L’ateismo di Madame Curie

All’interno della collana di libri dedicata alle Grandi donne. Tenaci, creative, coraggiose, uniche, libere, pubblicata dal Gruppo di comunicazione internazionale RBA (impresa leader nella pubblicazione di riviste, collezionabili e libri con un capitale al 100% spagnolo, presente in più di cinquanta Paesi dei cinque continenti), che si è stabilito «un obiettivo ambizioso: influenzare in modo positivo la vita di milioni di persone con dei prodotti creati per loro. Perché, prima di tutto, pensiamo ai nostri lettori.» (qui) ci sono figure ideali per la macchina culturale contemporanea che, in un’Europa scristianizzata, oggi lede le leggi di natura, attacca la famiglia, sradica l’identità dell’uomo e della donna, violenta l’innocenza dei bambini, profana ciò che è sacro. Fra le seguaci di Marianne c’è Marie Curie, alla quale è dedicata la seconda uscita della collana editoriale.

 

Maria Skłodowska nasce in una famiglia benestante il 7 novembre 1867 a Varsavia, nel tempo in cui la Polonia era soggetta alla Russia. Quinta ed ultima figlia di Władysław Skłodowski (1832-1902) e di Bronisława Boguska (1834-1879), dotata di fervida intelligenza, viene accompagnata nello studio da suo padre, scienziato, docente a Varsavia e traduttore. Si era diplomato al ginnasio di Siedlce con la medaglia d’oro, per poi conseguire nel 1852 il diploma di candidato delle scienze alla facoltà fisico-matematica dell’Università statale di San Pietroburgo. Nel 1867  divenne vicedirettore (podinspektor) del ginnasio russo della capitale polacca e rimase  in carica fino al 1873. Nel 1887 divenne insegnante emerito e l’anno successivo fu nominato direttore della casa di correzione di Studzieńice, fino al 1890.

Molto legata alla sorella Bronia, di temperamento estroverso e materno, Maria è al contrario chiusa e intransigente. Il suo rapporto con gli uomini non è sereno: non si aspetta mai nulla da loro e trova la forza nelle donne.

A 15 anni Maria Sklodowska (nella foto a sinistra conta 16 anni) termina gli studi secondari al Ginnasio, meritando la medaglia d’oro. Dopodiché trascorre un anno con Bronia soggiornando in campagna nella dimora di alcuni parenti. Tornata a Varsavia, aderisce al progetto dell’«Università Volante», costituito da un circolo di ragazzi e ragazze, che coltivano clandestinamente il Positivismo, quel movimento filosofico e culturale, sorto nella Francia della metà dell’Ottocento, ispirato all’esaltazione del progresso scientifico. Il primo ad introdurre il termine «Positivismo» fu il filosofo Claude-Henri de Rouvroy conte di Saint-Simon (1760 -1825), fondatore della tecnocrazia[1].

Seppure nata in un Paese fortemente cattolico, a 17 anni Maria rigetta ogni religiosità, professando l’ateismo e riponendo fiducia unicamente nella razionalità illuminista e nel progresso. Aderisce, perciò, al Positivismo, che diventa il suo abito mentale e la guida ad ogni sua azione.

Il femminismo trova in lei un’icona del riscatto e dell’emancipazione. Basti dire che nel 1885 ella si presenta all’ufficio di collocamento per cercare lavoro, a motivo delle difficoltà economiche in cui versa in quel momento la famiglia, e trova l’occupazione come governante.  Scriverà al fratello Jozef:

«[…] adesso che ho perso la mia ambizione di diventare qualcuno, tutta la mia ambizione si è riversata su Bronia e su di te. Bisogna che almeno voi indirizziate la vostra vita secondo le vostre capacità. Bisogna che le capacità che senza alcun dubbio esistono nella nostra famiglia, non scompaiano, anzi, si facciano strada attraverso uno di noi. Più ho rimpianti per me, più ho speranze per voi…»[2].

Nel 1891 lascia il lavoro e si trasferisce a Parigi, ospite di sua sorella Bronia e del marito Casimiro Dluski. Il 3 novembre 1891 si iscrive alla Sorbona, francesizzando il suo nome in Marie e qui prenderà la laurea in fisica e in matematica. Il 7 novembre compirà 24 anni e quindici anni dopo, il 5 novembre 1906, sarà la prima donna ammessa a insegnare alla Sorbona. All’Università di Parigi, nel 1894, conosce Pierre Curie (1859-1906), fisico e matematico. Fra i due scienziati si stabilisce un forte legame fondato sullo studio, sulla ricerca e sul sostegno reciproco. Si sposano nel 1895 e Maria non rinuncia alla sua indipendenza economica: più che sposa e madre, cerca la sua realizzazione nella propria professione.

