha lasciato sulla bellezza arhitettonica, iconica, liturgica nell’Apologia pro vita sua, scritta per difendersi dalle accuse e dalle calunnie dei nemici per comprendere che cos’era per lui il dogma vissuto e la vetta della Verità conquistata. Fino alla conversione visse come un orfano e, ciò che più sorprende, è che ne fu sempre cosciente e consapevole. Emblematico il disegno che realizzò nel 1811 (non aveva ancora compiuto 10 anni) su un quaderno di versi latini: una robusta croce, ben dritta e, accanto, una sorta di corona del rosario.

Il suo è stato un cammino spiritualmente e intellettualmente molto faticoso per approdare alla Verità: aveva un padre, John Newman, miscredente, di famiglia ebraica olandese e massone, che tentò la scalata sociale e una madre  di origine francese, ugonotta. Entrambi i genitori erano socialmente ambiziosi e il padre riuscì a diventare banchiere nella City londinese, dove nacque Newman il 21 febbraio 1801.

Tutta la sua vita è la prova più evidente e concreta che la ragione può unirsi alla Fede per approdare a Santa Romana Chiesa, l’unica vera custode degli insegnamenti di Gesù Cristo, Figlio di Dio, Via, Verità e Vita. Ancora cardinale, Joseph Ratzinger, il 28 aprile 1990, in occasione del centenario della morte di Newman, dichiarò: «… fu la sua coscienza che lo condusse dagli antichi legami e dalle antiche certezze dentro il mondo per lui difficile e inconsueto del Cattolicesimo. Tuttavia, proprio questa via della coscienza è tutt’altro che una via della soggettività che afferma se stessa: è invece una via dell’obbedienza alla verità oggettiva. Il secondo passo del cammino di conversione che dura tutta la vita di Newman fu infatti il superamento della posizione del soggettivismo evangelico [nel senso del Protestantesimo, che nega il valore della Tradizione, n.d.r], in favore d’una concezione del Cristianesimo fondata sull’oggettività del dogma».

A condurre il professore di Oxford e pastore protestante Newman verso il Cattolicesimo fu, oltre ai Padri della Chiesa, alla liturgia e alle chiese cattoliche italiane, come abbiamo  già detto, fu anche il cammino che fece proprio all’Università di Oxford, all’interno dell’Oxford Movement, sorto nel 1833, nel quale confluirono i suoi grandi amici anglicani, Kelbe, Pusey, Ward, Faber. Il Movimento era teso ad un’interpretazione della Chiesa d’Inghilterra come una «Via media», fra gli errori del Protestantesimo da un lato e quelli della Roma papalina dall’altro.

Tuttavia, nel febbraio 1841, nel documento Tract 90, Newman scrisse che i 39 articoli della Fede anglicana (stilati nel 1571) non erano compatibili con l’essenza del Cristianesimo, fino a comprendere che Roma è «in verità le antiche Antiochia, Alessandria e Costantinopoli, così come una curva matematica ha la propria legge e la propria espressione».

Il 26 settembre 1843 pronunciò l’ultima omelia come vicario anglicano della parrocchia di Littlemore, dove, l’8 ottobre 1845, si recò il passionista Domenico Barberi, l’apostolo dell’Inghilterra, beatificato da Paolo VI nel 1963. Aveva viaggiato per cinque ore di seguito sotto la pioggia, seduto a cassetta di una vettura di linea. Erano le undici di sera ed egli stesso ricorderà nella sua autobiografia: «Mi sedetti accanto al fuoco per asciugarmi. La porta si aprì e quale impressione fu per me quella di vedere comparire improvvisamente John Henry Newman che mi chiedeva di ascoltare la sua confessione e di essere accolto fra le braccia della Chiesa! E lì, accanto al fuoco, iniziò la sua confessione generale con straordinaria umiltà e devozione».

