L’inferno nell’arte cristiana

di Cristina Siccardi – 7 giugno 2017 Corrispondenza Romana

Nella storia dell’arte cristiana, unica arte iconica fra le religioni monoteiste (in quella protestante, ebraica, islamica la figurazione è rigettata a priori), la rappresentazione del destino ultimo dei dannati è sempre stato un dato di fatto. Committenti ecclesiastici e artisti si sono cimentati, secolo dopo secolo, nell’illustrare nelle chiese, nei conventi, nei refettori, nei testi… non solo la beatitudine del Cielo, ma anche le turpitudini del Regno di Satana, l’Inferno.

Nel cattolicesimo c’è sempre stata ampia libertà («conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» Gv 8, 32), a differenza di una certa cultura bigotta del protestantesimo e del puritanesimo anglicano, ed è per tale ragione che l’arte sacra cattolica si esprime realisticamente, senza infingimenti o ipocrisie, nel rappresentare la crudezza della miseria del peccato mortale. Ma oggi non è più così: anche nell’arte “sacra” è evidente l’apostasia. Da alcuni anni, per esempio, fa discutere la tragica pittura muraria La resurrezione dei morti che si trova sulla controfacciata del Duomo di Terni. Al centro della scena si trova Cristo, che ascendendo al Cielo trasporta con sé due reti cariche di persone meritevoli del Paradiso, fra queste sono rappresentate prostitute, spacciatori, malavitosi, sodomiti e transessuali.

Nulla dà prova del loro pentimento e della loro conversione, essi si presentano così come sono, nel loro stato di pieno peccato mortale: dannati meritevoli della beatitudine eterna. L’opera, commissionata dall’allora vescovo di Terni monsignor Luigi Paglia, oggi arcivescovo e presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, e dal parroco don Fabio Leonardis (all’epoca direttore dell’Ufficio beni culturali della diocesi e segretario della Consulta regionale per i beni culturali ecclesiastici), è stata realizzata nel 2007 dal pittore argentino Ricardo Cinalli, il quale ha dichiarato: «Nella mia Risurrezione anche gay e trans vanno in cielo» (cfr. Duomo di Terni, il pittore: Nella mia Risurrezione anche gay e trans vanno in cielo, intervista a Ricardo Cinalli di Benedetta Perilli e Giulia Villoresi, in Repubblica TV, 26 marzo 2016).

È vero: questa è la risurrezione secondo Cinalli, non secondo la Chiesa di Cristo. Mai si era arrivati a condurre in Paradiso gli impenitenti, perché ciò è antitetico alle Sacre Scritture e agli insegnamenti di sempre della Chiesa, alla Fede nella sua totalità. A migliaia sono i campioni che possono essere osservati ed esaminati nella Storia dell’arte sacra. Pensiamo al Beato Angelico e al suo Giudizio Universale che si trova nel Museo nazionale di San Marco a Firenze. Si tratta di una tempera su tavola (105×210 cm) risalente al 1431 circa, usata per decorare la cimasa del seggio del coro.

L’opera proviene dallo scomparso convento di Santa Maria degli Angeli di Firenze, originariamente destinata all’oratorio degli Scolari, a lato del convento. Al centro della sublime scena c’è Cristo Giudice. Nel bordo inferiore del coro angelico è rappresentato un angelo con la croce e due angeli dell’Apocalisse che suonano le trombe, al cui richiamo si destano i morti dai loro sepolcri. Alla destra di Cristo il Paradiso, alla sua sinistra l’Inferno.

I diavoli cacciano con forza i dannati, i quali vengono diretti nei gironi, ognuno indirizzato secondo le pene del contrappasso: nel girone dell’accidia sono immobilizzati dai serpenti; in quello della lussuria serpenti e rospi mordono i loro genitali; in quello dell’ira ci si morde e ferisce a vicenda; in quello della gola si è costretti ad astenersi dal cibo; in quello dell’avarizia si è obbligati ad ingoiare oro fuso… Le fiamme sono ovunque, mentre i diavoli trafiggono gli individui con i loro tridenti e in basso Lucifero, che mastica i dannati. Le persone rappresentate sia nel Paradiso che nell’Inferno appartengono a tutte le classi sociali: sovrani, papi, vescovi, monaci, aristocratici, popolani.

Pensiamo ancora allo straordinario San Michele scaccia gli angeli ribelli di Domenico Beccafumi, databile al 1526-1535 circa, olio su tavola (347×225 cm) che si trova nella chiesa di San Niccolò al Carmine di Siena. Al centro si staglia Dio che ordina all’Arcangelo Michele di levare la sua spada di guerriero e di dirigersi verso gli inferi, dove si trovano i dannati, i demoni e, nell’abisso, Lucifero con faccia canina e corpo di drago.

