Quando l’arte parla delle realtà divine – Intervista a Barbara Ferabecoli

di Cristina Siccardi – luglio 2018 (n. 135) Radici Cristiane

Barbara Ferabecoli, progettista di arte monumentale, ha realizzato nel mondo centinaia di opere e capolavori presso chiese, santuari, abbazie e istituti religiosi. Nonostante un percorso di studi di tutto rispetto, ciò che sa creare lo deve, in buona parte, oltre che alla propria creatività, anche alla scuola di un maestro russo, PiotrMerkury, nato in un gulag sovietico da una famiglia deportata in Siberia e poi trasferitosi in Italia. Conosciamo bene l’artista in quest’intervista.

 

Abbiamo incontrato Barbara Ferabecoli, progettista di arte monumentale, nel suo laboratorio di Roma. Qui realizza vera Arte Sacra, quella che non dialoga con il mondo, ma che si crea per Dio, per la fede e per trasmettere i contenuti trascendenti. Barbara Ferabecoli è nata a Roma nel 1967, dopo gli studi al Liceo classico, si è diplomata all’Accademia delle Belle Arti della capitale, nella sezione Pittura. Nel 1990 la Regione Lazio le ha rilasciato la qualifica di «Addetta alle lavorazioni di vetro, resine, mosaici e metalli per l’artigianato sacro». Ha poi conseguito il diploma in Scienze Religiose alla Pontificia Università Gregoriana (2007) e nella stessa Università ha ricevuto il grado di Baccalaureato in Teologia (2010). Dal 1989 si occupa specificatamente di Arte monumentale, nell’ambito dell’Arte Sacra, realizzando nel mondo centinaia di opere e capolavori in chiese, santuari, abbazie, istituti religiosi.Tuttavia, questa artista dal magnifico talento, alla quale non importa di apparire «perché le opere devono parlare delle realtà divine e non di me» (talvolta la sua firma non si legge neppure sulle vetrate che raggiungono anche i 15 metri di altezza) non ha imparato ciò che sa creare all’Accademia di Belle Arti perché in Italia le accademie sfornano ragazzi spesso incompetenti a motivo di una docenza che non fa più scuola, ma si occupa di arte contemporanea, astratta, autoreferenziale, narcisista, talvolta arte miserrima, senz’anima, senza abilità, sottomessa esclusivamente alle tendenze mercificate.Suo maestro è stato un russo, Piotr Merkury, nato nel 1951 in un gulag sovietico e scomparso nel novembre dello scorso anno. La sua famiglia era stata deportata in Siberia. Sua madre gli cucì una Croce, nascosta sotto gli indumenti perché la fede era un gravissimo reato per il Governo che propagandava in maniera martellante l’ateismo.Dopo rigorosi studi accademici a San Pietroburgo, si trasferì in Italia e la Ferabecoli, nel 1989, si mise alla sua scuola. Ed oggi ammiriamo i suoi capolavori, che rappresentano figure di Cristo regali, della Madonna nella sua incantevole bellezza e giovinezza virginale, di Angeli imbevuti di Cielo e di Santi folgorati dalla Grazia.

 

Come ha iniziato il Suo interesse, poi divenuta passione, per l’Arte sacra?

Ho sempre desiderato essere una pittrice,non è stata una scelta tra varie possibilità, ma assecondare un destino, ho capito però presto che il dono del talento andava educato e indirizzato, e che lo studio e l’approfondimento sono a fondamento di ogni professione, compresa quella dell’artista.

L’indirizzo dell’arte sacra poi si è sviluppato parallelamente al radicarsi della fede, credo che in questo ambito il mio talento trovi la sua naturale espressione, il tuttoè avvenuto in maniera lineare in un processo costante di maturazione,di presa di coscienza che continua ancora oggi con radicata convinzione.

Il fulcro del mio interesse sono le vetrate artistiche, le ho viste e studiate in giro per l’Europa, dove ci sono gli esempi più alti, non credo possibile progettare arte monumentale senza aver prima visto la Cattedrale di Chartres.

Nell’ambito della Sua specializzazione quali artisti ammira maggiormente?

Vorrei premettere chenel campo delle vetrate artistiche c’è un equivoco di fondo, esistono moltissimi laboratori che forniscono “vetrate d’arte Sacra” alle chiese facendo a meno della figura dell’artista oppure avvalendosi del lavoro di artisti non specializzati.

L’arte sacra non può e non deve essere ridotta solo a una questione di abilità professionale e, proprio per la sua specificità, l’artista ha un ruolo chiave e insostituibile.Chi sceglie di lavorare in quest’ambito deve compiere le sue opere con Fede, competenza e responsabilità.

Con Fede perché è il principio ispiratore. La Chiesa è il luogo sacro e di preghiera per una comunità di Cristiani che recita il “Credo”, perciò l’artista deve esprimere la propria creatività in qualcosain cui crede.Non è ipocritatrasmettere la verità di un messaggio che si ritiene falso?