Gli studi sulle sostanze radioattive iniziano nel dicembre del 1897, intorno alle quali ruoterà d’ora in poi tutta la sua attenzione. Il 19 aprile 1906, mentre è in campagna insieme alle figlie, Irène Joliot-Curie e Ève Denise Curie, il marito viene travolto a Parigi, mentre sta percorrendo a piedi rue Dauphine per recarsi all’Accademia delle Scienze, da una carrozza. Senza alcuna cerimonia religiosa, sarà sepolto nel cimitero di Sceaux. Madame Curie, ormai celebre ovunque, diventa la vedova illustre e ottiene la cattedra di fisica generale alla Sorbona che era appartenuta al marito.

Maria Skłodowska-Curie fu la prima persona a vincere due premi Nobel in due campi differenti: insieme al marito Pierre e ad Antoine Henri Becquerel, ricevette, come prima donna della storia, quello per la fisica nel 1903 «in riconoscimento dei servizi straordinari che essi hanno reso nella loro ricerca sui fenomeni radioattivi». Otto anni più tardi, nel 1911, arrivò il secondo Nobel, quello per la chimica «in riconoscimento dei suoi servizi all’avanzamento della chimica tramite la scoperta del radio e del polonio, dall’isolamento del radio e dallo studio della natura e dei componenti di questo notevole elemento».

Nel 1909 fondò a Parigi l’Institut du radium, oggi noto come Istituto Curie e, nel 1932, un altro analogo istituto a Varsavia, anch’esso successivamente rinominato Istituto Curie.

Nel gennaio del 1911 iniziano a circolare forti polemiche a proposito della sua candidatura all’Accademia delle Scienze di cui il marito aveva fatto parte. Si affrontano due schieramenti: la Francia progressista e repubblicana e la Francia monarchica, cattolica e nazionalista.

Nell’estate dell’anno dopo Marie Curie, dopo quattro anni dalla morte del marito, compare nel salotto della romanziera Camille Marbo, moglie di Emile Borel, il direttore dell’«Ecole Normale», per manifestare pubblicamente la fine del suo lutto: indossa un abito lungo bianco, con una rosa sul petto, ostentando la relazione con un uomo più giovane di lei, sportivo, sposato e con quattro figli: il fisico Paul Langevin, che era stato collaboratore di suo marito. Scoppia l’affaire du siècle che finisce su tutti giornali di Francia, dove trovano spazio pure le lettere dei due amanti, in particolare sul «Petit Journal».

 

 

Conferenza internazionale di Fisici a Bruxelles, in Belgio della Belgian chemical del magnate Ernest Solvay, 1911. In piedi da sinistra a destra: Victor Goldschmidt, Max Planck, Rubens, Somerfeld, Lindemann, Louis Victor De Broglie, Knudsen, Hasenohrl, Hostelet, Herzen, James Hopwood Jeans, Ernest Rutherford, Heike Kamerlingh-Onnes, Albert Einstein, Paul Langevin. Seduti da sinistra a destra:  Walther Nernst, Marcel Louis Brillouin, Ernest Solvay, Hendrik Lorentz, Otto Heinrich Warburg, Jean Baptiste Perrin, Wilhelm Wien, Madame Marie Curie, Jules Henri Poincare

 

A fine ottobre i due amanti raggiungono il gotha della fisica al primo Congresso Solvay, in Belgio, dove incontrano Einstein, Rutherford, Planck… Rientrati a Parigi il 4 novembre leggono sul «Petit Journal» il titolo in prima pagina «Histoire d’amour: Madame Curie et le professeur Langevin».

A motivo di questa storia il matrimonio del fisico franò e provocò una protesta pubblica, tanto che l’Accademia svedese, sul punto di assegnare il secondo premio Nobel alla Curie, ebbe dei ripensamenti, che si risolsero assegnando ugualmente il premio alla scienziata polacca naturalizzata francese, ma consigliandole di non partecipare alla cerimonia, suggerimento che ella non seguì.

