La vera arte sacra di Barbara Ferabecoli

di Cristina Siccardi – 7 marzo 2018 Corrispondenza Romana

Se alla Galleria d’Arte Moderna «Raccolta Lercaro» di Bologna si lavora dal 1971 per un «dialogo» fra Chiesa e mondo contemporaneo attraverso la presunta arte («L’arte» in genere, affermava il Cardinale, «ha un’intrinseca dimensione religiosa»), nel laboratorio di Barbara Ferabecoli di Roma si realizza vera Arte Sacra, quella che non dialoga con il mondo, ma che si crea per Dio, per la fede e per trasmettere i contenuti trascendenti. Barbara Ferabecoli, nata a Roma nel 1967, dopo gli studi al Liceo classico, si è diplomata all’Accademia delle Belle Arti della capitale, nella sezione Pittura.

Nel 1990 la Regione Lazio le ha rilasciato la qualifica di «Addetta alle lavorazioni di vetro, resine, mosaici e metalli per l’artigianato sacro». Ha poi conseguito il diploma in Scienze Religiose alla Pontificia Università Gregoriana (2007) e nella stessa Università ha ricevuto il grado di Baccalaureato in Teologia (2010).

Dal 1989 si occupa specificatamente di Arte monumentale, nell’ambito dell’Arte Sacra, realizzando fino ad oggi centinaia di opere e capolavori in chiese, santuari, abbazie, istituti religiosi.

Tuttavia, questa artista dal magnifico talento, alla quale non importa di apparire «perché le opere devono parlare delle realtà divine e non di me» – talvolta la sua firma non si legge neppure sulle vetrate che raggiungono anche i 15 metri di altezza – non ha imparato ciò che sa creare all’Accademia di Belle Arti, in quanto, come ci spiega, «qui in Italia non si impara più niente da diversi decenni. Le accademie sfornano tanti ragazzi incompetenti a motivo di una docenza che non fa più scuola, ma si occupa di arte contemporanea, dunque, un’arte autoreferenziale, narcisista fino all’esasperazione, arte miserrima, senz’anima e senza abilità, sottomessa a impostazioni mercificate».

Suo maestro, dunque, non è stato un italiano, bensì un russo, Piotr Merkury, nato nel 1951 in un gulag sovietico e scomparso nel novembre dello scorso anno. La sua famiglia era stata deportata in Siberia. Sua madre gli cucì una Croce, nascosta sotto gli indumenti: la fede era un gravissimo reato per il Governo che propagandava in maniera martellante l’ateismo. A 17 anni viene concesso a Piotr di trasferirsi a San Pietroburgo (rinominata Leningrad) per studiare da pittore.

Dal 1969 al 1973 frequenta la Scuola superiore di disegno e arti applicate «V. Muhina» per poi passare all’Accademia di Belle Arti, diplomandosi in disegno e pittura monumentale e, infine, specializzandosi in quelle stesse discipline negli anni fra il 1979 e il 1981. A differenza delle Accademie italiane, in Russia si impara veramente l’Arte, grazie alla filosofia che vi soggiace dietro tale formazione e grazie alle regole e alle tecniche che vi si insegnano.

L’arte di Piotr Merkury, disseminata in tutto il mondo, negli edifici sacri come in quelli pubblici, era imbevuta di fede e anche quando dipingeva una natura morta il suo pennello era intinto nella Trinità, tale disposizione, oltre a tutto il patrimonio di conoscenze apprese a San Pietroburgo, l’ha tramessa alla sua allieva Barbara, quando, trasferendosi a Roma negli anni Ottanta, la conobbe nel 1989. Amava incredibilmente l’Italia per il genio artistico, perciò divenne sua patria d’adozione e nel 2006 prese la cittadinanza italiana.

Lascia scritto: «Pensare ad un’opera d’arte ci riporta la memoria a capolavori lontani, e con un pizzico di nostalgia li vediamo relegati in un passato remoto, ma ricercare le stesse finalità, riproporre una grande professionalità, ritrovare la stessa onestà che generò quelle opere d’arte è un dovere ancora oggi, per ogni artista».