Con competenza e responsabilità perché, fatto saldo il principio ispiratore, è fondamentale la formazione professionale e la scelta responsabile della modalità di espressione.

Nell’arte visiva degli ultimi cento anni si è assistito a uno stravolgimento tale da dichiarare lecita o dovuta una sconnessione tra contenuto e forma. Ma esiste un legame tra principio ispiratore, tecnica di lavorazione e modalità di espressione.

L’opera d’arte sacra, deve anzitutto tendere al bello, perché, come si legge nella lettera agli artisti di Papa Giovanni Paolo II,«la bellezza è in un certo senso l’espressione visibile del bene, come il bene è la condizione metafisica della bellezza». Il punto dirimente è come la bellezza può essere espressa.

Ammiro molto un artista recentemente scomparso, Piotr Merkury, che nelle sue opere d’arte lavorava per l’appunto con fede, competenza e responsabilità; è un grande maestro e ci ha lasciato opere d’arte mirabili,nelle quali -per citare san Tommaso, Integritas, debita proportio, claritas -raggiungevano il fine: trasmettere la bellezza del messaggio evangelico.

Attraverso le vetrate Lei dà un valore chiaramente fondamentale alla luce: ci può offrire una sua definizione?

La luce è un filo che percorre tutto il tessuto della Sacra Scrittura.Ogni arte religiosa ha nel suo fondamento il concetto di Dio /Luce.  Per altro la luceha il vantaggio di unire in séla dimensione trascendente (la luce è esterna a noi) e immanente (la luce ci avvolge, ci penetra, ci specifica). Il suo ruolo è quello rivelatore delle forme delle cose, che altrimenti rimarrebbero sconosciute, e quello simbolico di illuminare un cammino.

Le vetrate sono l’unica forma d’arte che vive di luce.

Furono gli scritti di Dionigi l’Areopagita del V secolo ad ispirare l’Abate Suger, padre dell’architettura gotica nel decorare Saint Denis, con le «più radiose vetrate», che dovevano avere  lo scopo di illuminare le menti degli uomini perché potessero giungere a comprendere la luce di Dio. Gli architetti medievali avevano talmente radicata questa convinzione che forzarono le regole architettoniche per realizzare, con quelle enormi superfici di vetrate, l’idea spirituale della «luce divina», così da riuscire nell’intento di donare l’atmosfera di un mondo Altro che ancora oggi possiamo avvertire entrando in una cattedrale gotica.

La luce, nelle altre forme di arte, viene “riprodotta”, applicata con l’aggiunta del bianco; nelle vetrate la luce non si può aggiungere perché è già lì, gli artisti medievali ne conoscevano la forza e la valenza all’interno del messaggio e avevano studiato esattamente le proporzioni del “bianco” luce e del “nero” ombra, questo per dire come la relazione tra la luce e Dio connaturasse il messaggio delle vetrate che non era solo e unicamente didascalico come spesso si dice, ma anche emozionale e devozionale.

Quanto tempo ha richiesto il Suo lavoro svolto per la chiesa di San Pietro Apostolo ad Albano Laziale?

Ho impiegato complessivamente più di un anno di lavoro, queste 14 vetrate sono molto complesse, composte da circa 5000 pezzi di vetro, solo il rosone ne conta più di 800, ma tutti i miei lavori hanno tempi di realizzazione piuttosto lunghi, lavorare con la luce richiede tempo e non posso, né voglio, velocizzare le procedure, in più c’è un lungo periodo di maturazione e di messa a punto del progetto che è alla base della buona riuscita dell’opera.

Ci sono stati lavori che hanno richiesto ancora più tempo?

Sì, ci sono stati lavori che hanno richiesto anni per essere portati a termine come la grande vetrata nella chiesa Nostra Signora di Valme di Villa Bonelli a Roma, che sto ancora completando. Questo accade non solo a motivo della dimensione o della complessità; i tempi si possono talvolta allungare per l’attesa delle autorizzazioni e il mio stile, non proprio in linea con la “moda” del momento, può incontrare delle resistenze. Non ho però mai accettato i compromessi a ribasso, non posso tradire le mie convinzioni, e quest’atteggiamento al limite dell’intransigenza alla lunga premia.

Quali sono le difficoltà che ha trovato lungo il Suo percorso nel proporre bellezza e sacralità?

Purtroppo mi sembra ci sia un generale abbrutimento culturale, e un capovolgimento delle categorie di bello, brutto, sacro, profano. Tutto sembra essere diventato discrezionale e opinabile. La direzione si è smarrita perché si sono persi i punti di riferimento: non più maestri, non più regole e un generale rifiuto della disciplina e dello studio.

Senza tutto questo mancano gli strumenti per creare il Bello che è a fondamento dell’arte sacra, eppure serve suscitare quel sentimento di bellezza, strada che porta a Dio, che è presente come archetipo dentro ognuno di noi. Le storture, le difformità, le bruttezze conclamate non raggiungono il sentimento profondo, ma si fermano a una sensazione epidermica, all’impressione momentanea, lasciando una sensazione d’inquietudine e di turbamento.  Il contatto con l’opera d’arte sacra che avvicina a Dio deve lasciare il cuore pieno di sentimenti di gioia, di gratitudine, di pace.

