Una famiglia costruita sulla roccia: il beato Carlo d’Austria e Zita di Borbone-Parma

Oggi, secondo il pensiero di alcuni teologi e di alcuni pastori di forte impatto mediatico, gli insegnamenti della Chiesa si devono adeguare all’andamento filosofico, politico e culturale del mondo. Nel dettaglio: esistono sempre più risposati divorziati, dunque questo dato di fatto indurrebbe la pastorale a dover surclassare la dottrina cattolica; allo stesso tempo tali persone che appartengono a questa categoria non avrebbero dunque più necessità di correzione.

È evidente che un ragionamento siffatto porterebbe le stesse persone ad essere in balia del maligno. Quale pastorale-dottrina prevarrà al Sinodo sulla Famiglia che si aprirà il 4 ottobre e si chiuderà il 25? Quale esame di coscienza proporranno agli adulteri i moderni legislatori ecclesiastici? Lo stato di Grazia sarà al centro delle preoccupazioni sinodali? Il peccato mortale prenderà cittadinanza nella Chiesa? La Santissima Eucaristia sarà data “in premio” a coloro che tradiscono l’indissolubilità del Sacramento nunziale?

Il «dialogo» con i lontani ha condotto spesso la Chiesa terrena ad essere zerbino del mondo, al fine di ottenerne il consenso. Scrive Sant’Ambrogio: «Sta’ certo: ogni cosa viene da Dio. E invero senza Dio non c’è il mondo, perché il mondo è stato fatto per mezzo di lui (Gv 1, 10); ma sebbene sia stato fatto da Dio, le opere del mondo sono malvagie, perché il mondo è in mano al maligno: l’ordinamento del mondo proviene da Dio, le opere del mondo provengono dal maligno. Nello stesso modo il potere viene da Dio, ma l’ambizione del potere dal maligno. Così: Non vi è autorità – dice l’Apostolo – se non da Dio, e quelle che esistono sono ordinate da Dio (Rm 13, 1): non date, ma ordinate (…) benché il diavolo dica che egli dà il potere (cfr Lc 4, 6), non nega che questo gli è dato temporaneamente. Chi gliel’ha permesso l’ha ordinato, poiché non è malvagio il potere in sé, ma chi ne fa cattivo uso. (…) Non c’è dunque alcuna colpa nel potere, ma in colui che lo esercita; e non può danneggiare la disposizione di Dio, ma la condotta di chi amministra. (…)i delitti hanno il loro autore, però non la potestà, ma la condotta di ciascuno è in causa» (Commento al Vangelo di san Luca, 4, 29)».

Se la pastorale della Chiesa invece di scimmiottare gli andamenti malati e corrotti della società riscoprisse i suoi veri tesori, farebbe ritorno alla sua identità: amare le anime, desiderare la loro salvezza e indicare ad esse le modalità per raggiungerla. Quando esisteva questa tipologia di Magistero apostolico crescevano e si formavano sacerdoti che santificavano e coniugi che offrivano il buon esempio, andando a vantaggio di una generale dignità della morale collettiva.

Tutto parte dalla serietà con cui viene abbracciata la propria vocazione, sia essa di consacrarsi a Cristo o di costruire una famiglia sulla roccia di Cristo. Il Beato Carlo d’Asburgo, ultimo imperatore cattolico (1887-1922) e la Serva di Dio Zita di Borbone Parma (1892-1989) vissero la vocazione familiare aspirando alla perfezione cristiana e sono diventati modello di coerenza, di fedeltà e di felicità coniugale. Questa è la pastorale della Chiesa che prende le mosse dalla dottrina, non viceversa, creando ordine e giustizia secondo le leggi della natura e di Dio.

«Certo, sembra incredibile, ma l’amore tra Carlo e Zita fu veramente bellissimo», afferma l’avvocato Andrea Ambrosi, Postulatore della causa di beatificazione dell’Imperatore. «Studiando migliaia di pagine per preparare il processo, ho trovato testimonianze straordinarie e leggendole io stesso mi commuovevo» (http://www.beatocarloinitalia.it/biografia.html). Ambrosi ha curato un nutrito volume sulle virtù eroiche cristiane esercitate da Carlo d’Austria e in questo approfondito studio emerge una spiritualità eccezionale. «Non è proprio possibile rimanere indifferenti di fronte all’esistenza di questo giovane imperatore. Carlo condusse un’esistenza integerrima, pur vivendo in un ambiente difficile e pieno di insidie. Fu un fervente cattolico, un marito e padre esemplare ed amatissimo, un figlio fedele della Chiesa e un pugnace avversario dei molti nemici del Papa e della Chiesa stessa» (Ibidem).

Carlo e Zita salirono al trono austro-ungarico il 21 novembre 1916, succedendo all’Imperatore Francesco Giuseppe (di cui Carlo era pronipote) e all’Imperatrice Sissi: lui aveva 29 anni, lei 24 ed erano sposati da cinque. Una serie di gravi lutti, fra cui l’assassinio di Francesco Ferdinando a Sarajevo nel 1914, portò Carlo a governare, e tale esercizio lo assunse con la responsabilità di chi sa che il potere gli viene dato da Dio. Fin da ragazzo aveva dimostrato un’attenzione particolare alla Fede cattolica e nonostante avesse un padre libertino, l’Arciduca Ottone, egli imparò sempre più a stare alla presenza di Dio. Amò sempre la vita militare e una volta divenuto Imperatore continuò a visitare le truppe al fronte, sfidando i bombardamenti nemici, fermandosi a parlare con i soldati, inginocchiandosi accanto ai feriti e ai moribondi.