Nell’Apologia pro vita sua, l’autore ripercorre con intensità e con stile letterario sublime, l’intera evoluzione dell’Occidente: dall’epoca in cui la cultura classica diffuse il suo lievito formativo, a quando il Cristianesimo trasformò i parametri umani dirigendoli verso la dimensione ultraterrena, fino a giungere alle vicende della nuova civiltà, che, così simili a quelle dell’Israele biblico, portarono alle divisioni e alle distorsioni del progetto originario, di cui l’epoca moderna è sofferente protagonista. Tutto ciò espresso con spirito non conformista, ma con libertà di indagine e chiarezza di giudizio. La confessio fidei di questo innamorato e testimone della Verità diventa illuminazione decisiva e tagliente, come una spada a doppia lama, sulla storia occidentale e, di conseguenza, sulla radice della sua vitalità e sulle ragioni della sua decadenza.

Leggendo la sua vita possiamo così ripercorrere la Storia della Chiesa, con le sue divisioni e i suoi laceranti scismi, con l’occhio di chi ha elaborato il pensiero religioso, filosofico e sociale dell’Occidente e ha indagato l’uomo cosiddetto “moderno”, quello “maggiorenne”, “adulto”, “arrivato”, “preparato”, “scientista”, presupponente che nella razionalità ci sia il meglio dell’esistenza terrena (la ragione, prodotta senza l’intervento divino, è diventata il totem dell’uomo moderno, da quando lo Stato giacobino la innalzò a dea).

La capacità espositiva, fluida, cristallina, diretta, priva di ambiguità e accomodamenti, sagace, brillante e ironica, del quarantaquattrenne reverendo Newman non può che affascinare e rapire.

I semi della Grazia e della dottrina, depositati in lui già quando era calvinista e poi anglicano, avevano raggiunto un grado di sviluppo tale da imporgli moralmente la conversione. Di sé lascia scritto: «entrò nella Chiesa cattolica perché credeva che questa e solo questa fosse la Chiesa dei Padri; perché credeva che esistesse solo una Chiesa sulla terra, fino alla fine dei tempi; e perché, a meno che questa Chiesa fosse la Chiesa di Roma non ne esistevano altre».

Degno erede della Scolastica e di san Tommaso d’Aquino, Newman ci aiuta a comprendere la bellezza della Sposa di Cristo, sempre nuova nella sua eternità, dove la Tradizione, con i suoi Padri, «che mi fecero cattolico», assume i connotati della risorsa sicura per la purezza della Fede.

Provvidenziale sono i viaggi che compie a Roma, Napoli e Sicilia nel 1833 insieme al suo grande amico Hurrel Froude, anglicano pure lui e suo collega ad Oxford, il quale gli apre gli orizzonti sulla Santa Romana Chiesa. Orizzonti che portano Newman ad un ripensamento di tutta la Chiesa anglicana. Proprio dal ritorno dal suo viaggio in Italia con Froude, Newman fonda con altri amici e colleghi dell’Università di Oxford, fra cui il professor Keple e il professor Pusey, proprio il Movimento di Oxford, con l’obiettivo di riportare la Chiesa d’Inghilterra ai saldi dogmi della Chiesa di Roma, da cui aveva preso le mosse lo scisma di Enrico VIII e più ancora sotto il regno di Elisabetta I.

Pagine di straordinaria bellezza Newman dedica ai Padri della Chiesa, che lo accompagnarono dal 1826 fino al termine della sua esistenza, spentasi nel 1890:

«Il mio sentimento somigliava a quello di chi, in tribunale, sia costretto a testimoniare contro un amico; o somigliava anche a quello che provo ora, dopo aver detto, e avendo ancora da dire, tante cose di cui preferirei tacere. Considerando gli alti doni e il forte diritto che la Chiesa di Roma e ciò che è suo hanno alla nostra ammirazione, reverenza, amore e gratitudine, come potremmo resistere in questo modo, come non struggerci di tenerezza, come non precipitarci a stringere una comunione con lei, se non vi fossero le parole della verità in persona, che ci ordina di preferire questa verità a tutto il mondo? Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me”. Come potemmo “imparare ad essere severi ed eseguire la condanna”, se non vi fosse l’ammonimento di Mosè contro un maestro, anche con doni divini, il quale predicasse nuovi dei; e l’anatema di San Paolo perfino contro gli angeli ed apostoli che introducessero una nuova dottrina?” (Records, n. 24)». I Records erano estratti dalle opere dei Padri della Chiesa.

