La verginità di Maria come forma

Dall’immagine di copertina di un nuovo libro di padre Serafino Lanzetta dedicato alla verginità della Madonna, tratta dall’olio su tela Vergine Maria di Pompeo Batoni, risalente al 1741 circa, si resta folgorati dallo sguardo verginale di Maria Santissima. Nel contempo il titolo del testo promette molto: Semper Virgo. La verginità di Maria come forma (Casa Mariana Editrice). E immagine e titolo e contenuto viaggiano all’unisono, creando un testo di verità e di bellezza. Quest’opera teologica uscirà a breve, esattamente per la natività della Beata Vergine Maria, l’8 settembre.

Quando si termina di leggere avidamente queste pagine non si può non rimandare il pensiero ai versetti di san Paolo: «se il nostro vangelo rimane velato, lo è per coloro che si perdono, ai quali il dio di questo mondo ha accecato la mente incredula» (2 Cor 4, 3-4). Il «dio di questo mondo», come chiama l’Apostolo delle genti il demonio, ha attaccato fin dai primi secoli del Cristianesimo il dogma della verginità della Madonna, il cui calcagno, come sappiamo, è insidiato da satana (Gen 3, 15). Padre Lanzetta ricorda il monaco Gioviniano del IV secolo, condannato come eretico dal Concilio di Capua del 391: egli negò la verginità perpetua di Maria, ma anche l’eccellenza dello stato religioso su quello matrimoniale e arrivò pure a negare l’utilità del celibato. I padri della Chiesa, san Girolamo (347-419/420) e sant’Agostino (354-430), combatterono le tesi di Gioviniano e dei suoi seguaci, consegnando alla storia le loro inconfutabili opere: Adversus Jovinianorum del primo, De bono coniugali e De sancta virginitate del secondo.

Il libro di padre Lanzetta, che prende le mosse dai Sacri testi, passando dai Padri della Chiesa, attingendo alla teologia dogmatica, morale, mariana, approda a conclusioni tanto cristalline quanto convincenti, mettendo a nudo le paraboliche, illogiche, alternative dottrinali degli stravaganti e rivoluzionari teologi della nostra età apostatica. Lo stile è definitorio e si riallaccia a ciò che è sempre stato detto sulla verginità di Maria, la quale, come spiega in modo arricchente l’autore, è forma stessa del Cristianesimo e dell’essere, quindi, cristiani: «cuce insieme tutte le maglie della Fede cristiana» (p. 11); «è la fonte della perfezione nei diversi stati di vita del cristiano» (p. 20); è il «segno pubblico dell’unione toto corde con Dio» (p. 46); è l’abito della santità per i sacerdoti ed i religiosi/e; ma il valore della castità è vertice anche della finalità procreativa dei coniugi; è la forma superiore che unisce verginità e martirio (p. 72); è la «chiave ermeneutica del “Regno di Dio”in Cristo» (p. 127). Il Verbo si fece Carne nel grembo verginale della Beata fra tutte le donne, perché divenisse il sacro tempio vivente del Figlio di Dio in terra.

Se Gioviniano è stato un precursore del negazionismo della verginità mariana, i protestanti hanno proseguito su quella strada già tracciata – perché gli errori sono ripetitivi a differenza del sempre nuovo della Rivelazione dell’Eterna Trinità – e i suoi novelli discepoli sono tutti coloro che, conformandosi alle aspirazioni dell’uomo che vive nel mondo e segue il suo dio, manifestano ancor oggi, come ieri, le loro soggettive interpretazioni. «Dio è con noi nella verginità di Maria. Dio è per noi, attraverso la verginità integra di Maria. Era necessario che la Madre di Dio fosse sempre vergine perché gli uomini potessero riconoscere in Gesù l’Unigenito del Padre, Colui che è generato sempre dal Padre: da Lui procede come Verbo eterno e da Lui procede nella generazione umana nel seno di Maria in quanto generazione verginale-misterica. Gesù è rivolto sempre verso il seno del Padre quale Verbo (cf Gv 1, 18) ed è rivolto verso il seno della Madre quale uomo (cf Lc 1, 35)» (p. 87).

