Intervista a Cristina Siccardi: L’arte di Dio

di Francesco Corradi Radici Cristiane – Aprile 2017

Si intitola «L’arte di Dio» il volume recentemente uscito e curato dalla scrittrice Cristina Siccardi. Molti gli obiettivi, che si ripropone: innanzi tutto, smascherare illusioni e menzogne all’interno dell’arte sacra, poi denunciare il brutto ed il deforme, inoltre costituire una piattaforma per una critica costruttiva.

È la prima volta che viene proposto, come Lei ha scritto nell’Introduzione a L’Arte di Dio, un «Simposio» fra intellettuali ed artisti, perché ha sentito questa esigenza?

Durante gli studi universitari mi occupai, oltre che di Storia dell’arte, anche di iconografia agiografica, tali interessi sono proseguiti nel tempo. Dopo anni di plateale distruzione dei canoni iconografici tradizionali negli edifici di culto e di osservazione di chiese brutte e prive di sacralità e dopo aver preso in esame le problematiche ad ampio spettro insorte dopo il Concilio Vaticano II, ho pensato che fosse giunto il momento di interpellare intellettuali, docenti, critici d’arte, esperti, architetti ed artisti per ragionare insieme su come sia stato possibile giungere alle derive artistiche attuali, dove non esiste neppure più l’ombra del sacro e, allo stesso tempo, sia ancora e con dignità possibile dare gloria a Dio, creando luoghi idonei al Suo culto. Da questo progetto è stato realizzato un vero e proprio Simposio, poi traslato in volume, compendio di arte sacra che l’Editore Cantagalli ha accolto con grande interesse.

Chi sono le persone che ha coinvolto in questo progetto?

Sono ventidue nomi di alto valore ed ognuno interpellato nel proprio ambito: Professor Corrado Gnerre, Professor Giovanni Turco (Filosofia), Abbé Jean-Michel Gleize, Fsspx (Teologia), Professor Roberto de Mattei (Storia), Professor Don Roberto Spataro Sdb (Lingua Latina), Professor Antonio Natali, Professor Antonio Paolucci, Professor Vittorio Sgarbi, Professoressa Christine Sourgins (Storia e critica dell’Arte), Professor Martin Mosebach (Letteratura), Architetto Piercarlo Bontempi, Architetto Andrea De Meo Arbore (Architettura), Maestro Giovanni Gasparro (Pittura), Madame Daphné Du Barry (Scultura), Monsignor Vincenzo De Gregorio, Dottor Mattia Rossi (Musica), Maestro Pier Luigi Pizzi (Teatro), Professor Pietro De Marco (Sociologia delle religioni). In Appendice sono presenti Jean Clair, il Cardinale Bartolucci, Riccardo Muti, Don Uwe Michael Lang, che hanno già denunciato le scelleratezze architettoniche, aniconiche, liturgiche e musicali in altri contesti e che abbiamo voluto riproporre in questo contesto.

Che cosa è emerso da questi approfondimenti?

Ha vinto la ragione, la realtà dei fatti: coniugando la logica religiosa con quella terrena è emerso ciò che è ovvio: l’arte sacra è chiamata oggi a soddisfare i piacimenti dell’architetto e dell’artista oppure a rendere Gloria a Dio, creando un ambiente adeguato alla devozione, favorendo l’atteggiamento d’orazione delle anime? La risposta è evidente per chiunque abbia fede. Tolta la fede si elide anche l’arte sacra. Nell’arte sacra, con il beneplacito della committenza ecclesiastica, più attenta alle dinamiche moderne che ai richiami spirituali, si è verificato ciò che affermava Weber: «la soglia della modernità può essere identificata con precisione nel momento in cui l’indiscussa legittimazione di un ordine sociale preordinato divinamente comincia il suo declino» (S. Eisenstadt, Sulla modernità, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006, p. 7), un declino che ha portato Hegel ad affermare che l’arte è morta («è e rimane per noi un passato») e Nietzsche a dire che «Dio è morto», dunque l’arte sacra nel mondo contemporaneo è defunta. Le asserzioni ipotetiche di questi ultimi pensatori sono state determinanti per l’àncora filosofica alla quale si sono aggrappati atei, gnostici e secolarizzatori. In realtà Dio, come l’arte e l’arte sacra in specifico, non sono affatto morti: questa è la vana illusione dei desiderata dei senz’arte e dei senza Dio.

