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Quando, per caso, mi imbattei nell’opera Quum memoranda – ritratto di papa Pio VII rimasi incantata e compresi che l’autore del dipinto non solo aveva un talento straordinario, non solo conosceva il concetto Arte-bellezza, non solo realizzava Arte sacra, ma era in grado di riprodurre tutto ciò con una firma squisitamente propria. Giovanni Gasparro è uno dei massimi esponenti dell’Arte sacra contemporanea.
La sua prima mostra personale si tenne a Parigi nel 2009, da allora è un crescendo, sia in produzione che in esposizioni nazionali e internazionali. Nel 2011, l’Arcidiocesi dell’Aquila gli ha commissionato il più grande ciclo pittorico religioso degli ultimi anni da realizzare nella Basilica di San Giuseppe Artigiano, danneggiata dal terremoto del 2009. Nel 2013 si è classificato al primo posto nel «Bioethics Art Competition» della cattedra in bioetica e diritti umani dell’Unesco con l’opera contro l’aborto Casti connubii, ispirata all’enciclica di Pio XI (1930). Natura e sopranatura, reale e simbolico, oggettività e mistero, Fede e ragione si intersecano felicemente e armonicamente nelle sue produzioni.
Che cos’è l’arte, in genere, per il pittore Giovanni Gasparro? E, in specifico, che cos’è l’arte sacra?
L’arte è una delle forme di espressione di cui dispone l’uomo, attraverso cui manifesta in chiave simbolica e allusiva un determinato messaggio, se non addirittura l’essenza stessa dell’epoca in cui l’ha concepita. L’arte sacra è uno strumento di ausilio alla liturgia ed alla devozione, e come tale ha delle esigenze espressive prestabilite entro cui muoversi. Certamente non si tratta di applicare delle regole codificate come per le icone dell’Oriente cristiano dove l’iconografo può agire nell’ambito tecnico-pittorico, demandando ai sacri canoni immutabili l’invenzione iconografica. Il Cattolicesimo ha permesso l’evoluzione dello stile lasciando libero sfogo all’ingegno ed all’estro degli artisti, ma sempre negli argini dell’aderenza alle Scritture ed alle verità dogmatiche.
Maestro, quali sono le ragioni per cui il Cristianesimo ha perso aderenza nei confronti dell’Arte sacra?
Il processo evolutivo delle arti sacre del Cattolicesimo è stato sempre diversificato, ma all’interno degli argini delle esigenze catechetiche, liturgiche e devozionali che hanno garantito l’aderenza dei manufatti artistici ai canoni ecclesiali. Questa particolarità evolutiva dei linguaggi estetici ha prodotto opere fortemente diversificate esteticamente, ma tutte armoniche e funzionali al soggetto Chiesa. Il susseguirsi dei secoli non ha depauperato il fulcro del linguaggio artistico cristiano, lo ha solo declinato alle esigenze espressive. Oggi, invece, si sono abbandonate proprio le prerogative fondamentali, scegliendo l’opzione aniconica, rigettata dalla Chiesa sin dalle origini, a scapito della figurazione, qualità stilistica che il Cattolicesimo ha ritenuto imprescindibile in tutta la sua storia bimillenaria. Le chiese sono state spogliate delle immagini sacre, come se il secondo concilio di Nicea del 787 d.C. non avesse deliberato a proposito dell’iconodulia, cioè del culto delle immagini sacre come strumento di ausilio alla devozione e non come oggetto da venerare. Questo fraintendimento è alla base di una nuova stagione iconoclasta falsamente suffragata da studi teologici, e di tanti orrori d’arte e dell’architettura sacra, che non conosce le prerogative degli spazi e dei tempi della liturgia. Parallelamente, nelle chiese antiche, sono stati sacrificati altari, amboni, balaustre, pulpiti e cantorie, in nome del pauperismo e di scellerati adeguamenti liturgici. La Chiesa oggi vuole ingraziarsi il mondo laicista. Sappiamo che san’Antonino, arcivescovo di Firenze, o più di recente san Giovanni Bosco e san Pio da Pietrelcina, quando sopraintendevano alle fasi di edificazione di nuovi edifici di culto, erano molto esigenti ed attenti alla scelte estetiche ed iconografiche delle opere d’arte. Non di rado mi è capitato di dover disincentivare la committenza ecclesiastica da improbabili, se non blasfeme, proposte di decorazione pittorica per pale d’altare.
Come nacque il capolavoro «Quum memoranda»?