Durante la Prima guerra mondiale fu il sovrano che fece maggiori appelli ai Capi di Stato affinché firmassero la pace senza condizioni. La sua cristiana azione di governo allarmò i poteri massonici, i quali fecero di tutto per fermarlo: fu calunniato, tradito, costretto all’esilio nel 1919. Egli venne sacrificato perché propugnatore di verità e perché credeva nel Regno sociale di Gesù Cristo Nostro Signore.

Zita era italiana, diciassettesima dei ventiquattro figli di Roberto di Borbone-Parma. Il fidanzamento con Carlo d’Asburgo avvenne il 13 giugno 1911 e il 21 ottobre si celebrarono le loro nozze. Il matrimonio fu benedetto da San Pio X, il quale, in un’udienza privata a Zita, le predisse il futuro di imperatore del consorte, rivelandole che le virtù cristiane di Carlo sarebbero state di esempio per tutti i popoli.

La testimonianza di Zita agli interrogatori del processo di beatificazione di Carlo d’Austria fu fondamentale per conoscere al meglio la vita interiore di un monarca che ebbe sempre a cuore il suo popolo perché, prima di tutto, assolveva ai diritti di Dio. Ha dichiarato ancora Ambrosi riferendosi ai primi tempi della loro conoscenza, disse: «Già allora mi pareva un cattolico veramente buono, ma non potevo completamente capire quanto grande e profonda fossero la sua bontà e la sua fede. Sotto l’influsso della santa Comunione dapprima frequente, poi quotidiana, si svilupparono le virtù, che erano nel suo carattere e gli erano concesse dalla grazia di Dio. Questo crescere era così poco appariscente e così naturale, che mi riusciva difficile percepirlo. Non vi era nulla a metà in lui. La mancanza d’ogni presunzione, la sua refrigerante naturalezza e semplicità, si approfondivano in sempre maggiore umiltà. La sua affettuosità di cuore ed il suo desiderio di far felice tutta la gente ricevevano sempre più una impronta paterna ed una profonda, consapevole prontezza al sacrificio. La sua fortezza ed il suo senso del dovere divennero totale dedizione al dovere datogli da Dio».

Zita ebbe accanto a sé un uomo ricco di Fede, di Speranza e di Carità, teso a soddisfare i voleri del Signore a dispetto, spesso, dei voleri degli uomini e da lui prese esempio, migliorandosi giorno dopo giorno nell’ascesi spirituale.

San Pio X, subito dopo l’assassinio dell’Arciduca a Sarajevo, inviò a Carlo, attraverso un alto funzionario vaticano, una lettera in cui lo pregava di far presente a Francesco Giuseppe il pericolo di una guerra che avrebbe portato immane sventura sull’Austria e su tutta l’Europa. Il contenuto della missiva venne scoperto da chi, al contrario, favoriva gli eventi bellici; fu così che il funzionario vaticano venne bloccato alla frontiera italiana e l’epistola giunse a destinazione molto tempo dopo.

Tuttavia l’Imperatore fece di tutto per ristabilire la pace. Egli vide nelle relazioni con la Francia la possibilità per un accordo. Ma i nemici erano troppi e troppo forti. Lo storico Gordon Brook-Shepherd nel libro La tragedia degli ultimi Asburgo (1974) individua nel ministro degli Esteri austriaco Ottokar Czernin un amico incondizionato di quei tedeschi desiderosi che la guerra non terminasse; ne sarebbe prova il fatto che Czernin, nel 1918, fece in modo che il Presidente del Consiglio francese Clemenceau rivelasse al mondo il segreto negoziato imperiale sulla pace separata, mettendo così a rischio la vita dello stesso Carlo d’Austria.

Nella Postio super virtutibus si legge che malgrado la tragica situazione in cui versava l’Austria e l’Europa intera, l’Imperatore non perse mai la speranza, perché egli sapeva guardare oltre le contingenze del tempo e dello spazio, e ogni sera continuò a recitare il Te Deum, perché «dobbiamo ringraziare Dio, giacché le sue vie non sono le nostre vie».

Questo degno e saggio uomo di Stato, che avrebbe avuto le capacità di far emergere il volto vero, sano e naturale di un’Europa rispettosa delle sue radici, ben migliore di quella presente, venne abbandonato da tutti e giunse a patire la fame, insieme alla sua famiglia, formata da otto figli. Ma tutto visse, con il suo sguardo soprannaturale, in serenità e pazienza. Dapprima si stabilì in Svizzera, poi a Funchal, nell’isola portoghese di Madeira. Fra le testimonianze del processo per la beatificazione, che portarono Carlo I d’Austria all’onore degli altari il 3 ottobre 2004 (festa liturgica 21 ottobre), ricordiamo quella di Monsignor Ernesto Seydl, che fu vicino ai sovrani esiliati: «assisteva quotidianamente alla santa Messa, faceva la Comunione e restavo sempre colpito dal profondo raccoglimento con cui l’imperatore faceva il ringraziamento dopo la Comunione. Si vedeva come, chiuso a tutte le impressioni del mondo esterno, fosse completamente immerso in Dio. La sera tardi tornava sempre ancora una volta con l’Imperatrice per una visita al Santissimo. Ero spesso commosso nel più profondo dell’anima, vedendo inginocchiati davanti all’Eucaristico Dio nel silenzio notturno i due duramente provati, illuminati solo delicatamente dal chiarore della lampada eucaristica».

Il Beato Carlo morì in povertà a soli 34 anni. Nel corso della sua ultima notte di vita terrena disse all’amata consorte, che gli sopravvisse, fedele sposa, ancora 67 anni: «Tutta la mia aspirazione è sempre stata quella di conoscere il più chiaramente possibile, in ogni cosa, la volontà di Dio, e di eseguirla nella maniera più perfetta».

Cristina Siccardi

Fonte: Corrispondenza Romana

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