Nel Duomo di Todi si trova poi Il giudizio universale di Ferraù Fenzoni, che risale al 1594, dove è ben chiaro il destino degli impenitenti. Armi diverse impugnano gli angeli armati, guidati dall’Arcangelo Michele, nel dipinto del 1554 di Frans Floris al Koninklijk Museumvoor Schone Kunsten di Anversa (Belgio). Nel 1562 Pieter Bruegel dipinge, invece, una Caduta degli angeli ribelli molto caratteristica, custodita a Bruxelles nel Museo delle belle arti: san Michele si distingue dagli angeli suoi amici solo per la  lucente armatura che indossa e per il piccolo scudo sul quale è dipinta una croce rossa.

Ogni angelo ha un demonio suo personale antagonista, invece, nella cupola della cappella degli appartamenti di Papa san Pio V nella Città del Vaticano, iniziata da Giorgio Vasari e completata da Federico Zuccari. Nel Seicento sono Pieter Paul Rubens che tratta lo scontro fra san Michele ed i suoi angeli guerrieri contro Satana e Luca Giordano, mentre oggi è Giovanni Gasparro, definito da Vittorio Sgarbi «L’ultimo caravaggesco», con la sua opera La visione di san Giovanni a PatmosSan Michele arcangeloLa cacciata degli angeli ribelli, realizzata nel 2012 nella basilica di San Giuseppe Artigiano a L’Aquila.

Sul giudizio eterno previsto per i sodomiti si adoperò molto Giorgio Vasari, di cui ha lasciato ampia testimonianza nella cupola del Brunelleschi della Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze. La straordinaria decorazione ad affresco fu realizzata fra il 1572 ed il 1579 insieme a Zuccari e presenta lo stesso tema iconografico del Battistero: il Giudizio Universale. La raffigurazione dei demoni che infliggono nella Geenna – luogo di cui ha parlato direttamente e più volte Gesù Cristo – terribili punizioni agli omosessuali è plasticamente evidente, priva di ogni tipo di edulcorazione. Dettagli delle terribili pene inflitte ai dannati sono anche snocciolate da Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova, che ospita il celebre ciclo degli affreschi del Maestro dei primi anni del XIV secolo, uno dei capolavori più conclamati dell’arte occidentale.

Il Giudizio Universale occupa l’intera controfacciata. Al centro la mandorla iridata con Cristo Giudice. Ai due lati i dodici apostoli, seduti in trono, creano un piano che taglia la scena in orizzontale: nella parte superiore Giotto dipinge le schiere angeliche, in quella inferiore, a destra, l’orrore dell’Inferno e, a sinistra, due processioni di eletti disposte in parallelo su piani sovrapposti.

La grande croce crea una linea verticale che prosegue idealmente fino alla vetrata centrale dell’ampia finestra trilobata, simbolo della Santissima Trinità. In alto due angeli arrotolano il cielo come un tappeto, mostrando tutto lo splendore delle porte della Gerusalemme celeste. Sulla croce una tabella porta un’iscrizione: «Hic est Iesus Nazarenusrex Iudeorum» («Costui è Gesù Cristo Nazareno, re dei Giudei»). In basso si scoperchiano le tombe e fuoriescono i defunti già risorti in corpo, destati dallo squillo delle lunghe trombe suonate da quattro angeli, annuncianti l’ora solenne del Giudizio.

La croce separa in verticale lo spazio dei giusti da quello dei reprobi. Un fiume di fuoco, diviso in quattro bracci che squarciano con una luce sinistra il regno di Satana, si stacca dalla mandorla iridata di Cristo e trascina all’ingiù, con la violenza di un vortice, i dannati, nudi, abbrancati e straziati da diavoli irsuti e orrendi. Un molosso, un orco, un osceno Lucifero domina lo spazio: dalla bocca gli pende la parte posteriore di un uomo che sta ingurgitando, un altro gli fuoriesce dall’ano. Il suo colore, come quello dei diavoli, è blu ciano, la tinta della morte. Siede su due draghi che addentano e ingoiano altri corpi. Dalle orecchie gli fuoriescono serpenti che a loro volta afferrano e addentano i dannati, uno dei quali ha in testa una tiara papale.

Tutt’intorno è un’orgia di orrori, con uomini e donne scomposti nelle loro nudità e sottoposti a torture efferate. Qui è evidente tutto il crudo realismo rigettato dal bigottismo protestante. Le nudità, di cui oggi si vantano di rappresentare gli artisti dell’arte contemporanea dissacrante, quella che sguaiatamente si impone in una cultura prona alla mercificazione dell’arte stessa, sono da Giotto qui riprodotte nell’autentico marchio originario satanico,dove il peccato mortale riceve la giusta punizione da chi è padrone del vizio della carne.

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