Scriptorium – Recensioni. Rubrica quindicinale

Di fronte al guazzabuglio del «Festival Torino Spiritualità» rileggiamo tre fondamentali libri di Mons. Brunero Gherardini.

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Mentre a Torino si sta svolgendo la grottesca e tragica carnevalata del «Festival Torino Spiritualità», dove all’interno c’è tutto e il contrario di tutto, ad esclusione del pensiero cattolico di sempre, ieri – 22 settembre anno centenario delle apparizioni di Nostra Signora di Fatima – è passato al di là del guado terreno Monsignor Brunero Gherardini. Di questo grande Teologo del XX e XXI secolo, internazionalmente riconosciuto tale, nessuno ne parla e ne parlerà al Festival, che viene così definito dal suo curatore, Armando Bonaiuto:

«Noi diciamo che è un luogo di pensiero, di scambio e di riflessione. A noi interessa avere un posto in cui ragionare insieme su quella forbice che sentiamo a volte quando misuriamo ciò che noi abbiamo dentro, come aspettativa nei confronti della vita e del mondo, e poi ciò che invece c’è fuori. Questa dismisura potenzialmente è lo spazio della spiritualità e noi indaghiamo questo spazio».

Parole riportate da «Radio Vaticana, la voce del Papa e della Chiesa in dialogo con il mondo», con il titolo Al via Torino Spiritualità 2017: sul mondo gli occhi di un bambino.(http://it.radiovaticana.va/news/2017/09/20/al_via_torino_spiritualit%C3%A0_su_linfanzia_e_let%C3%A0_adulta/1337859).

L’inaugurazione, avvenuta il 21 settembre, è stata affidata al pensatore Theodore Zeldin, studioso dell’Università di Oxford e consigliere della Bbc, inserito dall’«Independent on Sunday» fra le quaranta personalità le cui idee influenzano il nuovo millennio. La sua lezione si è tenuta nella chiesa di San Filippo Neri sul tema Curiosi come bambini, ovvero come andare in cerca di amici, persone da amare e maestri che non siano noiosi.

A noi cattolici, che conosciamo la Verità portata da Gesù Cristo, con la sua Incarnazione, con la sua Rivelazione, con la sua Resurrezione, non interessa perdere tempo e soldi nell’ascoltare questa gente: mille voci e mille volti che annaspano, che brancolano, che indagano senza ancore, autocelebrandosi, nell’affanno di cercare sempre altro e oltre per non annoiarsi. Non ci interessa ascoltare lo scrittore e barefooter Andrea Bianchi, fondatore della prima scuola italiana di camminata scalza nella natura che, per 90 € a testa, nei giorni scorsi (sempre nell’ambito del Festival), nella pianura vercellese attraverso «lezioni frontali e sessioni pratiche tra sentieri e risaie, si reimpara a camminare a piedi nudi e a riconnettersi alla natura. Un approccio graduale e rispettoso dei limiti di ciascuno, in cui la meccanica del piede umano e le connessioni con l’elettromagnetismo terrestre si intrecciano al silenzio che accompagna questo passo antico e leggero, che mai si impone ma sempre trova il suo percorso». Così come altro e meglio da fare oggi avremo quando alle 16,30 parlerà al Museo di Arte Orientale Rev. Elena Seishin Viviani su Dallo Zhuang-zi al grande Lebowski passando dal Buddha: l’innocenza come via e tantomeno abbiamo ascoltato il guru ingannatore, sentimentale, strappalacrime ed ecumenico Enzo Bianchi, che alle 10:00 ha parlato al Teatro Carignano su Chi semina nel pianto raccoglierà nella gioia. Nel programma, a questo proposito, si legge: «Nostra prima voce, il pianto non è solo un modo di comunicare con gli altri, ma è la possibilità di prendere consapevolezza di un’intensità di sentimenti: piangere di tristezza e piangere di gioia, piangere di sofferenza e piangere per una specie di esultanza che invade il cuore. Oggi, però, non sappiamo forse più piangere e siamo incapaci di cogliere le lacrime dell’altro, di soffrire con lui. I rabbini dicono che Dio tiene un’anfora vicino a sé per raccogliere tutte le nostre lacrime, perché al momento del giudizio terrà conto di quelle che abbiamo versato».

