La poliedrica figura della Beata Margherita di Savoia, fra storia e spiritualità domenicana

Chiesa di Santa Maria Maddalena – Alba

20 novembre 2014

La poliedrica figura della Beata Margherita di Savoia,

fra storia e spiritualità domenicana

 Conferenza di Cristina Siccardi

 

«A partire dal XVII secolo noi Europei siamo stati assillati dalla questione sull’identità. Chi sono? Qual è la mia identità come essere umano, come cristiano, come domenicano? E ci richiudiamo nelle nostre piccole identità che ci danno poco sicurezza. […]

Noi siamo stati liberati dall’ossessione dell’identità, perché ciò che noi siamo è inimmaginabile.

Dal XVII secolo le nostre società hanno sviluppato l’orrore nei riguardi della folla. Nella folla, l’individuo perde la sua identità. Nella folla noi non sappiamo chi siamo. La folla è pericolosa, come la folla della Rivoluzione Francese.

Ma per noi, c’è una folla immensa, che nessuno può contare, la folla dei santi. Il nostro destino è appartenere a questa folla; è qui che noi saremo liberati da tutte le nostre piccole questioni d’identità, perché chi siamo è al di la di ciò che noi possiamo immaginare. E noi saremo liberi». Questo disse il domenicano Padre Timothy Radcliffe nell’omelia che tenne a Friburgo il 1° Novembre 1992.

L’Ordine dei Predicatori conta un grande numero di Santi. I loro nomi, le loro identità:

– Domenico di Guzmán (1170-1221)

– Raimondo di Peñafort (1175-1275)

– Pietro González (1190-1246)

– Giacinto Odrovaz (1185-1257)

– Pietro Martire (1205 ca.-1252)

– Alberto Magno (1206-1280)

– Santa Zdislava (1220-1252)

– Tommaso d’Aquino (1225-1274)

– Margherita di Ungheria (1242 ca.-1271)

– Agnese da Montepulciano (1268 ca.-1317)

– Caterina da Siena (1347-1380)

– Vincenzo Ferreri (1350-1419)

– Antonino di Firenze (1389-1459)

– Pio V (1504-1572)

– Caterina de’ Ricci (1522-1590)

– Luis Beltrán (1526-1581)

– Martino de Porres (1579-1639).

– Giovanni Macías (1585-1645)

– Giacinto Giordano Ansalone (1598-1634)

– Francisco Coll Guitart (1812-1875)

– Narcisa di Gesù Martillo y Moràn (1832-1869)

Inoltre sono stati canonizzati alcuni martiri domenicani del Vietmam, altri della Cina e del Giappone.

Fra i 29 beati è annoverata la beata Margherita di Savoia. Il suo emblema sono tre frecce e la corona deposta. Colei che piegò la volontà dell’antipapa Felice V e della quale quest’anno ricorrono i 550 anni dal suo dies natalis, era imparentata con le principali famiglie reali d’Europa: suo padre era il conte Amedeo di Savoia-Acaja (1363-1402), mentre sua madre, Caterina di Ginevra (†1407), era una della sorelle dell’antipapa Clemente VII (342-1394). Margherita si meritò l’appellativo di “Grande”: fu infatti testimone d’evangelica grandezza nei differenti stati in cui Dio la mise alla prova, come figlia, sposa, sovrana, monaca, mistica.

Nacque nel castello di Pinerolo (Torino) nell’anno 1382 secondo la maggioranza dei suoi biografi; altri, invece, pongono la sua nascita nel 1390. La sua vicenda storica iniziò, quindi, poco dopo la morte di santa Caterina da Siena (1347-1380), in un periodo doloroso sia per le guerre continue tra i Signori del tempo, sia per lo sconvolgimento portato nella Chiesa dallo scisma d’Occidente.