Il lungo ed elaborato processo di come nasce una vetrata Barbara Ferabecoli l’ha appresa da Merkury. Il primo passo è la progettazione: la fase più delicata e difficile. L’artista studia il tema, esplora le fonti di ispirazione, si informa, legge, pensa e con il primo schizzo comincia ad elaborare un pensiero. Ne seguono molteplici altri, e una nuova opera d’arte comincia a prendere forma. Il bozzetto (ossia il progetto a colori in scala ridotta) è l’atto finale di una piramide di pensieri e l’espressione di un’ispirazione artistica.

Affermava Merkury: «Il disegno è una scienza se esplora l’anatomia con la precisione del tratto, una deità se suggerisce il mistero con lo sfumato dell’ombra» e ancora: «“La bellezza salverà il mondo”… con la luce divina», quella luce che traspare dalle sublimi sue vetrate, dove si può godere di intime Madonne, sfolgoranti nella loro giovinezza e nel loro incanto, costituito da soavità filigranata, lucente armonia indicibile, celestiale grazia femminile.

«Ogni giorno, quando lavoro», ci spiega la Ferabecoli, «sento l’enorme responsabilità di trasmettere sia la fede integra, sia il mezzo efficace affinché le persone possano sentire tanto l’esigenza di essere avvicinate alla catechesi iconografica tanto all’orazione».

Il lavoro isolato e controcorrente di Barbara ricalca la metodologia del suo maestro: la scelta di puntare non sulla quantità, ma sulla qualità delle opere. Senza costrizioni e vincoli dettati dalle leggi commerciali, nel laboratorio d’arte Febart-line, il binomio tempo-denaro viene totalmente bandito: ore ed ore in religioso silenzio, nelle quali Barbara esige di lavorare completamente sola per concentrarsi come in clausura.

Massimo impegno e ferma dedizione, al fine di riproporre un mestiere, quello di progettista di vetrate, antichissimo e violentemente minacciato dalla logica materiale del mercato. Oggi, infatti, le fabbriche d’arte vetraria producono “tendine” di vetro pitturate (sovente con disegni astratti, orribili e incomprensibili), oggetti che non hanno valore, se non quello monetizzabile, e che non hanno nulla da spartire con i capolavori artistici che un patrimonio millenario ha tramandato di generazione in generazione.

Quando il maestro russo e la sua allieva andarono nella cattedrale di Notre-Dame a Chartres, ci racconta la Ferabecoli, «le lacrime scendevano senza volerlo. Lì percepimmo distintamente il respiro di Dio: un’onda d’urto indicibile, che non si può raccontare, ma solo vivere». Non c’è risparmio sui materiali che questa grande artista utilizza.

Nel suo laboratorio nascono giganti vetrate che sfidano il passare del tempo e che parlano ai contemporanei come alle generazioni future: «È meraviglioso», afferma, «vedere come le persone, dopo che entrano in una chiesa o in una casa religiosa dove si trova un’opera che ho realizzato, rimangano rapite dalla bellezza della Verità, esse sono grate di trovare luoghi dove poter degnamente pregare. Ed è altrettanto straordinario vedere come la bellezza non abbia bisogno di interpretazioni e di cervellotiche elucubrazioni, ma basti a se stessa: la persona ha inscritto dentro la propria anima il senso dell’armonia e della bellezza, perciò veniamo rubati da esse. Ben diverso è l’atteggiamento dell’individuo quando si trova di fronte ad opere brutte all’interno di chiese o dove è avvenuto l’adeguamento liturgico oppure in chiese architettonicamente moderne, così ripiene di assenza divina da aver perso addirittura la caratterizzazione di edifici di culto cattolico».

La bellezza è contagiosa, così, nonostante la persecuzione della critica d’arte, che valorizza ciò che valore non ha, e malgrado la crassa ignoranza (nei Seminari non si studia più la storia dell’Arte Sacra) di un clero impreparato, che segue perciò le logiche perverse dell’arte contemporanea, le opere di questa straordinaria progettista sono sparse per il mondo.