No, noi non abbiamo mandato i nostri figli o i nostri nipoti all’appuntamento “spirituale”del 22 settembre alle ore 22:30 al Circolo Canottieri Esperia per farli assistere al Wild Chil Party, che ha per logo una mano da fumetto che fa le corna. In questa performance il Dj set Giorgio Valletta ha offerto la possibilità di immergersi in «una furiosa nottata di ‘lezioni’ alla scuola del rock». Dal punk al grunge, dalla psichedelia al progressive passando per il glam e l’heavy metal «un’arrampicata lungo l’albero genealogico del rock per colmare ogni – gravissima! – lacuna e dare una scossa a chi potrebbe essere un vero ‘bambino selvaggio’, ma a casa non si applica».

SOS, la XIII edizione di Torino spiritualità è dedicata proprio all’infanzia… in se stessa e a quella degli adulti. Il tema, infatti è Piccolo me. Restare o diventare bambini e saranno proprio loro, i non credenti nel Credo Apostolico (seppure alcuni si rifacciano a passi evangelici in cui si evocano i bambini), a spiegarci che cosa sia meglio scegliere… Paradosso dei paradossi: nell’epoca in cui si cerca di corrompere in tutti i modi (nel linguaggio come nel vestire, nel pensiero come nell’agire), con fare diabolico (si pensi, per esempio, all’ideologia gender in Tv, in Internet come nelle scuole) e  fin dalla più tenera età, gli innocenti, ci vengono a parlare dell’innocenza dei bambini. È mostruoso!

No, nessun Festival. Dei vari Sanremo, canori, cinematografici, letterari, spiritualisti… sono piene le città, le Tv, le radio… ne siamo pieni noi… si straripa di Festival, si annega nei Festival… E questo Festival, che straripa di iniziative relativiste e liberaliste, è davvero inquietante per il suo sinistro palinsesto. Così, mentre «ognuno dice la sua» nel manicomio di vaghi, kantiani, hegeliani, buddhisti, ecologisti, gnostici, psicologisti, antropologici, esoterici, mancusiani, bianchiani… “sentire spirituali”, noi cattolici – quelli che ostinatamente credono in Cristo, Via, Verità e Vita – ricordiamo e rileggiamo tre fondamentali libri di Monsignor Brunero Gherardini:

Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, edito a Frigento nel 2010 dalla Casa Mariana Editrice. Sì, quella dei Francescani dell’Immacolata, distrutti da Papa Francesco, che ha giudicato e sentenziato.

Quod et tradidi vobis. La Tradizione vita e giovinezza della Chiesa, Casa Mariana Editrice, Frigento 2010

Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Lindau, Torino 2011.

Tre volumi per comprendere i risultati protestantizzanti della Chiesa di oggi, che si vergogna di essere cattolica e mette in cattedra Enzo Bianchi. Immensa la bibliografia, comprendente sia libri che articoli, di Monsignor Gherardini, teologo delle certezze e della speranza tutta cattolica, che infondeva non soltanto agli addetti ai lavori, ma anche ai semplici fedeli: «Quando [il lettore] riesce a scorgere la verità di fondo, allora, con la gioia nel cuore, può constatare che nulla nella nostra santa Fede, è campato in aria. E di ciò sicuro, egli pure, quasi esplodendo in un grido di liberazione, potrà dire il suo “Now I see”, ora ci vedo! Gliel’auguro fraternamente» (Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Lindau, Torino 2011, p. 22).

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Per ringraziare Monsignor Brunero Gherardini della sua presenza e del suo operato al servizio della Chiesa, desideriamo presentare un articolo che scrissi nel 2011 per «Tradizione Cattolica» (Anno XXII – n. 2 (79), pp. 22-26); si tratta  del profilo biografico di un docente, che lascia in eredità una lucida e costruttiva critica al pastorale Concilio Vaticano II. Il suo Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare fu e rimarrà un caposaldo fondamentale, dal quale nessun cattolico ha potuto e potrà prescindere.