A 12 anni rimase orfana dei genitori. Passò, quindi, con la sorella Matilde[1] (†1438) sotto la tutela dello zio Ludovico (1366-1418), che per mancanza di eredi maschi diretti succedette al defunto Principe Amedeo. Primo pensiero di Ludovico di Savoia-Acaja fu di porre fine alle lunghe discordie fra Piemonte e Monferrato, e da ambo le parti non si guardò che a Margherita come pegno sicuro di pace duratura. Da decenni, infatti, il Piemonte era sconvolto per il suo possesso dalle guerre fra i Savoia, i marchesi di Saluzzo, i marchesi del Monferrato ed i Visconti di Milano. La giovane principessa, che in cuor suo già era orientata al chiostro, riconfermata ancora di più nel suo proposito dallo spagnolo Vicent Ferrer OP (1350-1419), che a quel tempo predicava in terra piemontese, decise di seguire la volontà di Dio e per amor suo e del prossimo accettò il matrimonio: se Cristo era stato crocifisso anche le sue aspirazioni potevano essere crocifisse.

Appena tredicenne, per ragioni di Stato, il 17 gennaio 1403 andò in sposa a Teodoro II Paleologo (1364-1418), marchese di Monferrato. Il marito aveva 39 anni e due figli nati dal primo matrimonio: Giangiacomo e Sofia. Il «17 gennaio 1403 Lodovico Principe di Acaja, andò in Asti con circa ottocento cavalli, per conferire alcune cose con Teodoro Marchese di Monferrato, col quale fece pace, e stette circa quindici giorni, dandogli per moglie Margherita sua nipote, figlia del fu Amedeo suo fratello»[2].

Nei quindici anni di matrimonio si prodigò per smussare le angolosità dello scontroso marito, per dedicarsi all’educazione dei figliastri e fece tutto il bene possibile per i poveri e i malati che a lei ricorrevano. Quando Teodoro divenne capitano della Repubblica di Genova tra il 1409 e il 1413 per liberare la città dall’occupazione francese, Margherita lo seguì e si adoperò senza riserve durante la peste del 1411 per portare soccorso alla popolazione stremata.

 Dopo essere stata saggia consigliera del consorte e madre dei sudditi, rimase vedova nel 1418. Governò quindi il marchesato in prima persona quale reggente, sino alla maggiore età del figliastro. Si ritirò poi nel palazzo di Alba (Cuneo) di sua proprietà insieme alle sue più fedeli dame, per dedicarsi alla preghiera e alle opere di carità, rifiutando la proposta di matrimonio avanzata da Filippo Maria Visconti (1392-1447). Divenne terziaria domenicana e decise di fondare un monastero di monache domenicane con l’approvazione di Papa Eugenio IV (1383-1447); nacque così il Monastero di Santa Maria Maddalena in Alba. La nuova vita religiosa di Margherita non fu però esente da travagli e difficoltà. Un giorno ebbe una visione di Cristo che le porgeva tre frecce, recanti ciascuna una scritta: malattia, calunnia, persecuzione, che realmente subirà. Le tre frecce, che attraversano il suo stemma nobiliare, ricordano che solo la croce accettata con Cristo conferisce alla persona la vera, imperitura nobiltà, che i secoli non possono cancellare.