I giornalisti assediarono la casa della Curie, la quale si rifugiò nella dimora dell’amica Camille Marbo Borel, dove intellettuali, artisti, politici e femministe venivano a renderle omaggio. Tuttavia lo scandalo proseguì a motivo della moglie di Langevin, Jeanne, che aveva fornito le lettere dei due amanti ai giornali e che aveva denunciato ed insultato l’amante del marito, minacciandola davanti all’«Ecole Normale». Le passioni erano così accese che il Consiglio dei ministri discusse l’espulsione dal Paese di Madame Curie, mentre i giornalisti a favore o contro la scienziata si battevano a duello: ci furono ben cinque duelli, ad uno dei quali partecipò lo stesso Langevin, per difendere “l’onore” dell’amante, contro un capo-redattore, avendo come padrino Paul Painlevé (1863-1933), matematico e celebre politico[3].  Nessun morto, soltanto ferite.

Il processo in tribunale si arresta, nello stesso 1911, perché Jeanne Langevin ritira la denuncia in seguito a “congruo” risarcimento in denaro da parte della Curie. Nel 1914 Langevin tornerà sotto il tetto coniugale.

Madame Curie, durante la prima guerra mondiale, si adoperò, in qualità di radiologa, per il trattamento dei soldati feriti, dotando un’ambulanza, detta «la petite Curie», di un’apparecchiatura per indagini radiologiche in prossimità del fronte; inoltre partecipò alla formazione di tecnici e infermieri. Dopo la guerra divenne attiva nella Commissione Internazionale per la Cooperazione Intellettuale della Lega delle Nazioni per migliorare le condizioni di lavoro degli scienziati.

Nel 1921 effettuò un viaggio negli Stati Uniti per raccogliere i fondi necessari a proseguire le ricerche sul radio e ovunque fu accolta trionfalmente.

Negli ultimi anni della vita, venne colpita da una grave forma di anemia aplastica, malattia contratta a causa delle lunghe esposizioni alle radiazioni di cui, all’epoca, si ignorava la pericolosità. Morì nel sanatorio di Sancellemoz di Passy in Alta Savoia, nel 1934. Ancora oggi, tutti i suoi appunti successivi al 1890, compresi i ricettari di cucina, sono considerati pericolosi a causa del loro contatto con sostanze radioattive e sono conservati in apposite scatole piombate; chiunque voglia consultarli deve indossare abiti di protezione.

La figlia maggiore, Irène (1897-1956), vinse anch’ella un premio Nobel per la chimica insieme al marito Frédéric Joliot (1900-1958) nel 1935. Nel 1926 i due sposi avevano entrambi mutato il loro cognome, aggiungendo ciascuno al proprio quello del coniuge, in modo da divenire tutti e due Joliot-Curie. La secondogenita, Ève Denise (1904-2007), scrittrice e pianista, fu fra l’altro consigliere speciale del Segretariato delle Nazioni Unite e ambasciatrice dell’UNICEF in Grecia.

Il 20 aprile 1995 le spoglie di Marie Curie, insieme a quelle del marito, sono state trasferite dal cimitero di Sceaux al Pantheon di Parigi. È stata la prima donna ad aver ricevuto questo onore per meriti propri. Per il timore di contaminazioni radioattive, la sua bara è stata avvolta in una camicia di piombo.

 

***

 

Gli indiscutibili meriti scientifici di Madame Curie ne giustificano solo a metà l’inclusione nella collana di biografie che abbiamo citato all’inizio, poiché, nell’ottica degli editori, le figure femminili degne di esservi annoverate devono aver contribuito al mutamento del costume e del comune sentire, in senso illuminista, femminista e, conseguentemente, anticattolico. E, oggettivamente, si deve riconoscere che gli editori non hanno sbagliato.

È necessario distinguere il suo apporto scientifico, in senso stretto, dal suo contributo alla filosofia della scienza. Dal punto di vista delle sue scoperte i meriti, non ci è dato di sapere in che misura da condividere con il marito, sono enormi: i suoi studi hanno aperto la strada alla radiologia. Il suo apporto è stato importante e le sue scoperte sono state innovative.

Sul versante della filosofia della scienza, invece, le sue posizioni sono estremamente convenzionali, totalmente schiacciate sulla moda del momento. Il giudizio, a prima vista, potrebbe apparire particolarmente pesante e ingeneroso, ma esso trova la sua ragion d’essere sia nelle posizioni pubbliche assunte dalla scienziata durante la sua vita, sia nell’uso propagandistico fatto del suo nome, tanto mentre era vivente, quanto dopo la sua morte, dai sostenitori del più cupo Positivismo e del più dogmatico materialismo illuminista.

Ella, per tutta la vita, almeno dopo i 17 anni, professò la più convinta adesione al Positivismo scientifico. Esso non è una filosofia compiuta, ma dichiaratamente il rifiuto della filosofia, considerata come inutile e nociva astrazione teorica, cui si contrappone la concretezza dell’osservazione dei fatti, rifiutando anche solo il tentativo di dare loro un significato più generale.