Sappiamo che le chiese moderne sono spesso povere, brutte, fredde, aniconiche, senz’anima, talvolta non sembrano neppure chiese, che cosa pensa un artista con il Suo credo, il Suo talento e la Sua preparazione di fronte a questo genere di edifici?

Mi rattrista, ma non mi sorprende, è un processo di laicizzazione cui si assiste da anni, le chiese stanno progressivamente perdendo il senso di misticismo, di santità, in una parola non sono più Belle e quindi rischiano di non sembrare nemmeno più Sacre, per quest’interconnessione di cui accennavo tra il bello e il sacro, le chiese sono diventate luoghi quasi multifunzionali ma poco adatte alla preghiera.

Ho potuto però sempre riscontrare nel mio lavoro che il fedele ha desiderio di bello e nostalgia dell’immagine.

Tutti desideriamo un dialogo personale con Dio, con la Madonna, con i santi e l’immagine, in questa comunicazione, riveste un ruolo fondamentale. Il compito dell’artista è creare un messaggio artistico di bellezza, di armonia, di gioia intrinseco all’immagine rappresentata, ma perché questo messaggio si sviluppi in tutta la sua completezza, la riconoscibilità dell’immagine è fondamentale.

La rottura con la tradizione iconografica di questi ultimi anni, ha avuto il suo limite in un linguaggio personalizzato, in una visione individualistica e per questo parziale, operando una forma di discriminazione culturale e perdendo di vista la priorità del messaggio che ha rischiato di retrocedere rispetto all’interpretazione personale del singolo artista.

Perché la committenza ecclesiastica stenta a richiedere creazioni atte a esaltare la bellezza e ad accompagnare le aspirazioni delle anime che entrano nelle chiese per incontrare la presenza di Dio? È una questione di gusti estetici o anche di dottrina e di teologia?

È una questione di gusti estetici, di dottrina e di teologia. Ognuno di noi, che in misura differente abbiamo la responsabilità di accogliere la devozione e condurre, accompagnare la fede, dovremmo avere la coscienza che il percorso da fare è verso l’alto…non assecondare la banalità ma elevarla, non ripiegare in una semplicità squallida con la presunzione di essere maggiormente compresi, ma essere coscienti che la fede rende l’uomo pronto ad accogliere naturalmente il bello, e che viceversa c’è più necessità di spiegare le ragioni del brutto. Il bello è atteso e auspicato, e il percorso inverso non è impossibile o impraticabile.

Ci può parlare dell’opera Battaglia per la Verità e del suo significato?

È un’opera composta fra il 2006 e il 2008, un trittico monumentale (61 x 170h le verità laterali, 370 x 170h la parte centrale, per un totale di circa 5 metri), la tecnica è tempera all’uovo su tela alla maniera degli antichi pittori rinascimentali, con interventi in foglia d’oro.

È stata l’occasione, in una commissione a tema libero, per mettere a frutto tutti gli insegnamenti appresi dal punto di vista tecnico fino a quel momento, così da esprimermi al meglio in una tematica che mi sta a cuore ancora oggi: la Verità.

Nel quadro sono ritratti due cavalieri, bloccati nel momento precedente lo scontro, ognuno difende la sua verità, eppure le due Verità, alle spalle dei due contendenti, non hanno bisogno di essere difese o contese perché la loro forza sta nella capacità di illuminare pur rimanendo agli occhi del mondo coperte di un velo di Mistero. La Verità è la Luce che dovremmo sapere accogliere dentro noi stessi, senza violenza, senza prevaricazione.

L’osservazione del quadro termina con l’osservazione di noi stessi riflessi in un piccolo specchio convesso posto al centro della composizione. L’opera d’arte svela un’interpretazione personale, ma interroga anche chiunque la guardi. Lo specchio convesso è al centro del quadro, dove sta un labirinto, che riproduce quello della Cattedrale di Chartres: figura geometrica circolare inscritta sul pavimento della navata centrale e che rappresenta un percorso continuo che va dall’esterno all’interno del cerchio, con una successione di curve e archi di cerchi concentrici.

Perché la bellezza aiuta le persone a migliorarsi?

Giovanni paolo II chiama gli artisti «geniali costruttori di bellezza». Mi sono sentita molto responsabilizzata da questa affermazione. La bellezza è un linguaggio universale, intrinseco al messaggio divino e se l’opera d’arte è bella non c’è bisogno di alcuna didascalia o spiegazione, è universalmente capita, recepita, contemplata, così come il linguaggio che essa interpreta.

Non percorrere la Via Pulchritudinis costituisce la nostra decadenza e la nostra povertà, bisogna avere occhi aperti e saper cogliere e accogliere la Bellezza prima dentro di noi per riconoscerla poi nelle opere d’arte e nella vita.

Torna in alto