La vita contemplativa secondo santa Ildegarda

Il sacrario dei chiostri di vita contemplativa femminile è violato dalle ultime disposizioni emanate dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. La Costituzione apostolica Vultus Dei Quaerere e la sua Istruzione applicativa Cor Orans, come era stato già spiegato nell’articolo La distruzione dei Monasteri femminili, pubblicato su «Corrispondenza Romana»  il 10 ottobre scorso (https://www.corrispondenzaromana.it/la-distruzione-dei-monasteri-femminili/), hanno lo scopo di ledere profondamente un principio fondativo dei monasteri di clausura, l’autonomia giuridica (sui juris) di ogni monastero. 

Il lemma «monastero» entra nella lingua italiana nella prima metà del XIII secolo, dal latino tardo monastērĭum, questo dal greco antico μοναστήριον (monastḗrion) derivato da μοναστής (monastḗs; monaco) quindi da μονακός (monakós), ovvero: solitario, eremita; a sua volta da μόνος (mónos), ossia solo, unico.

Il monastero, dunque, per sua stessa natura, deve essere luogo di solitudine (separazione dal mondo profano), di silenzio (cura dell’intimità dell’anima con le realtà divine), di preghiera (comunicazione dell’anima con la Trinità e Maria Santissima), caratteri, questi, che sono, da sempre, i pilastri sui quali poggia l’esistenza stessa della vita claustrale.

Ma è evidente che le forme della «Federazione di monasteri», dell’«Associazione di monasteri» e della «Confederazione di monasteri» oggi imposte dal Vaticano, minano, inevitabilmente, con una commistione impropria di presenze ed influenze esterne al singolo chiostro – nella visione di una sorta di “globalizzazione” fra realtà monastiche diverse (così facendo, sempre meno monastiche e sempre più assorbite da direttive estranee ad ogni badia) e di dispersivi e distraenti “corsi di aggiornamento” – vanno a soffocare e reprimere quella sacra indipendenza che la Chiesa, nella sua saggezza, aveva finora tutelato per custodire e proteggere ogni singola anima consacrata.

La vita della claustrale è una donazione di sé allo Sposo Gesù, ciò implica trascendere il mondo per incamminarsi su una via privilegiata di maggior comunione con Dio e, proprio in virtù di questa comunione, la monaca, sposa di Cristo, intercede per le persone che vivono nella società e per la redenzione delle anime. Una missione, questa, insostituibile.

Il documento Cor Orans riguarda tutti i monasteri e la sua applicazione è immediata fin dalla sua pubblicazione (1° aprile 2018). «Quanto disposto nella Costituzione Apostolica Vultum Dei quaerere per tutti i monasteri circa l’obbligo di entrare in una Federazione di monasteri si applica anche ad altra struttura di comunione come l’Associazione di monasteri o la Conferenza di monasteri.»; «Tale obbligo vale anche per i monasteri associati ad un Istituto maschile o riuniti in Congregazione monastica autonoma.»; «I singoli monasteri devono ottemperare a questo entro un anno dalla pubblicazione della presente Istruzione, a meno che non siano stati legittimamente dispensati.»; «Compiuto il tempo, questo Dicastero provvederà ad assegnare i monasteri a Federazioni o ad altre strutture di comunione già esistenti».

Nel corso della Storia della Chiesa, quando i luoghi della contemplazione hanno subito cedimenti, i santi hanno agito con forza e determinazione per risanare la realtà che nel mondo maggiormente rappresenta il collegamento potenzialmente più perfetto fra Cielo e terra. In tre successivi appuntamenti, parleremo su queste colonne, rispettando l’ordine cronologico, degli insegnamenti di tre Sante che hanno fatto della vita contemplativa la ragione della loro esistenza, agendo e riformando ciò che non funzionava e divenendo, così, modello esemplare e docente per la Chiesa: santa Ildegarda di Bingen, santa Chiara d’Assisi, santa Teresa d’Avila.