Perché, dunque, abbiamo nelle nostre città tante brutte chiese?

Perché manca la fede, musa per duemila anni di committenti, architetti ed artisti. Oggi sono le firme delle archistar a muovere gli interessi di buona parte della committenza ecclesiastica. I principi che stanno alla base dell’arte sacra sono spesso gli stessi che stanno alla base dell’arte contemporanea: la mercificazione del prodotto dell’artista più in voga dà valore a ciò che valore estetico e sacro non ha. L’archistar o il pittore o lo scultore distanti dalla fede, ma valorizzati dal mercato dell’arte, alimentano la volontà delle committenze ecclesiastiche di coinvolgerli, nonostante la loro distanza dalla fede. È così che vengono esaltati non le qualità oggettiva delle opere, ma i prodotti di tali autori proni non certo a Dio, ma alla propria vanagloria e al proprio narcisismo. In realtà, colui che è chiamato ad occuparsi di luoghi di culto e della rappresentazione delle realtà divine deve mantenere una via, quella tracciata e percorsa dalla Chiesa della Tradizione in duemila anni di storia (un tempo non occorreva specificare Tradizione, perché dire Chiesa significava dire la Chiesa cattolica di sempre, mentre oggi esiste una Chiesa assuefatta agli stilemi del mondo moderno, molto distante dal diritto divino e dalle necessità delle anime), che il realizzatore d’arte potrà declinare secondo la sua abilità, la sua sensibilità, il suo talento, come è sempre avvenuto nel corso dei secoli, dando vita a cattedrali, abazie, affreschi, sculture, cicli pittorici, canti, inni sublimi.

Ma l’arte sacra rimane tale anche se inserita nelle “regole” moderne?

È sufficiente recarsi a Foligno e prendere visione della chiesa di San Paolo Apostolo dell’archistar Massimiliano Fuksas: un cubo di cemento talmente orribile, che non sarebbe neppure proponibile per uso civile. Questa non è arte sacra e non è neppure arte, è disarte: qui tutto è glaciale, vuoto, non c’è anima, un pugno diretto alla bellezza, diretto alla fede. Ciò che poi è davvero inconcepibile è il fatto che la Conferenza Episcopale Italiana abbia commissionato questo mostro. Ma in Italia, come nel mondo intero, abbiamo purtroppo centinaia e centinaia di esempi similari.

Che cos’è l’arte sacra se non l’espressione plastica della fede?

Ma è proprio la fede la posta in gioco. Il Credo, il Symbolum Nicænum Costantinopolitanum, infatti, non è più chiamato, nella maggioranza dei casi, ad essere l’ispiratore né per la committenza, né per gli artisti che vengono interpellati. Non è il potere divino a sottomettere mezzi e talenti, bensì i poteri umani a dettare legge antiartistica, prona non a Dio, ma alla gnosi, inserendo, in alcuni contesti, persino simboli di riferimento massonico. Le chiese edificate negli ultimi cinquant’anni dimostrano il voluto e rivoluzionario intento di rompere con il passato: l’architetto opera per soddisfare le proprie ricerche, dirette ad andare “oltre”, scollandosi dal contesto in cui innalzano i loro templi pauperistici, vuoti non solo di Dio, ma anche di umanità, infatti essi non sono neppure antropocentrici. Pensiamo, quindi, al glaciale cubo di Massimiliano Fuksas a Foligno o all’enigmatico tempio di San Giovanni Rotondo di Renzo Piano.

Il volume L’Arte di Dio. Sacri pensieri, profane idee, che ha già dato vita al sito www.l’artedidio.it per avviare un percorso di verità al fine di mascherare illusioni e menzogne all’interno dell’arte sacra, vuole essere, oltre ad una denuncia del brutto e del deforme, proprietà utilizzate esclusivamente nella religione cattolica e non in altre religioni che mantengono le tradizioni stilistiche loro proprie (si pensi all’Islam, all’Ebraismo, all’Induismo, al Buddhismo…), anche una piattaforma per una critica costruttiva, come dimostrano gli architetti e gli artisti che abbiamo interpellato, testimoni e interpreti di bellissima arte sacra, più viva che mai, a fronte di un’arte della bruttura e della morte.

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