 

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La teologia di Monsignor Brunero Gherardini è quella della Chiesa che mai si contraddice, mai inquieta, mai crea cerebrali elucubrazioni. Pulito, terso e candido il linguaggio di questo magistrale erede della Scuola Romana che fa amare la teologia anche a chi teologo non è.

Monsignor Gherardini è cronologicamente indefinibile, come è proprio delle anime trasparenti. È nato a Prato il 10 febbraio 1925 ed è stato ordinato sacerdote in aeternum 63 anni fa, il 29 giugno 1948 nella città di Pistoia (diocesi di Prato). Ha studiato al ginnasio dell’Istituto salesiano «Cardinale Cagliero» di Ivrea, dove imparò ad amare le figure dei grandi missionari pionieri, Giovanni Cagliero (1838-1926), inviato da san Giovanni Bosco (1815-1888) in Sud America per dirigere le missioni della Patagonia, e il Cardinale Guglielmo Massaja (1809-1889), il “leggendario” cappuccino che aveva evangelizzato l’impervia Etiopia.

La scuola romana

Monsignor Gherardini ha ereditato il meglio della sanguigna terra toscana: vigore nelle idee, vis espressiva, acume intellettuale, magistrale vena letteraria. Brillante il suo excursus accademico al servizio della Chiesa: Consultore della Congregazione delle Cause dei Santi; officiale dell’allora Sacra Congregazione dei Seminari; professore ordinario d’ecclesiologia nella Facoltà Teologica (di cui è stato anche decano) della Pontificia Università Lateranense; già membro e responsabile della Pontificia Accademia Teologica Romana e della Pontificia Accademia di San Tommaso, da cui si distaccò volontariamente quando le Accademie Pontificie vennero rifondate. Inoltre: postulatore di cause di beatificazione, fra cui quella di Pio IX (1792-1878) e della mistica beata Maria Dina Adelaide Bélanger (1897-1929). È anche riconosciuto studioso tomista, nonché allievo di Cornelio Fabro (1911-1995); laureatosi con l’allora Monsignor Pietro Parente (1891-1986), poi Cardinale, è degno erede di Monsignor Antonio Piolanti (1911-2001), Rettore della Pontificia Università Lateranense dal 1957 al 1969, e di tutta la gloriosa Scuola Teologica Romana; dal 1994 è Canonico nella Basilica Papale San Pietro in Vaticano; inoltre è scrittore infaticabile, Direttore della rivista «Divinitas» ed uno dei più grandi esperti cattolici del Luteranesimo e del Protestantesimo in genere.

Di quale salute gode la Scuola Romana a cui Monsignor Gherardini appartiene? Un giorno, a questa domanda, rispose così: «Dopo il Concilio Vaticano II, la voce di questa Scuola, sempre più debole, poteva farsi sentire ancora attraverso due Accademie romane, (la Pontificia Accademia di Teologia e la Pontificia Accademia San Tommaso d’Aquino), le riviste «Divinitas» e «Doctor Communis», e i congressi tomisti. Oggi, quando si riesce ancora a percepirla, si tratta solo di una voce isolata, ammirata da qualcuno, ma più spesso disdegnata e disprezzata. È quello che mi è capitato. Nondimeno, ascoltata o no, essa risuona sempre, e se nella mia voce si riconosce il timbro della Scuola Romana me ne rallegro».

