San Giovanni Bosco, la chiesa e la pandemia

 

Immagini simboliche legate ad una Chiesa sempre più in crisi, oltre che di dottrina anche di crescente insoddisfazione di sempre più larghi strati dell’opinione pubblica cattolica e non solo, sono stampate nella mente di tutti: il fulmine che colpì la cupola di San Pietro la sera dell’11 febbraio 2013, quando Benedetto XVI annunciò le sue dimissioni; la cattedrale di Notre-Dame in fiamme a Parigi la sera del 15 aprile di un anno fa; la solitaria preghiera di papa Francesco in una desolata piazza San Pietro, ammutolita dalla pandemia, la sera quaresimale del 27 marzo, quando ha impartito la sua benedizione alla presenza del Crocifisso miracoloso della chiesa romana di San Marcello al Corso, irrigato sul volto e sul corpo dalla pioggia battente. Leggere i segni, per chi ha fede, è una questione normale, in quanto il cattolico sa che il soprannaturale si innesta sul naturale in unità, senza divisioni; diversi richiami mariani, da Nostra Signora del Laus a La Salette a Fatima, e diverse sono state le avvisaglie nella nostra contemporaneità per un reale ritorno, attraverso la conversione al Cristo autentico e alle leggi del Signore, leggi che sono guide certe per l’esistenza terrena ed eterna degli uomini. La pandemia causata dal Coronavirus è un ennesimo campanello d’allarme…

L’uomo di fede crede in Dio e non negli uomini, perciò non vive di illusioni, come, invece, purtroppo accade a molti pastori della Chiesa da cinquant’anni a questa parte, che credono nel dialogo proficuo con il mondo, che per sua essenza si oppone da sempre ai principi divini. Autocensuratasi, la Chiesa degli ultimi decenni si è spogliata della sua identità di paladina della difesa della Verità portata da Gesù Cristo, per allinearsi con i poteri forti e le ideologie del sistema imperante. La Chiesa di papa Bergoglio si stupisce, in questi giorni, di non essere stata presa in considerazione dal Governo Conte sulle nuove direttive di riapertura dell’Italia della cosiddetta fase due. Come un tiro mancino è giunto per l’alta gerarchia ecclesiastica filogovernativa l’annuncio del decreto dell’esecutivo, e allora, con un dialogare non più servile, ha attaccato le decisioni dell’autorità civile, come risulta dalla nota della Conferenza Episcopale Italiana stilata dopo la conferenza del Presidente del Consiglio del 26 aprile: «I Vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto […] Dopo settimane di negoziato che hanno visto la Cei presentare Orientamenti e Protocolli con cui affrontare una fase transitoria nel pieno rispetto di tutte le norme sanitarie, il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri varato questa sera esclude arbitrariamente la possibilità di celebrare la Messa con il popolo. Alla Presidenza del Consiglio e al Comitato tecnico-scientifico si richiama il dovere di distinguere tra la loro responsabilità – dare indicazioni precise di carattere sanitario – e quella della Chiesa, chiamata a organizzare la vita della comunità cristiana, nel rispetto delle misure disposte, ma nella pienezza della propria autonomia».

L’autorevolezza e la credibilità della Chiesa, dai connotati sempre più relativistici e sociologici, ha perso consistenza, sia nei confronti dei fedeli che nei rapporti con il mondo stesso. Trascurati i diritti divini per i presunti diritti umani, gli uomini, artefici di leggi contro l’uomo, come l’aborto, e contro Dio, e di contagiosi virus ideologici, guardano verso il basso e non verso il Cielo, così molti pastori non sanno neppure più discernere fra ciò che è male e ciò che è bene. Deconcentrati e smarriti, buona parte dei ministri delle cose sacre, hanno perso la soprannaturalità della fede e, quindi, si fanno scrupolosi esaminatori della cronaca terrena, fuggendo dagli orizzonti mirabili della sovranatura, la sola in grado di dirimere questioni, contraddizioni, fallacità, dissidi terreni. Viene così tralasciato l’essenziale della Religione rivelata del Salvatore per volgere lo sguardo verso il peccato stesso, il nemico per eccellenza delle anime.

La Chiesa ha un gran bisogno di ritornare sui propri passi e di disintossicarsi e lo reclamano a gran voce le anime, sempre più stanche di parole di vita terrena. A tale proposito pare di risentire il messaggio profetico che san Giovanni Bosco comunicò a papa Leone XIII nel 1878, trascritto nel testo «Esordio delle cose più necessarie per la Chiesa»: «Era una notte oscura, gli uomini non potevano più discernere quale fosse la via […] quando apparve in cielo una splendidissima luce che rischiarava i passi dei viaggiatori come nel mezzodì. In quel momento fu veduta una moltitudine di uomini, di donne, di vecchi, di fanciulli, di monaci, monache e sacerdoti, con alla testa il Pontefice, uscire dal Vaticano schierandosi in forma di processione. Ma ecco un furioso temporale; oscurando alquanto quella luce sembrava ingaggiarsi battaglia tra la luce e le tenebre. Intanto si giunse ad una piccola piazza coperta di morti e di feriti, di cui parecchi dimandavano ad alta voce conforto. […] ognuno si accorse che non erano più in Roma. […] furono veduti due angeli che portando uno stendardo l’andarono a presentare al Pontefice dicendo: “Ricevi il vessillo di Colei che combatte e disperde i più forti eserciti della terra. I tuoi nemici sono scomparsi, i tuoi figli con le lagrime e coi sospiri invocano il tuo ritorno”. Portando poi lo sguardo nello stendardo vedevasi scritto da una parte: Regina sine labe Concepta; e dall’altra: Auxilium Christianorum. Il Pontefice prese con gioia lo stendardo, ma rimirando il piccolo numero di quelli che erano rimasti intorno a sé divenne afflittissimo. I due angeli soggiunsero: “Va tosto a consolare i tuoi figli. Scrivi ai tuoi fratelli dispersi nelle varie parti del mondo, che è necessaria una riforma ne’ costumi degli uomini. Ciò non si può ottenere, se non spezzando ai popoli il pane della Divina Parola. Catechizzate i fanciulli, predicate il distacco dalle cose della terra […] I leviti [i sacerdoti, ndr] saranno cercati tra la zappa, la vanga ed il martello, affinché si compiano le parole di Davide: Dio ha sollevato il povero dalla terra per collocarlo sul trono dei principi del suo Popolo». La terra era «pesta come da un uragano» e molta gente era perita.

Il Papa, afferma don Bosco, tornato a Roma con nuove e ferventi leve, si mise a piangere per la desolazione in cui versavano i pochi cittadini rimasti. Rientrato in San Pietro, intonò il Te Deum, cui rispose un coro di Angeli che cantavano: «Gloria in Excelsis Deo, et in terra pax hominibusbonævoluntatis». 

 

 

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