Il Dottore della Chiesa Ildegarda di Bingen (1098-1179), monaca benedettina, è stata assai ferma nel ricondurre sulla retta via prelati, monaci e monache che trasgredivano ai dettami della Tradizione. Portavoce di Dio, ammoniva e insegnava su mandato divino. Nei confronti del Vescovo di Costanza, Hermann, è manifesto il suo grido di sollecita conversione per essere salvato e per guidare altri alla salvezza: «Molti operai [nell’edificio della Chiesa] vengono a te e cercano la via stretta e sottile. Ma tu – conformemente alla disposizione del tuo cuore – parli con magniloquente presunzione e susciti indignazione nei loro cuori. Volgiti dunque dalle tenebre alla retta via e illumina lo spirito del tuo cuore perché il Padre di ogni cosa non si rivolga a te dicendo: «Tu, pazzo, perché sali su di un sostegno che non ti sei costruito?”. Poiché il giorno getterà nell’oscurità quell’uomo la cui opera non percorre la retta via» (E. Gronau, Hildegard. La biografia, Editrice Àncora, Milano 19912, p. 398).

Ildegarda peregrinava da un monastero all’altro per ridare linfa a realtà affaticate, avvilite, demotivate di fronte alle prepotenze di chi, autorità civili o ecclesiastiche, le teneva in scacco con il potere e il denaro. Ma a dispetto di tutte le distorsioni e i peccati degli uomini in seno all’amata Chiesa, Ildegarda non perdeva la fiducia e la speranza. Non si prendeva cura soltanto dei grandi peccatori della Chiesa, dava vita anche a chi, come, per esempio, la badessa Sofia del monastero benedettino di Kitzingen, si sentiva stanco e desiderava lasciare il proprio incarico.

La profetessa della Chiesa, dunque, aiutava i singoli figli a ritrovare, nella propria piccola o grande responsabilità, il vigore della Fede e la bellezza di operare per il Regno di Dio. L’eco di questa maestra, che portava lievito nuovo e sano, sale e sapore nelle diverse realtà ecclesiastiche, si propagava in tutta Europa.

Incitava a rafforzare l’anima e a sopportare il peso del lavoro e dei propri doveri; chiamava al combattimento, invitando ad andare contro la volontà di autorità ecclesiastiche e/o civili che remavano contro la vita contemplativa secondo i voleri di Dio. Scriveva alla badessa Sofia: «Accogli queste parole in virtù della vera visione dei divini misteri! O figliola, nata dalla costola dell’uomo quando Dio creò la persona! Perché ti dai incessantemente pena, sì che il tuo spirito è come le nubi variabili trasportate dalla tempesta, ora è chiaro come la luce poi improvvisamente si oscura? Così è il tuo spirito a causa dei costumi scandalosi di coloro che non risplendono davanti a Dio. Tu però dici: “Voglio un po’ di pace, voglio cerarmi un luogo dove il cuore trovi rifugio, dove l’anima sia in pace”. O figliola, non è un merito davanti a Dio gettar via il fardello e abbandonare il gregge, poiché il tuo cuore non brilli in quella debolezza che a causa dell’innocenza della vita terrena ti fa tanto male. Tu, invece, devi vivere perché lo vuole la grazia di Dio. Dunque guardati dal sottrarti a essa lasciando vagare il tuo spirito. Ti soccorra Dio, affinché tu possa essere vigile nella pura conoscenza!» (Ivi, pp. 383-384).

Sosteneva i deboli e i vacillanti, allo stesso tempo rispondeva agli eretici, i catari in particolare, e risolveva precise e difficili domande teologiche che vescovi, abati e monaci le ponevano. Sottoponeva al Signore gli interrogativi che le venivano posti e la Luce, che sempre l’accompagnò, fin dall’infanzia, le presentava la visione, nella quale le veniva data risposta. Da Parigi le scrivevano per avere delucidazioni, come fece il magister Odo, che nel Sinodo di Treviri aveva sentito Papa Eugenio III leggere ad alta voce le pagine dell’opera ildegardiana Scivias, e per tale ragione volle mettersi in contatto con l’autrice, al fine di risolvere la diatriba teologica di chi negava che Dio è paternità e divinità insieme.