La scuola anti-romana

Con quale coraggio si è disdegnato e disprezzato ciò che per secoli è stato considerato il fondamento del pensiero della Chiesa? Si sono profanate e violate realtà di somma sacralità. Appare quasi inconcepibile che il grande Dottore della Chiesa San Tommaso d’Aquino (1225-1274) sia stato relegato in un cantuccio per dare spazio a teologi di ben altra fattura. Pensiamo, per esempio, a Marie-Dominique Chenu O.p.(1895-1990), uno dei teologi che prepararono il Concilio Vaticano II e che ha “rinnovato” il tomismo. Eppure la sua plaquette dal titolo Une école de théologie. Le Saulchoir (1937), nata da una conferenza tenuta nel 1936, il 7 marzo, in occasione della festa di Tommaso d’Aquino, suscitò inquietudini a Roma e particolarmente all’Angelicum e in Réginald Garrigou-Lagrange O.p. (1877-1964). L’opuscolo venne ritirato dalla circolazione e Chenu, nel febbraio del 1938, fu convocato a Roma per dare spiegazione della brochure, i cui contenuti erano davvero preoccupanti visto che aveva avuto una tiratura di appena 700/800 copie: si giunse persino alla messa all’Indice.

Altro inventore della Nouvelle théologie  ed “esperto” del Vaticano II sono stati Jean Guenolé Marie Daniélou S.j. (1905-1974), creato Cardinale nel 1969 e Yves-Marie-Joseph Congar O. p.(1904-1995), anch’egli creato Cardinale nel 1994, il  quale nel dopoguerra si impegnò nel movimento dei preti operai: la Santa Sede gli proibì, dal 1954 al 1956, di insegnare e di pubblicare libri. Ma fu successivamente riabilitato, tanto da essere chiamato quale consulente della commissione preparatoria del Concilio Vaticano II, al quale partecipò come ispiratore per l’intera durata dell’Assise, dal 1962 al 1965. Fra i rivoluzionari teologi anche Henri-Marie de Lubac (1896-1991), l’autore di Surnaturel. Études historiques. L’opera uscì nel 1946 e creò subito scandalo: l’autore fu considerato un modernista. L’enciclica Humani generis del 1950 di Pio XII lo accusava direttamente e il generale dei Gesuiti gli tolse l’insegnamento, mentre i suoi libri vennero ritirati dalle scuole e dagli istituti di formazione. Ma nel 1958 fu richiamato alla cattedra e nel 1960 Giovanni XXIIII lo nominò consultore della Commissione Teologica preparatoria al Concilio Vaticano II e poi venne la piena riabilitazione: fu nominato “esperto” del Concilio. Da quel momento divenne teologo ascoltato, apprezzato e rispettato, fino ad arrivare al 1983, quando fu creato Cardinale. Ed ecco Karl Rahner (1904-1984), il gesuita in giacca e cravatta, che si formò alle lezioni universitarie di Martin Heidegger (1889- 1976) negli anni 1934-1936 e dal 1967 al 1971 fu professore ordinario di dogmatica e storia del dogma presso la Westfälischen Wilhelms-Universität di Münster. Ebbene, Giovanni XXIII lo chiamò per contribuire alla formulazione dei documenti conciliari con le sue idee pacifiste, terzomondiste e la sua attenzione alla teologia di frontiera; insomma, una delle menti più moderne, più in voga, più “aperte” al fine di spalancare i portoni delle chiese ai “lontani”. I lontani sono rimasti dov’erano, mentre i vicini, grazie a questa moderna e rivoluzionaria pastorale, hanno perso insegnamenti sicuri e millenari e l’apostasia è avanzata a grandi passi.

Queste sono le menti che hanno avuto la corsia preferenziale, mentre la gloriosa Scuola Romana oggi è priva di cattedre universitarie ed episcopali… dispiacere, rimpianto, dolore sono i sentimenti che possono nascere nel guardare alle rovine che i distorti pensieri avanguardisti hanno seminato ovunque, calpestando con sfregio, superbia e tracotanza le basi teologiche sulle quali poggiava – ma continua a poggiare, seppur nel nascondimento – la Fede autentica.