Nell’estate del 2014, Vittorio Sgarbi mi invitò ad esporre in una mostra organizzata dalla Fondazione Pio Alferano, da lui curata, che intendeva celebrare la figura del re di Napoli, Gioacchino Murat. Considerando le note politiche anticlericali, di derivazione massonica, sposate dall’invasore francese, intesi declinare l’invito. In un secondo tempo, riconsiderai la proposta provando a mostrare, in modo simbolico, l’abominio verso cui si spinsero i napoleonici. Decisi, così, di dipingere Papa Chiaramonti, il Servo di Dio Pio VII, condotto in esilio con i polsi legati e reggente un Crocifisso e diversi documenti magisteriali come la bolla Ecclesiam a Jesu Christo con cui anatematizzò massoni e carbonari. L’opera si intitola Quum memoranda proprio come il breve apostolico con cui il Papa scomunicò i napoleonici. Atto eroico che gli valse l’arresto coatto e l’esilio. Fra le mani di Pio VII ho dipinto anche un’immagine della Santa Vergine, Auxilium Christianorum, alla quale il Pontefice attribuì la sua liberazione, contribuendo a diffonderne il culto. Mai avrei pensato di poter vincere il primo premio con quest’opera: non mi recai neppure alla serata di premiazione. Con lo stesso dipinto ho vinto anche il Premio Eccellente Pittori – Brazzale per il miglior dipinto italiano del 2014.
Qual è il ruolo dell’Arte sacra nel periodo che va dal Concilio Vaticano II ad oggi?
L’Arte sacra ha sempre avuto un ruolo preponderante negli spazi del Sacro, ma appare evidente anche alle anime più semplici, come la Chiesa, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, abbia aderito arrendevolmente alle istanze di certa arte contemporanea, tradendo i suoi connotati estetici identitari. Le cause andrebbero ricercate in certa ambiguità dei testi conciliari che non hanno preteso definire in modo netto le prerogative dell’Arte sacra. Dopo il Vaticano II gli artisti sono stati abbandonati al predominio del proprio ego e della ricerca di un’originalità svincolata dalla Liturgia e dalla Tradizione.
Può l’Arte sacra essere strumento, fra gli altri, di un ritorno della Tradizione nella Chiesa?
L’Arte sacra può e deve essere lo strumento privilegiato di ritorno alla Tradizione nella Chiesa, ma solo se recupera l’essenza ed i connotati fondanti della figurazione, perché essa assicura la trasmissione di un messaggio oggettivo, a contrario dell’astrazione che con le sue forme polivalenti determina una fruizione dell’opera soggettivistica, potenzialmente discordante dal messaggio catechetico e dogmatico. Papa Benedetto XVI nella sua Teologia della liturgia, fu chiaro ribadendo che «la totale assenza delle immagini non è conciliabile con la fede nell’incarnazione di Dio». L’iconoclastia non può essere relegata temporalmente al solo Oriente cristiano del XVII-IX secolo o piuttosto ai timori di alcuni Padri della Chiesa oppure alla disputa fra san Bernardo di Chiaravalle e l’Abate Suger di Sant Denis, ma si amplia: dai feroci discorsi del luteranesimo ai testimoni di Geova. L’iconoclastia odierna è ancora prepotentemente nefasta e fa proseliti fra le gerarchie ecclesiastiche. Sempre Benedetto XVI ha indicato le vite dei santi e l’Arte sacra come le forme paradigmatiche e più efficaci di evangelizzazione. Occorre riconsiderare il monito di san Giovanni Damasceno: «(…) stiamo fermi sulla roccia della fede e sulla tradizione della Chiesa, senza spostare i confini che i nostri padri hanno posto e senza dare spazio a coloro che vogliono introdurre novità ed abbattere l’edificio della santa Chiesa di Dio cattolica ed apostolica! Infatti, se sarà data licenza a chiunque la voglia, a poco a poco sarà distrutto tutto il corpo della Chiesa».
Perché ha voluto trattare il tema dell’aborto nella Sua opera Casti connubii, intitolandola come l’enciclica di Pio XI?
Da diverso tempo leggo con grande ammirazione le encicliche di Papa Ratti, scoprendone un titano della Fede, capace di tutelare il gregge affidatogli da Dio, anche a distanza di tempo. È sorprendente l’attualità di molti dei suoi documenti magisteriali. Da trentenne cattolico auspico che la Chiesa, soprattutto con il Sinodo di ottobre prossimo venturo, possa confermarci nella Fede, partendo proprio da questo punto fermo di Pio XI. La vita è dono di Dio dal valore incommensurabile, soprattutto se vissuta nell’ottica della preparazione alla futura dimensione eterna. L’uomo contemporaneo vive il delirio di onnipotenza noncurante della volontà di Nostro Signore. Ho sentito il bisogno di dipingere un’opera che mostrasse la sacralità della vita umana sin dal concepimento, nonché il naturale svilupparsi nel nucleo familiare formato da padre e madre. La Casti connubii mi è sembrata da subito la fonte privilegiata di ispirazione.
Fonte: Radici Cristiane, settembre 2015