Qualche esempio: Abbazia di San Salvatore a Siena (vetrata in vetro soffiato); Cattedrale di Santa Maria ad Alghero (rosone in vetro dalles); Scuola privata San Murialdo (vetrate in vetro soffiato) e Chiesa San Pietro Apostolo ad Albano Laziale (vetrate in vetro soffiato); Parrocchia di Santa Maria a Costantinopoli (vetrate in vetro soffiato); Cattedrale dei Santi Pietro, Lorenzo e Colombano a Brugnato (La Spezia. Rosone in vetro soffiato); Parrocchia di Santa Maria a Cascia (Perugia. Vetrate in vetro soffiato); Scuola d’infanzia Mariele Ventre a Foligno (mosaico); Cappella vescovile della Curia di Nuoro (vetrate in vetro soffiato); Cappella della Casa internazionale del Clero di Roma (vetrate in vetro soffiato); parrocchia Sacri Cuori di Gesù e di Maria (vetrate artistiche in vetro dalles); Parrocchia Nostra Signora di Valme – Villa Bonelli a Roma (vetrata monumentale in vetro soffiato, Tabernacolo monumentale in marmo e intarsi di mosaico); Monastero della Beata Vergine Maria Addolorata delle Monache Mantellate serve di Maria Vergine Addolorata (ambone in marmo e intarsi in mosaico); Chiesa dei Padri Salesiani ad Antananarivo (Madagascar. Vetrate in vetro soffiato); Armenian Catholic Archbishopric a Baghdad (Iraq. Pitture a olio su tela raffiguranti quattro evangelisti e mosaico); Monastero Suore Carmelitane in Costa d’Avorio (rosone in vetro soffiato); Cappella privata del Cardinale Maida a Detroit (USA. Vetrate in vetro soffiato); Casa dei Padri Salesiani di Hong Kong (vetrate in vetro soffiato); Cappella Padri Salesiani a Macau (Cina. Vetrate artistiche in vetro soffiato); Parrocchia Saint Charles a Monte Carlo (mosaici e vetrate in vetro soffiato); Cattedrale Salesiana San Giovanni Bosco a Panama… e l’elenco potrebbe proseguire a lungo per trovare poi, ancora, la riproduzione di un particolare di una vetrata della Ferabecoli (Santuario Madonna della Neve a Guarcino, Frosinone) riprodotto sull’annullo postale stampato in occasione del Santo Natale del 1999.

Del suo vasto repertorio esiste una sola opera che non appartiene all’Arte Sacra, ma dal significato così profondo e così intenso che non può che rimandare alla Verità rivelata. Stiamo parlando del dipinto La battaglia per la Verità (61 x 170h le verità laterali, 370 x 170h la parte centrale, per un totale di circa 5 metri), una tempera all’uovo su tela di tecnica rinascimentale (2006-2008).

Due cavalieri sui loro destrieri, simili fra di loro, ma non uguali, si combattono con le lance in un campo disseminato di stemmi e dove sono presenti le costellazioni celesti. Gli stemmi rappresentano i popoli di tutta la storia del mondo, mentre le costellazioni rimando ai destini e a tutto l’Universo. Ogni cavaliere ha, alle proprie spalle, una verità, velata, ma non troppo. Esse sono simili fra di loro, ma non uguali, stando ad indicare che ognuno difende la propria verità. Ma questo combattimento fratricida è inutile, perché una sola è la Verità.

Infatti, al centro della scena sta un labirinto, che riproduce quello della Cattedrale di Chartres (figura geometrica circolare inscritta in larghezza sul pavimento della navata centrale: rappresenta un percorso continuo che va dall’esterno all’interno del cerchio, con una successione di curve e archi di cerchi concentrici.

Una delle sue particolarità è che i percorsi, sia dal centro che dal perimetro, presentano la stessa successione di curve e archi). Questo labirinto simboleggia il cammino che porta l’uomo dalla terra a Dio. Nel centro di esso c’è un fiore con sei petali. Il percorso del labirinto non consiste solo nell’andare verso il centro, ma anche nel ripartire da lì. Ebbene, all’interno del fiore emerge una lente convessa, nella quale chi osserva il capolavoro si può specchiare dentro: è la Verità che sta all’interno della nostra anima, ma che, con la Grazia di Dio, va ricercata e scoperta.

Tutt’intorno alle tre tele corrono delle scritte: sono riprodotte, nella lingua della Chiesa, il latino, le definizioni di verità che celebri filosofi hanno elaborato lungo la storia.

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