Mario Palmaro. Il buon seme fiorirà

cop Mario Palmaro scritte mod.inddNon c’era citazione più propizia per dare inizio ad un’antologia di testimonianze dedicate al Professor Mario Palmaro, come quella che Alessandro Gnocchi, il suo specialissimo amico, nonché alleato inscindibile di battaglia per le verità di fede e di vita, ha scelto, curando una raccolta di importanti e bellissime testimonianze, dal titolo Mario Palmaro. Il buon seme fiorirà (Fede & Cultura, pp.152, € 16.00).

La citazione è tratta da quell’autore che i due amici hanno sempre stimato, amato e ammirato, Giovannino Guareschi: un cristiano tutto d’un pezzo; uno scrittore e giornalista geniale. Ai due inseparabili amici la pagina più cara degli insegnamenti guareschiani è racchiusa qui, ed è di un’attualità stupefacente: «Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo dal fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. Bisogna salvare il seme: la fede. Don Camillo, bisogna aiutare chi possiede ancora la fede a mantenerla intatta. Il deserto spirituale si estende ogni giorno di più; ogni giorno nuove anime inaridiscono perché abbandonate dalla fede. Ogni giorno di più uomini di molte parole e di nessuna fede distruggono il patrimonio spirituale e la fede degli altri. Uomini d’ogni razza, d’ogni estrazione, d’ogni cultura» (p.5).

Mario Palmaro ha seminato come fa il buon contadino, il quale, anche quando arriva un evento distruttivo è così saggio da salvare e custodire il buon seme e al momento giusto darà grandi risultati, perché, essendo la storia guidata, secondo giustizia, non dall’uomo, ma dal Re dell’Universo ‒ come ogni cattolico è chiamato a credere ‒, l’importante è salvare il seme della fede, per poi continuare a seminarlo, con perseveranza, secondo i criteri di sempre, quelli della Tradizione e non quelli della rivoluzione.

Afferma Alessandro Gnocchi nel suo primo contributo al libro: «Mario ha sempre posseduto la sapienza che ricorda l’Ecclesiaste, la consapevolezza che “Ogni cosa ha il suo tempo, e c’è il momento adatto a ogni cosa sotto il cielo: tempo di nascere e di morire…”. In lui c’è sempre stato qualcosa di spiritualmente compiuto fin dal principio che aveva come cifra l’incipit insieme consolante e tremendo in cui l’Ecclesiaste dice che tutto è vanità, vanità di vanità. Era frutto di un dono celeste che lui aveva avuto il merito di saper cogliere senza cadere nella tentazione di esibirlo» (p. 10).

È un dono immenso quando il Signore permette di incontrare lungo la vita persone con le quali condividi i fondamenti e il cui scambio di fede, di ideali, di sentimenti è praticamente immediato: la strada spirituale ed etica si fa più bella, più sicura, più quieta. «Tardi ti ho conosciuto, ma è come se fossimo amici da sempre», aveva scritto alla vigilia di Natale del 2013 il Professor Palmaro al Professor de Mattei. L’amicizia è determinante nella battaglia: fidarsi degli amici permette di lottare con maggior serenità e maggior speranza, confidando che gli obiettivi dell’amico sono i tuoi stessi obiettivi.

De Mattei spiega come a spingere Gnocchi e Palmaro a mettere in discussione lo stile di governo di Papa Francesco era l’amore per la Chiesa e le loro critiche non avevano zelo amaro e fazioso, ma profondo dolore e acceso rispetto. Per questo mons. Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara, ha definito Mario Palmaro: «un laico, generoso e impegnato, capace di sacrificare tutto, anche gli interessi personali, financo la propria vita, perché fino agli ultimi giorni, nonostante la malattia che gli aveva irrimediabilmente minato le energie fisiche, ha saputo servire la Chiesa e la sua missione di evangelizzazione e di cultura in modo assolutamente impagabile”» (pp. 47-48).

Virginia Coda Nunziante, portavoce della Marcia per la Vita, ricorda a sua volta con affetto e Mario Palmaro con queste parole: «Personalmente vivo quest’assenza fisica ogni volta che si riunisce il Comitato organizzatore della Marcia per la Vita, ripensando alle tante occasioni in cui era sufficiente una sua parola o un suo sguardo o una sua lettera, per dare chiarezza di prospettiva alla realtà e indirizzare nella giusta direzione le discussioni e le iniziative da intraprendere. Spesso mi accade perfino di chiedermi che cosa avrebbe fatto o detto lui nei confronti di una decisione da prendere o di una scelta da fare. Ecco che quell’assenza fisica è compensata dalla sua ancora viva presenza spirituale, da quel suo testamento nel valore inestimabile della Verità che è il lascito più sorprendente e sicuro che egli ci ha lasciato» (p. 36).

Emergono dalle testimonianze riportate in questa preziosa antologia le grandezze di chi, con umiltà, ha vissuto cristianamente i propri giorni e i propri doveri. Le ricchezze di una simile esistenza, fondata sulla Buona Novella e sull’amore per la Chiesa, sono destinate a rimanere e ad essere benefico lievito per scegliere ciò che è bene e ciò che è male, come Mario Palmaro auspicò: «Spero nella misericordia del Signore, e nel fatto che altri raccoglieranno parte delle mie aspirazioni e delle mie battaglie, per continuare l’antico duello».

Don Stefano Bimbi, Paolo Deotto, don Marino Neri, Marisa Orecchia, Mario Paolo Rocchi, Andrea Sandri, Tommaso Scandroglio, Giovanni Turco raccontano ognuno il “loro” Mario, il loro professor Palmaro e i traguardi che è riuscito a realizzare in 46 anni, traguardi personali e traguardi pubblici.

Egli ha sempre messo al primo posto Nostro Signore e ha aderito ad un progetto: lavorare per il Regno di Dio, che, non è qualcosa a cui si anela utopicamente, ma è una realtà autentica, che rende liberi, secondo la libertà intesa sapientemente da Palmaro, come ben spiega il professor Turco: «(…) o l’uomo ha libertà, o è libertà. Nel primo caso la libertà inerisce all’essere, e trova nel compimento perfettivo della sua natura la sua intrinseca ragion d’essere. Nel secondo caso la libertà presuppone il nulla (di determinazioni) e si attua nel nulla di scopi (che nell’altro risultano se non posizioni del volere). Sotto il profilo teoretico, vi si scorge l’aut-aut che si presenta al bivio tra realismo e nichilismo» (p. 132). Il realismo fiorisce e porta frutto, il nichilismo rivoluziona, deprime e annienta.

Cristina Siccardi

Fonte: Corrispondenza Romana

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