Ottimi erano i rapporti di santa Ildegarda con il vescovado di Treviri, sia con il vescovo Hillin che con Arnold. Speciale poi il legame che la univa al monastero benedettino di san Eucharius, il più antico della Germania. Molto complessa era la vita dei vescovi-principi, divisi fra il potere e lo spirito, il servizio al Re o Imperatore e il servizio a Dio.

Le loro divise coscienze venivano sollecitate dalla profetica voce della «santa Madre» come veniva chiamata, alla quale l’arcivescovo Hillin supplicò, in qualità di «peccatore», di avere da lei alcune gocce delle sue parole quale conforto spirituale per la sua anima.

E Madre Ildegarda non si lasciava attendere: «Così risuona la sapienza e dice: questo è il tempo tiepido delle donnicciole. […]. Ma ora ascolta, o pastore: la giustizia divina ti tiene saldo perché la grazia di Dio non è penetrata in te invano. Tuttavia quando intraprendi una buona opera, ti stanchi velocemente. Anche quando, convocato alla messa festiva, conduci la preghiera, sei presto stanco [cioè i pensieri terreni lo accompagnavano anche durante la messa, ndr]. […]. A te è assegnata la torre [la diocesi, ndr]. Proteggi la torre e fa sì che l’intera città non venga rovinata e distrutta. Dunque vigila, tieni la disciplina con scettro di ferro e istruisci. Ungi le ferite di chi si è affidato a te». Ildegarda parlava della negligenza degli ecclesiastici e il suo dire sulla Chiesa era tutt’altro che confortante: denunciava continuamente i mali in essa presenti e le sue parole erano di tuono.

Tanto corrotta era la situazione, sia dal punto di vista dottrinale che morale, di diocesi e monasteri in Germania, che il Signore le permise di uscire dal chiostro per rimproverare chi non compiva il proprio dovere. Nel suo primo lungo viaggio, che realizzò quando aveva quasi sessant’anni, attraversò tutto il territorio del Meno fino a Bamberga e Steigerwald (1158-1159). Nel 1160, durante una malattia che durò tre anni, raggiunse la regione montuosa di Hunsrück verso Treviri, scendendo la Mosella fino a Metz, nella Lotaringia verso Krauftal, vicino a Saverne.

Il terzo viaggio (1161-1163) la condusse a percorrere il Reno in direzione di Colonia; poi raggiunse Werden sulla Rurh e, probabilmente, Liegi. In seguito fu colta da un’altra malattia che perdurò tre anni, costringendola a letto e fra il 1170 e il 1171 intraprese l’ultimo viaggio della sua vita, in Svevia, sopra Maulbronn, Hirsau, Kircheim, fino a Zwiefalten. Tanta fatica fisica e mentale per rimproverare monaci e monache, abati e badesse nel tentativo di ristabilire la disciplina monastica. Ma non basta, predica pubblicamente la conversione e la penitenza, lo fa sulle piazze del mercato delle città che visita, oppure nelle grandi chiese, di fronte al clero e ai fedeli.

Questo vuole il Signore e questo lei dà, rimanendo monaca di clausura, nonostante sia al servizio dell’apostolato itinerante, teso a sanare, con rigore, ciò che è gravemente e drammaticamente sviato. E la sua opera produrrà frutti prodigiosi di ritorno all’ordine spirituale ed ecclesiastico per il bene della Chiesa e della civiltà, secondo i diritti del Creatore.

Cristina Siccardi

 

Fonte: Corrispondenza Romana

Torna in alto