Afflitta da una salute assai cagionevole, fu accusata d’ipocrisia, poi di tirannia nei confronti delle consorelle. Inoltre un pretendente da lei respinto sparse la voce che il monastero delle domenicane di Alba fosse un centro ove si sosteneva l’eresia valdese. Il monaco, che era la guida spirituale dell’ordine, fu arrestato e quando Margherita giunse al castello per chiederne il rilascio, il portone le fu chiuso violentemente contro, tanto da fratturarle una mano. Nonostante tutte queste difficoltà, per circa venticinque anni condusse una vita ritirata di preghiera, meditazione, studio e carità. La Biblioteca Reale di Torino conserva un volume contenente le lettere di santa Caterina da Siena, che la beata Margherita volle copiare e rilegare. Proprio ad imitazione della santa senese, che durante la cattività avignonese si era spesa anima e corpo per il ritorno a Roma del Pontefice, Margherita si adoperò intensamente e con successo affinché suo cugino Amedeo VIII (1383- 1451), primo duca di Savoia, eletto antipapa con il nome di Felice V dal Concilio di Basilea[3], recedesse dalla sua posizione. Così avvenne: Felice V abdicò e depose la tiara. Tornato ad essere Amedeo di Savoia, continuò a guidare l’Ordine Mauriziano da lui fondato nel monastero sulle rive del lago di Ginevra e venne creato Cardinale e legato pontificio per gli stati sabaudi e dintorni. Il Cardinale Amedeo morì poi in fama di santità e oggi riposa nella Cappella della Sindone di Torino.

Degno di nota è ancora un misterioso avvenimento avvenuto proprio nel monastero fondato dalla beata Margherita e la cui prova documentaria è stata resa pubblica nell’anno 2000[4]: nel lontano 16 ottobre 1454, circondata da Madre Margherita di Savoia, dalle consorelle e dal confessore padre Bellini, agonizzava la domenicana suor Filippina de’ Storgi (?-1454), cugina della fondatrice. Presente anche la superiora e fondatrice del convento, la Beata Margherita appunt, durante questa triste circostanza si verificò il fatto straordinario di cui recitano così i documenti: «Dicono le memorie schritte che là nella Lusitania c’è una chiesa in un paese che si chiama Fatima, edificata da una antenata della nostra Santa Fondatrice Margherita di Savoia, Mafalda regina del P.Gallo e figlia di Amedeo tertio di Savoia, e che una statua della Vergine SS.ma ha detto degli avvenimenti futturi molto gravi perché Satanasso farà una guerra terribile ma perderà perché la Vergine SS.ma Madre di Dio e del SS.mo Rosario di Fatima “più forte di ogni esercito schierato a battaglia” lo vincerà per sempre»[5].

Margherita di Savoia morì ad Alba il 23 novembre 1464, circondata dall’affetto e dalla venerazione delle sue figlie spirituali. Il Pontefice piemontese san Pio V, già religioso domenicano e priore del convento di Alba, nel 1566 permise per Margherita di Savoia un culto locale riservato al monastero, mentre Papa Clemente IX (1600- 1669) la beatificò solennemente il 9 ottobre 1669, fissandone la memoria al 27 novembre per tutto l’Ordine Domenicano. Il Martyrologium Romanum la festeggia il 23 novembre, anniversario della nascita al cielo della beata. Il suo corpo incorrotto è oggetto di venerazione nella chiesa di Santa Maria Maddalena ad Alba, anche dopo il trasferimento del monastero in una nuova sede, avvenuto nel 1956.

Margherita di Savoia, grande ed attiva figura femminile nel Piemonte del suo tempo, fautrice di pace e di concordia fra le varie zone della regione, meriterebbe, oltre alla canonizzazione, di essere onorata quale compatrona del Piemonte, accanto al protovescovo vercellese sant’Eusebio (283 ca.-371).

L’insegnamento di san Domenico, che Margherita fece suo, è sintetizzato nella nota formula di un altro gigante domenicano, san Tommaso d’Aquino: «contemplari et contemplata aliis tradere»: contemplare, attingere la verità nell’ascolto e nella comunione con Dio, donando agli altri il frutto della propria contemplazione.