La sua «roccaforte» era sempre stata l’antichità ed ora, nel mezzo del V secolo, vi trovò, proprio lì, la cristianità del XVI e XIX secolo. Fu così che «Vidi il mio volto in quello specchio: era il volto di un monofisita. La Chiesa della Via Media occupava il posto della comunità orientale, Roma il suo posto di sempre e i protestanti erano gli eutichiani».

La scoperta “copernicana” fu per Newman terrificante, si specchiò nel passato e ritrovò riflessa l’immagine di un eretico. Ne ebbe orrore: «Era difficile capire in cosa consistesse l’eresia degli eutichiani o monofisiti, a meno di non considerare eretici anche i protestanti e gli anglicani; era difficile trovare contro i Padri tridentini degli argomenti che non reggessero anche contro i Padri di Calcedonia; difficile condannare i Papi del sedicesimo secolo senza condannare i Papi del quinto. Il dramma della religione, il combattimento della verità e dell’errore, erano sempre gli stessi. I principî e i procedimenti della Chiesa d’oggi erano identici a quelli della Chiesa d’allora; i principî e procedimenti degli eretici di allora erano quelli dei protestanti di oggi. Lo scopersi quasi con terrore; c’era una somiglianza spaventosa – tanto più spaventosa in quanto così silente e priva di passione – fra le morte reliquie del passato e la cronaca febbrile del presente. L’ombra del quinto secolo gravava sul sedicesimo. Era come se uno spirito sorgesse dalle torbide acque del vecchio mondo con la figura e i lineamenti del mondo nuovo. La Chiesa, allora come ora, poteva apparire dura e perentoria, risoluta, autoritaria e implacabile; e gli eretici erano sfuggenti, mutevoli, riservati ed infidi; sempre pronti a adulare il potere civile in accordo fra loro soltanto con l’aiuto di esso, e il potere civile mirava sempre nuove annessioni, cercando di togliere di mezzo l’invisibile e sostituendo l’opportunità alla fede».

Newman, che nel suo dire cogliamo una fotografia dell’eresia modernista  dei nostri giorni, ponendo, quindi, l’equivalenza V secolo, XVI secolo, XX-XXI secolo, è qui sapientemente realista:

«A che serviva che io continuassi la controversia o difendessi la mia posizione se, a conti fatti, ciò equivaleva a fabbricare argomenti a favore di Ario o di Eutiche, e a far l’avvocato del diavolo contro il paziente Atanasio ed il venerabile Leone?».

Quale la risposta, quale la soluzione al rebus?  «La mia anima sia con i santi! Proprio a me toccherebbe alzare la mano contro di loro? Che piuttosto la mia mano destra dimentichi ogni sua arte e si dissecchi come la mano di colui che una volta osò stenderla contro un profeta di Dio! Anatema all’intera schiatta dei Cranmer, Ridley, Latimer e Jewel ! Periscano i nomi di Bramhall, Ussher, Taylor, Stillingfleet e Barrow  dalla faccia della terra, prima che  io mi rifiuti di prosternarmi con amore e venerazione ai piedi di coloro la cui immagine ebbi sempre davanti agli occhi e le cui armoniose parole risuonarono sempre al mio orecchio e sulle mie labbra!».

Le sue parole ci ricordano quelle dell’Evangelista Luca: «Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito: Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca» (Lc 11,47-54).

È così che Newman, l’esploratore, lo speleologo di carte e libri, lo scrittore instancabile e indefettibile è paragonabile allo scriba di cui Gesù parla, come riporta l’evangelista Matteo: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