Normalmente si include il Positivismo nel grande movimento illuminista che, con varie coloriture, si snoda dal XVIII secolo ai giorni nostri. Per alcuni versi l’affermazione è corretta: entrambi mutilano la ragione e respingono la metafisica; entrambi sono materialisti, salvo qualche tolleranza verso lo spiritismo; entrambi sono fondamentalmente antireligiosi e ferocemente anteisti[4]. L’Illuminismo, però, tende a dare una giustificazione filosofica alle sue posizioni e, anzi, pretende di rifondare la filosofia, come hanno espressamente affermato i suoi due maggiori teorici: Immanuel Kant (1724-1804) e Friedrich Hegel (1770-1831). Il Positivismo, invece, rifiuta, come dicevamo, ogni teorizzazione.

Più che un atto di ragione, l’adesione al Positivismo pare quasi essere il frutto di una fascinazione, l’incantata meraviglia di fronte al progresso della tecnica più che della scienza, della macchina più che della legge di natura; mostra più ammirazione per l’inventore della locomotiva a vapore, Richard Trevithick (1771-1833), che per Carlo Linneo (1707-1778)…

Questa dichiarata rinuncia alla ragione ha dominato gli ambienti culturali a partire dalla prima metà del XIX secolo, per divenire quasi totalizzante nella seconda parte del secolo. A cavallo con il «secolo breve», s’incominciano ad affacciare reazioni e critiche, sia sul piano filosofico, che su quello scientifico. Su quest’ultimo versante di particolare rilievo è la critica assolutamente distruttiva che ne fa Albert Eistein (1879-1955), che, oltretutto, ne dimostra l’intimo spirito antiscientifico.

Ci si domanda come Marie Curie, indubitabilmente una grande scienziata, abbia potuto evitare di porsi la domanda sul perché avvengono i fatti che, con tanta passione, ha studiato; e, a maggior ragione, si fatica a comprendere come non abbia capito che il rifiuto teorizzato e dottrinale a porsi tale domanda riduce la stessa scienza, almeno quella che oggi definiamo «teorica», ad inutile e dannosa astrazione.

Ci permettiamo di osservare che i principali motivi che la collocano nella suddetta collana sono quelli che le impediscono di passare dalla scienza applicata a quella teorica, vale a dire dallo studio dei singoli eventi a quello delle leggi che vi presiedono.

Cristina Siccardi

 

[1] La Tecnocrazia è la dottrina filosofica e politica, che, partendo dall’assoluto materialismo ed identificando la felicità con quelli che Marx chiamerà «soddisfacimento dei bisogni primari», ritiene necessario che il potere sia gestito dagli industriali (nella versione attuale dagli uomini di finanza) e dai tecnocrati, teorici della perpetuazione e del miglioramento dei sistemi per moltiplicare la ricchezza. In questa concezione, l’approdo finale è una società composta di due classi sociali: una classe dominante (tecnocrati ed industriali) ed una massa di schiavi. A sostegno di queste sue teorie, Saint-Simon si presentava come riformatore del Cristianesimo, dandone una lettura materialista, sintetizzabile nella frase a lui attribuita dai suoi seguaci, ma, molto probabilmente, mai pronunciata: «Tutto ciò che è sociale è religioso e tutto ciò che è religioso, è sociale».

[2] F., Marie Curie: Il primo Nobel di nome donna, Milano, Rizzoli, 1982.

[3] Primo Ministro della Francia per tre volte: la prima dal 12 settembre al 16 novembre 1917, la seconda dal 17 aprile al 27 ottobre 1925 e la terza dal 29 ottobre al 22 novembre 1925. Alla morte ebbe i funerali di stato e il suo corpo venne inumato al Panthéon.

[4] Per teismo deve intendersi l’insieme di tutte le religioni che danno di Dio o, più in generale della divinità, definizioni precise e che, conseguentemente, escludono dalla loro sequela chiunque non riconosca tali caratteristiche e /o aderisca a concezioni che le mettono in dubbio. Ad esso si contrappone il deismo che è l’insieme di tutte le filosofie che ammettono anche solo la possibilità che esista una divinità e che essa possa anche essere creatrice, ma escludono che essa sia conoscibile e che possa intrattenere rapporti con l’uomo; questa concezione ha raggiunto il suo apice nel primo Illuminismo.

 

Fonte: Europa Cristiana

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