San Rocco di Montpellier, protettore contro la pestilenza

 

Sono migliaia e migliaia le preghiere di aiuto per fermare l’epidemia del Covid-19 che giungono al sito sanfrancesco.org, che inquadra la tomba di san Francesco d’Assisi in diretta Webcam. Le maggiori invocazioni al Patrono d’Italia arrivano da una nazione che, all’improvviso, si vede travolta da un’emergenza pandemica tanto misteriosa quanto indicativa di un mondo che ha perso il reale senso della vita e il timor di Dio.

Il direttore della sala stampa del Sacro Convento, padre Fortunato, sostiene, sullo stesso sito, che «la preghiera che ci sta raggiungendo attraverso sorella rete manifesta un’Italia solidale, unita e pronta a leggere un senso e un significato profondo, non quello del castigo di Dio, ma quello di fare emergere nuove possibilità». Lettura, questa, dal sapore modernista. Avendo perso il timor di Dio si è anche perso il senso del peccato, che procura l’offesa a Dio, e i peccati richiamano i castighi divini, come insegnano le Sacre Scritture e recita l’Atto di dolore: «Mio Dio mi pento e mi dolgo dei miei peccati, perché peccando ho meritato i Vostri castighi e molto più perché ho offeso Voi infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa…». I dolori, le sofferenze e le prove sono castighi che fanno sorgere delle opportunità di conversione. Così, questi drammatici nostri giorni, possono essere occasione di rinsavimento per le coscienze, ma certamente anche per ristabilire nuovi e più saggi criteri nelle piccole o grandi scelte nella propria microstoria (quella di ognuno), sia nella macrostoria (quella delle collettività). Le persone, nel momento del bisogno acuto e della paura, si aggrappano al trascendente ed è per questo che tornano a chiedere a gran voce il soccorso a Dio, a Maria Santissima, ai Santi.

Ci sono, nella storia della Chiesa, alcuni santi maggiormente invocati nei momenti delle calamità epidemiche, in particolare san Sebastiano (256-288), sant’Erasmo di Formia (?-303), san Francesco da Paola (1416-1507). Ma il primo in assoluto è san Rocco, terziario francescano, il santo più invocato, dal Medioevo in poi, come protettore dal flagello della peste. La sua popolarità continua ad essere ampiamente diffusa e con il propagarsi del Coronavirus molti si stanno a lui affidando in Italia e nelle comunità cattoliche dell’Estremo Oriente, come nelle Filippine, ad Hong Kong e Macao. Recita il Messale Romano il giorno 16 agosto: «In Lombardia, san Rocco, che, originario di Montpellier in Francia, acquistò fama di santità con il suo pio peregrinare per l’Italia curando gli appestati».

Rocco di Montpellier, nato fra il 1345 e il 1350, fu pellegrino e taumaturgo. Il suo patronato si è progressivamente esteso alle catastrofi dovute alle epidemie, alle malattie molto gravi, ai terremoti. Nella sola Italia è il patrono di oltre cento comuni ed è il compatrono di molti altri fra cui Napoli. Con il trascorrere dei secoli è divenuto uno dei santi più conosciuti in Europa, nelle Americhe e in Asia, grazie anche alla presenza dell’Ordine francescano. Le prime fonti agiografiche concordano sulle origini di Rocco, nato da una famiglia benestante di Montpellier, in Francia, probabilmente i Delacroix, notabili e consoli della città. Secondo il più antico e affidabile testo anonimo medievale, l’Acta breviora, composto il Lombardia intorno al 1430, la sua nascita era seguita ad un voto fatto dai suoi genitori avanti negli anni. La madre fu sua catechista, che lo indirizzò verso una profonda devozione alla Madonna, spingendolo, fin dalla nascita, a diventare «servo di Cristo» per seguire Gesù nelle sofferenze terrene prima di accedere alla gloria celeste. Di viva intelligenza, studiò fino a vent’anni all’Università di Montpellier, per poi sposare in toto la spiritualità francescana, tanto che decise di entrare a far parte del Terz’ordine di san Francesco. Con la morte dei genitori lasciò, come frate Francesco, ogni ricchezza, distribuendo tutti i beni ereditati ai poveri e, per assolvere ad un suo voto, s’incamminò in pellegrinaggio verso Roma.