Oggi si banalizza diffusamente la verginità perenne della Madonna e si preferisce optare per una verginità spirituale piuttosto che fisica, tanto che appare, come afferma padre Lanzetta, una dicotomia che rispecchia quella avanzata nel Novecento tra il Cristo della fede e il Cristo della storia, posizioni che sottendono una chiara denigrazione (profanazione/blasfemia) di Gesù e di Maria, scorporandoli dalla loro fisicità. D’altraparte si pensi allo stesso procedimento che avviene nella rappresentazione simbolica, quindi immateriale, della memoria dell’ultima cena nel mondo protestante a differenza della transustanziazione sulla quale si concentra la consacrazione eucaristica della cattolicità. La Fede di Santa Romana Chiesa non è un modo di sentire, ma un credo in ciò che realmente e fisicamente avvenne nella storia. La successione cronologica dei fatti è evidente: verginità biologica di Maria, incarnazione biologica del Salvatore, verginità del Sacerdote Sommo (Cristo celibe), Corpo e Sangue fisici sull’altare, resurrezione fisica di Cristo. «Ora, se si predica che Cristo è resuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste resurrezione dei morti? Se non esiste resurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è resuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede» (1 Cor 15, 12-14).

Vita consacrata e matrimonio sono “religiosamente” livellati sullo stesso piano per un richiamo egualitarista alla “santità” dei battezzati e così facendo si è andata creando, a partire dal Concilio Vaticano II, uno svuotamento di quei principi che regolavano sia il buon andamento, secondo i criteri dettati dall’esemplarità della Sacra Famiglia, delle regole che sostenevano le famiglie, sia il vincente modello evangelico-verginale che attirava tante vocazioni alla vita della Chiesa, inesorabilmente crollate da 50 anni a questa parte. C’è una gerarchia della perfezione cristiana, a dispetto di chi ormai la misconosce, perciò la vita consacrata era, è, e resterà per sempre il livello più alto per poter raggiungere tale perfezione. Ogni stato di vita del credente, tuttavia, s’imprimeproprio sulla verginità di Maria, fonte della perfezione: «La verginità di Maria, perché forma, dà la perfezione all’essere cristiano» (p. 21): parole che non hanno più senso in un’epoca votata alla corruzione morale dentro e fuori la Chiesa? Niente affatto, queste sono parole che rimandano alla Verità portata in terra dal Figlio di Dio, a non aver senso sono le posizioni assunte dai praticanti del metodo esegetico storico-critico «inteso come assoluto metro di valutazione. In nome della critica storica si demolisce la storia, il dato fisico, la dimensione materiale. Evidentemente non bastano degli assoluti esegetici per interpretare ciò che è primariamente un dato di fede consegnato da Dio alla Chiesa, che si dipana poi in un contesto storico» (p. 88).

Tanto è stato sopraffatto l’intervento soprannaturale nel naturale con l’orgoglio della propria soggettiva fantasia, millantata per “ragione scientifica”, da non credere più all’azione della Grazia divina nel mondo, come è avvenuto, ad esempio, per il concepimento senza peccato della Regina degli angeli, la Vergine per eccellenza, che schiaccerà la testa del «dio di questo mondo» (Gen 3, 15). Così, se è possibile non credere più nella verginità di Maria, è possibile non credere più nell’indissolubilità del matrimonio, come se ne ha testimonianza nell’esortazione apostolica Amoris laetitia, dove si apre alla possibilità di dare l’Eucaristia ai divorziati risposati, dando per scontata l’impossibilità, da parte del credente, del vivere lo stato di continenza. Ma questo “credente”, in realtà, non crede più. Siamo, ormai, di fronte ad una teologia relativista? Assolutamente sì, e in alcuni casi, ormai, ludica e virtuale.

Ecco le ragioni delle «nostre forti rimostranze verso un’esegesi del tipo di R. E. Brown (ed ora dei suoi discepoli) in cui dinanzi al metodo storico-critico tutto passa in secondo piano, perfino la stessa Scrittura» (pp. 88-89). Scrive nella Presentazione padre Sefano M. Manelli FI: «Contro gli errori che offendono tale [la verginità perpetua di Maria] ineffabile mistero, tuttavia, è necessario vigilare con ogni premura perché è certo che intaccare questa verità significa intaccare e compromettere anche altre verità della nostra Fede che fanno tutte armonia divina con essa, a cominciare dalla verità sublime del mistero dell’Incarnazione del Verbo nella Vergine Immacolata» (p. 9).

Perché mai dovremmo credere alla versione di un Brown piuttosto che a quella di padre Lanzetta? La risposta è tanto semplice quanto dettata dall’evidenza dei fatti, rivelati proprio nell’indagine teologica Semper Virgo, un trattato che si pone al servizio della ragione, quella che si sposa costruttivamente alla Fede.

Cristina Siccardi

 

Fonte: Corrispondenza Romana

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