Il Dottore della Chiesa Newman, come lo definì nel 1990 il Cardinale Ratzinger, è davvero un finissimo e credibile interprete di ciò che è Chiesa: unità sincronica (nel tempo in cui le persone si trovano a vivere) e diacronica, cioè il complesso e il processo degli sviluppi nel divenire del tempo, cioè della storia. La Chiesa ha come sua parafrasi, come sua spiegazione la Comunione dei Santi, quelli passati, presenti e futuri. Questo perché tutto riconduce all’eterno Dio, creatore del tempo e dello spazio, che in Lui si risolvono. Ecco perché non c’è bisogno di rivoluzioni, la Chiesa non ne ha mai stabilite e chi l’ha fatto è stato estromesso. Ella ha necessità, invece, di costanti restaurazioni della Tradizione (definizione di san Vincenzo di Lérins del V secolo, che diede la definizione di dogma e, quindi, di Tradizione: «È norma di fede ciò che è stato creduto da tutti, dovunque e sempre») per portare luce, colori ravvivati e nuovo vigore (in definitiva: il sale della terra, perché la Fede non diventi insipida e si trasformi in indifferenza) all’autentica Chiesa, capolavoro di Dio che non ha bisogno di rimaneggiamenti e manipolazioni, ma di arricchimenti.

La teoria della Via Media venne, in un istante, polverizzata!

Tutto il pensiero del grande cardinale inglese, che lo condusse dalle ombre alla luce, impasta costantemente la sua vita, fino ad identificarla con esso. Non abbiamo di fronte a noi semplicemente un maestro di cattedra che illustra lo sviluppo filosofico, storico e teologico delle sue scoperte ed intuizioni, ma abbiamo un’anima che trova, passo dopo passo, ostacolo dopo ostacolo, sofferenza spirituale dopo sofferenza, l’approdo all’Oggetto del suo amore: la Verità e con essa tutta la ricchezza di stampo cristologico e mariologico. Splendide sono rimaste a noi le sue preghiere mariane.

John Henry Newman è uno dei più grandi e prolifici prosatori inglesi, nonché il più autorevole apologeta della Fede che la Gran Bretagna abbia prodotto e sicuramente egli si pone nella schiera di quei convertiti che con il loro insegnamento e la loro testimonianza hanno inciso nella storia del mondo, accanto a personalità come san Paolo, sant’Agostino e Gilbert Keith Chesterton.

Newman comprese che il compito della Chiesa non è quello di stimolare novità in campo dottrinale, quanto quello di vigilare che tali novità, lasciate al genio personale dei singoli, illuminato dalla costante azione dello Spirito Santo, non debordino mai dal vero quando la presunzione individuale non permette più di ascoltare la voce di Dio; tale vigilanza deve essere anche attuata con atteggiamenti repressivi, quando è necessario: «Nella ricerca teologica sono sempre stati gli individui e non la Santa Sede a prendere l’iniziativa e a dare le direttive all’intelligenza cattolica. Anzi, uno dei rimproveri che si muovono alla Chiesa cattolica è quello di non aver fatto nulla di nuovo e di avere soltanto servito da remora o freno allo sviluppo della dottrina. È un’obiezione che io accetto come verità: perché penso che quello sia proprio lo scopo principale del suo straordinario dono».

Spiegò con parole di un’attualità disarmante e sconcertante, in quello che è stato definito il Biglietto Speech, stilato nel 1879 in occasione del conferimento della berretta cardinalizia:

«Per trenta, quaranta, cinquant’anni ho cercato di contrastare con tutte le mie forze lo spirito del liberalismo nella religione. Mai la santa Chiesa ha avuto maggiore necessità di qualcuno che vi si opponesse più di oggi, quando, ahimé! si tratta ormai di un errore che si estende come trappola mortale su tutta la terra; e nella presente occasione, così grande per me, quando è naturale che io estenda lo sguardo a tutto il mondo, alla santa Chiesa e al suo futuro, non sarà spero ritenuto inopportuno che io rinnovi quella condanna che già così spesso ho pronunciato. Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza. È contro qualunque riconoscimento di una religione come vera. Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinioni. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo o miracoloso; ed è un diritto di ciascun individuo farle dire tutto ciò che più colpisce la sua fantasia […]. Si possono frequentare le Chiese protestanti e le Chiese cattoliche, sedere alla mensa di entrambe e non appartenere a nessuna. Si può fraternizzare e avere pensieri e sentimenti spirituali in comune, senza nemmeno porsi il problema di una comune dottrina o sentirne l’esigenza. Poiché dunque la religione è una caratteristica così personale e una proprietà così privata, si deve assolutamente ignorarla nei rapporti tra le persone. Se anche uno cambiasse religione ogni mattina, a te che cosa dovrebbe importare?».