Se al posto di questi originali pensatori fosse stato convocato Monsignor Brunero Gherardini, in qualità di teologo consultore, il terremoto conciliare e postconciliare non ci sarebbe stato o, almeno, avrebbe provocato meno danni e crolli di Fede e di morale dentro e fuori la Chiesa. L’errore sarebbe stato ancora identificato, diagnosticato e come tale bandito o curato, reso incapace di contaminare la sacralità di realtà che nel contingente sono tenute a continuare a parlare di ciò che è soprannaturale, senza ideologismi di carattere politico o sociologismi aridi e sterili.

La Tradizione immortale

Tuttavia la penna e la voce di Monsignor Gherardini continuano ad indicare in Cristo l’unica Via, l’unica Verità e l’unica Vita. Per la soluzione della crisi della Chiesa, compresa l’immoralità nella quale molti ministri sono intrappolati – con grande sofferenza e scandalo del Pontefice, dei buoni sacerdoti e dei fedeli – e tenendo conto dell’immensa ignoranza catechistica e del disorientamento che hanno creato il concetto di ecumenismo e di fratellanza universale, esiste una sola strada e Monsignor Gherardini la traccia con sicurezza: è la Tradizione.

Proprio alla Tradizione ha dedicato, ultimamente, due volumi: Quod et tradidi vobis. La Tradizione vita e giovinezza della Chiesa (Casa Mariana Editrice 2010) e Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia (Lindau 2011). Tali opere sono state presentate nella meravigliosa chiesa di Ognissanti dei Francescani dell’Immacolata di Firenze il 20 maggio u.s. con i contributi dello stesso autore, di padre Serafino Lanzetta F.I. e del professor don Renzo Lavatori, docente dell’Università Urbaniana.

Ha affermato padre Lanzetta: «Uno dei tabù post-moderni più insidiosi, dal quale fino a qualche anno fa bisognava necessariamente emanciparsi nella Chiesa, è stato il lemma “Tradizione”. Il rischio, sempre ricorrente, è quello di emanciparsi però non solo da uno slogan, da una parola, per coniarne una nuova, ma dalla Chiesa stessa, che dalla Tradizione è strutturata e della Tradizione vive. […]. Perché però il Vaticano II preferisce non ritornare sulla dottrina delle due fonti della Rivelazione e spiegare la Tradizione come trasmissione della Parola di Dio e dell’insegnamento degli Apostoli, tralasciando la definizione ormai matura e opportuna della insufficienza materiale delle Scritture? Chiaramente, qui si enuclea il fine del Concilio che è pastorale e una delle sue principali preoccupazioni: l’ecumenismo nel dialogo con gli esponenti della Riforma. […]. Si è verificata una vera inversione che puntualmente viene così sintetizzata da Gherardini:

“… la disgregazione dell’identità cattolica, dovuta ad un’insostenibile reinterpretazione delle fonti cristiane, con conseguente alterazione dei dati storici, relativizzazione della parola di Dio orale e scritta e una rilettura della Tradizione apostolica sullo sfondo dello storicismo hegeliano e del relativismo dottrinale”[1].

È prevalso poi l’attributo “vivente” applicato alla Tradizione, inteso come progresso in sé, mutazione evolutiva, non nell’alveo dell’ eodem sensu eademquae sententia, ma del nuovo voluto per se stesso e spesso in contraddizione con l’antico. Facendo ingresso la categoria “storia” nell’impianto della fede, la fede stessa, libera da un canone quale regola fidei proxima et norma normans fidei, ovvero la Tradizione, è stata soggetta ad ogni divenire. Anche al divenire della fede. Quell’adattamento al mondo era possibile perché la fede poteva diventare anche un’altra cosa, poteva assumere anche un’altra forma da quella cattolica.

La Tradizione della Chiesa, invece, è un baluardo di difesa, un vero progresso, è il criterio della verità, la sua misura, perché radicata nella verità di Cristo. Di quell’unica verità è annunziatrice, di quella Verità che ininterrottamente ci raggiunge oggi, ed è la sola che può assicurare alla fede la sua consistenza e durata, ieri come oggi e nel futuro.

Grazie a Mons. Gherardini per la sua intrepida lotta volta a difendere il genuino senso della Traditio, come ricevuta dalla Chiesa nella sua forma originaria e perciò sempre valida».