Nel momento in cui la verità era messa in crisi dall’eresia albigese, emerse, secondo san Domenico, la necessità di uno studio approfondito per rispondere e controbattere. La volontà di creare un Ordine permanente di predicatori, la cui vita fosse realmente polarizzata sull’annuncio della Parola di Dio, esigeva di accordare un posto privilegiato allo studio. Non era sufficiente studiare e fare l’esegesi della Sacra Scrittura, occorreva acquisire la conoscenza di quanto la tradizione aveva assimilato o scoperto. San Domenico non pensava ai suoi monaci come ai teologi ufficiali della Chiesa, ma ha comandato a tutti, secondo le capacità e i mezzi a disposizione, di studiare la verità della «Sacra dottrina» e di studiare sempre. I seminatori dell’eresia catara erano spesso prelati e dottori rinnegati e perciò molto abili nel sostenere discussioni teologiche e scritturistiche. Ed anche i meno dotti fra loro, per lo spirito di corpo che li animava e per l’educazione che veniva loro impartita dai confratelli più istruiti, erano in grado di opporsi ai cattolici con argomentazioni speciose e sottili. Le prediche in territorio di eresia si trasformavano così il più delle volte in pubblici dibattiti nei quali un moderatore, scelto di comune accordo, doveva al termine dare il suo parere sulla parte vincente.

Vincenzo Ferreri, in spagnolo Vicent Ferrer, soprannominato Angelo dell’Apocalisse, fu la guida spirituale di Margherita di Savoia. La parola del predicatore spagnolo, che divenne apostolo europeo, non v’era alcun accento di minaccia, ma invito e memoria all’insegnamento divino, che deve condurre alla sapienza cristiana. C’è timore e timore: un timore che è paura, quale si addice al servo, e un timore che prepara e completa l’amore: timore impastato di rispetto e di affetto.

«Quando si cerca di determinare il carattere della spiritualità domenicana si rimane colpiti dalla molteplicità degli elementi che essa contiene e da una certa semplicità superiore, che difficilmente si adatta alle formule di una definizione. I diversi principi che la costituiscono non sembrano facilmente conciliabili. Per tale motivo non è subito facile cogliere il loro modo di fondersi»[6], afferma Padre Réginald Garrigou-Lagrange OP (1877-1964), uno dei più grandi teologi neotomisti cattolici del XX secolo.

Nessuno più del patriarca dei Predicatori era convinto che la vita interiore è l’anima di ogni apostolato, quello che infuocò l’anima della beata Margherita. Egli attinse la sua dottrina alle migliori fonti: il Vangelo, le lettere di san Paolo, l’Ufficio divino e per Regola diede quella di sant’Agostino (354-430), destinata a liberare l’anima dei suoi figli dal giogo della carne e della propria volontà.

Nella premessa alle Costituzioni leggiamo «Mediante lo studio i frati meditano nel loro cuore la multiforme sapienza di Dio e si preparano al servizio dottrinale della Chiesa e di tutti gli uomini. Ed è tanto più urgente il dovere che essi hanno di dedicarsi allo studio, in quanto, secondo la tradizione dell’Ordine, sono chiamati in modo speciale a coltivare negli uomini il desiderio di conoscere la verità » (LCO 76-77). Ciò è sufficiente per comprendere il ruolo e l’importanza che lo studio ha sempre avuto e possiede fra i domenicani.

Il termine cateriniano «cognoscimento», non è una conoscenza di sé, un guardarsi dentro, un cercare di capirsi, santa Caterina intendeva una conoscenza che avviene in Dio, un vedere la realtà con il suo stesso occhio, con una chiarezza legata alla fede e all’amore. Doti di cui era provvista la beata Margherita di Savoia. Scriveva la santa di Siena: «O lume che dai lume, e nel tuo lume vediamo! Nel tuo lume vedo, e senza esso non posso vedere perché tu sei quello che sei, ma io sono quella che non sono» (0 XIII).

Si legge nella Costituzione fondamentale dei domenicani: «La vita propria dell’Ordine è l’autentica vita apostolica: una vita in cui la predicazione e l’insegnamento sgorgano dall’abbondanza della contemplazione».

Sono due i momenti essenziali della vita dei figli di san Domenico: la conquista della verità e il dono della medesima; due momenti inscindibili, perché uno ha ragione di essere per l’altro.