Un altro paladino, un’altra sentinella della Tradizione, nel XX secolo, nato 15 anni dopo il Cardinale Newman e cioè monsignor Marcel Lefebvre (si batterà nuovamente contro il liberalismo penetrato, però, questa volta, dentro la Chiesa.

Secondo Paolo VI il «fumo di Satana» era penetrato nella Chiesa da «qualche fessura» (1972). Monsignor Marcel Lefebvre (1905-1991) individuò la fessura: cioè lo scollamento dalla Tradizione. Il voler rinnovare rivoluzionando. Molti l’hanno irrisa, l’hanno beffata, pensando che si trattasse di vetuste consuetudini, di vestigia da abbandonare con disdegno e disprezzo. La maggioranza del mondo cattolico pensava, per esempio, che la Santa Messa di XX secoli di vita della Chiesa, mai abrogata, fosse, ormai, un ferro vecchio, un reperto da museo, un oggetto da rigattiere… invece Benedetto XVI nel 2007 l’ha liberalizzata, facendo intendere a moltissime anime che non c’è confronto, di fede, di contenuti come di bellezza, fra il Novus Ordo e il Vetus Ordo: il primo è un memoriale dell’Ultima cena (al modo protestante), la seconda è il Santo Sacrificio dell’altare (sacrificio incruento di Cristo che si rinnova ogni volta durante il rito); da qui i ruoli diversi che assumono i sacerdoti: nel primo caso è il Presidente dell’Assemblea riunita al banchetto, nel secondo è l’Alter Christus.

Newman combatté, sinceramente e lealmente, il liberalismo, tracciando, con metodo sistematico e analitico, uno dei profili più reali dell’Europa in fase di corruzione, di abbandono della civiltà cristiana, di incalzante apostasia. Dal ponte della propria nave riuscì a identificare i connotati secolarizzanti e relativistici dei nostri giorni, frutto di quella presunzione che già i pagani greci, depositari dei veri semina verbi, definivano ύβρις (übris = l’arroganza di chi non si sottomette agli dèi), vale a dire l’idea di anteporre i luoghi comuni sedicenti razionali della propria epoca alla ragionevolezza e razionalità della Tradizione. Questo grande “dottore della Chiesa”, come lo ha definito Benedetto XVI, questo gentleman dell’Ottocento inglese, poi sacerdote cattolico, ha con tenacia spremuto la propria mente per capire, indagare, sondare, nei meandri della storia, della filosofia, della teologia, per scoprire, finalmente, la perla preziosa… fu così che: «Vidi il mio volto in quello specchio: era il volto di un monofisita», il volto di un eretico anglicano e lo «scopersi quasi con terrore»[3].

Quando Leone XIII lo creò cardinale, scelse, per il suo stemma, il motto, tratto da san Francesco di Sales, «Cor ad cor loquitur»: «Il Cuore parla al cuore», quello del Creatore a quello della Sua creatura. Trovò, inoltre, negli Oratoriani di san Filippo Neri la sua giusta dimensione religiosa e a Birmingham costituì la Congregazione filippina del Regno Unito. Da quella sacra casa, dove finalmente era giunto, dopo tanta ansiosa e bramosa attesa, prese ad indicare, con lo slancio, l’abnegazione e la passione che lo avevano sempre contraddistinto, la via maestra agli uomini del suo e del nostro tempo.

Cristina Siccardi

 

Sir John Everett Millais, Ritratto di John Henry Newman (Portrait of John Henry Newman), 1881, National Portrait Gallery, Londra

 

 

[1] Il termine potrebbe anche essere tradotto in «spettri».

[2] C. Siccardi, Nello Specchio del cardinale John Henry Newman. La vera vita del convertito e “dottore” di Santa Romana Chiesa, beatificato dal Santo Padre Benedetto XVI il 19 settembre 2010, Fede & Cultura, Verona 2010, p. 6.

[3] Ivi, p. 8.

 

Fonte: Europa Cristiana

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