Il coraggio di Monsignor Gherardini

Il coraggio di monsignor Gherardini, nella sua grande responsabilità di teologo e di maestro della Chiesa, ricorda quello a cui si appellò nel 1877, con tutto il suo pathos, il beato Cardinale John Henry Newman (1801-1890):

«In questi cinquant’anni ho pensato che si stiano avvicinando tempi di diffusa infedeltà, e durante questi anni le acque, infatti, sono salite come quelle di un diluvio. Prevedo un’epoca, dopo la mia morte, nella quale si potranno soltanto vedere le cime delle montagne, come isole in un vasto mare. Mi riferisco principalmente al mondo protestante; ma i leaders cattolici dovranno intraprendere grandi iniziative e raggiungere scopi importanti, e avranno bisogno di molta saggezza e di molto coraggio, se la Santa Chiesa deve liberarsi da questa terribile calamità, e, sebbene qualunque prova che cada su di lei sia solo temporanea, può essere straordinariamente dura nel suo decorso»[2].

Allo stesso tempo la temeraria voce di Monsignor Gherardini, che isolata non è più, grazie ad una Tradizione che sta avanzando, passo dopo passo, libro dopo libro, conferenza dopo conferenza, articolo dopo articolo… – perché, nonostante le sopraffazioni, essa è parte integrante della Chiesa («Se vuoi conoscere la Chiesa, non ignorare la Tradizione. Se ignori la Tradizione, non parlar mai della Chiesa»[3]) – riconduce alle illuminanti considerazioni che fece lo scrittore Ernest Hello (1828-1885) nel parlare degli uomini superiori e degli uomini mediocri, quelli che sposano con entusiasmo il pensiero comune del loro tempo, più comodo e più facile:

«L’uomo mediocre non lotta: può riuscir subito; dopo, s’incaglia sempre. L’uomo superiore lotta prima e riesce dopo. L’uomo mediocre riesce, perché segue la corrente; l’uomo superiore trionfa, perché va contro corrente. Il segreto del successo è di muoversi con gli altri; il segreto della gloria è di procedere contro gli altri. […]. Coloro che adulano i pregiudizi e le abitudini dei loro contemporanei sono spiriti e vanno verso il successo; sono gli uomini del loro tempo. Coloro che rifiutano i pregiudizi e le abitudini, coloro che respirano in anticipazione l’aria del secolo che li seguirà, spingono gli altri e vanno verso la gloria: sono gli uomini dell’eternità.

Ecco perché il coraggio, che è inutile al successo, è la condizione assoluta della gloria.  […]. Per l’uomo di genio la propria opera è sempre imperfetta.

L’uomo mediocre è pieno della propria opera, pieno di sé stesso, pieno del suo nulla, pieno di vuoto, pieno di vanità. Vanità! Quest’odioso personaggio è tutto intero in queste due parole: freddezza e vanità!»[4].

Qui si parla di incaglio, quello denunciato da Monsignor Marcel Lefebvre (1905-1991) già agli albori del Concilio, un incaglio oggi ben manifesto a tutti coloro che non si bendano pervicacemente gli occhi e grazie a figure schiette e vere come quella di Monsignor Brunero Gherardini è possibile trovare la rotta giusta per uscire dagli scogli plumbei e minacciosi, rientrando, sani e salvi, nel porto sicuro della Tradizione.

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Note:

[1] B. Gherardini, Quod et tradidi vobis. La Tradizione vita e giovinezza della Chiesa, Casa Mariana Editrice, Frigento 2010, p. 230.

[2] J.M. Marín, John Henry Newman. La vita (1801-1890), Jaca Book, Milano 1998, p. 417.

[3] B. Gherardini, Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Lindau, Torino 2011, quarta di copertina.

[4] Cultura dell’anima. Antologia di Cattolici francesi del secolo XIX. Traduzioni e notizie di Domenico Giuliotti, R. Carabba Editore, Lanciano 2010, pp. 99-102.

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