Il domenicano è prima di tutto un contemplativo. Prima di essere maestro, è discepolo della verità; prima di essere padre e generatore della verità negli altri, è lui stesso generato dalla verità. Egli «vive la verità nell’amore» – come si esprime l’apostolo Paolo – allo scopo di «far crescere l’umanità verso Cristo» (Ef. 4,15). Vivere in se stesso la verità evangelica è il presupposto per far crescere gli altri verso Cristo.

É questo il fine proprio dell’Ordine domenicano, riconosciuto ufficialmente da Onorio III (1150 ca.-1227), che definì Domenico e i suoi monaci «totaliter deputati all’evangelizzazione della parola di Dio». Predicare e insegnare per difendere e diffondere la verità della fede con la parola e con le opere. L’apostolato domenicano è vario: della parola e della penna, dal pulpito e negli incontri personali; apostolato fra i dotti e fra gli ignoranti; apostolato scientifico e popolare. È il culto della verità intensamente contemplata, fedelmente vissuta e annunciata.

La contemplazione è la fonte dell’attività apostolica, è la sua causa. La vita apostolica per san Tommaso, l’interprete autentico del pensiero di san Domenico, non si contrappone alla contemplazione, ma è fusione di contemplazione e di azione. Nella vita domenicana il dualismo azione e contemplazione viene superato non solo negli effetti, ma nella struttura dell’unità della vita apostolica, in cui l’azione emana dalla pienezza della contemplazione. La vita apostolica del domenicano è contemplazione, che fruttifica nell’azione; è azione, che scaturisce dalla pienezza contemplazione.

Nell’atto contemplativo san Tommaso distingue tre fasi: la prima è l’amore, che spinge a contemplare, ad immergersi in Dio; la seconda è la contemplazione: l’intuito della verità; la terza, il bisogno di far conoscere agli altri ciò che è stato contemplato. «Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti»[7].

La pienezza della contemplazione consiste proprio nel suo traboccare: il bisogno di predicare sui tetti! Non è un solo atto dell’intelletto e neppure il vertice di una conoscenza scientifica (conoscenza possibile sulla terra); è un atto della volontà, un atto che segue la conoscenza intuitiva; è il bisogno di far conoscere e di far amare agli altri la verità contemplata, quella che mosse la beata Margherita a compiere azioni eroiche con amore e l’amore è il primo movente della contemplazione, ma è anche il suo coronamento.

Per i santi domenicani, compresa Margherita di Savoia, lo stilema è sempre quello dello Spirito Santo. «Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune […] Ma tutte queste cose è l’unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole»[8]. Tuttavia occorre precisare che in nessun altro Ordine religioso come in quello domenicano ha operato un caleidoscopio così variegato e multiforme. Ma tutti sono stati discepoli innanzitutto della Verità e il loro ardente zelo si è stemperato nella sapienza. E la sapienza non è privilegio dei dotti, ma dei santi.

[1] Si unì in matrimonio a Ludovico III (1378-1436) , elettore Palatino del Reno della Casa di Wittelsbach dal 1410 al 1436.

[2] In «Historia Saluzziana» di Goffredo della Chiesa.

[3] Felice V fu antipapa dieci anni, dal 1439 al 1449.

[4] Cfr. C. Siccardi, Fatima e la Passione della Chiesa, Sugarco, Milano 2012.

[5] Ivi, p. 53.

[6] P. Garrigou Lagrange, I caratteri e i principi della spiritualità domenicana, Vita e pensiero, Milano 1935, pp. 301-302.

[7] Mt 10, 27.

[8] 1Cor 12, 4-11.

siccardi_lanzetti

Cristina Siccardi con S.Ecc.Rev.ma Mons. Giacomo Lanzetti, Vescovo di Alba

siccardi_agostinaCristina Siccardi con Sr. M. Agostina op

Torna in alto