Rocco, iconograficamente parlando, viene sempre rappresentato come un uomo nel pieno del vigore, alto di statura, quasi sempre con la barba, segno distintivo del viandante. Impugna il bordone dei pellegrini, possiede una borraccia e il tascapane, accessori che lo avvicinano a san Giacomo e a san Pellegrino. Nell’arte italiana è spesso presentato con un giustacuore rosso ed un mantello di ruvida stoffa, in conformità alle indicazioni fornite dal suo veneziano biografo, Francesco Dieto. A volte, accanto al santo, nei dipinti si nota la presenza di un angelo e di un cane. L’angelo interviene talora come annunciatore della peste, che lo stesso Rocco contrasse, talaltra come consolatore del malato o anche in atto di medicare il bubbone infetto della sua gamba. Questo ruolo di infermiere è conforme alla tradizione che vuole che il santo sia stato visitato e guarito da un angelo. L’animale a volte lecca le piaghe dell’appestato, ma quasi sempre è accanto al santo e reca in bocca o fra le zampe una pagnotta. A partire dal XVI secolo compaiono in tutta Europa veri e propri cicli di dipinti e di vetrate che rappresentano i principali episodi della vita del santo di Montpellier, come quello del Tintoretto nella celebre Scuola di San Rocco di Venezia o le vetrate di Saint-Étienne d’Elbeuf.

Arrivato in Italia durante l’epidemia di peste, fra il 1367 e il 1368, Rocco non solo non fuggì, ma andò a soccorrere i contagiati. Il pellegrino francese, tra l’altro, aveva già conosciuto l’epidemia nella sua giovinezza e nella sua città (1358 e 1361) e in quel tempo aveva scoperto la sua vocazione di carità. Acquapendente, in provincia di Viterbo, fu la prima tappa fondamentale del suo pellegrinaggio. Vi giunse fra il 25 e il 26 luglio del 1367, e qui incontrò Vincenzo, molto probabilmente direttore dell’Hospitale di San Gregorio, che gli permise di accedere a quel luogo di dolore. Su invito di un angelo, san Rocco benediva gli ammalati con il segno della croce e all’istante li guariva, toccandoli con la sua mano taumaturgica… e l’epidemia venne domata e spenta. I miracoli contro malattie ed epidemie, per sua intercessione, si moltiplicarono anche in altre città. Rimase a Roma tre anni, curando gli ammalati dell’Hospitale di Santo Spirito. Probabilmente curò e guarì un cardinale non bene identificato, ma che potrebbe essere, secondo alcuni storici, Anglico de Grimoard, francese originario di Grisac, nonché fratello di papa Urbano V (1310-1370), il quale, durante un’udienza, avrebbe presentato Rocco al Pontefice, che rimase profondamente toccato da quel giovane. Il viaggio di ritorno a Montpellier venne interrotto ancora dalla peste, in corso a Piacenza. Rocco si fermò per prestare soccorso ma, nell’assistere gli ammalati, probabilmente quelli dell’Hospitale di Santa Maria di Betlemme, contrasse il morbo. Al fine di non contagiare altri a sua volta, si nascose dentro una grotta o capanna lungo il fiume Trebbia, sulla via Francigena. Sarebbe morto di fame se, come racconta la tradizione, un cane non avesse provveduto a portargli il pane, sottratto alla mensa del suo padrone e signore del luogo. Forse si trattava di Gottardo Pallastrelli del castello di Sarmato. Il nobiluomo, seguito il cane per i tortuosi sentieri della selva, giunse fino al rifugio di Rocco: lo soccorse e lo curò.

Il santo, mai sazio di carità, fece ritorno nei lazzaretti di Piacenza e quando la città fu libera dalla peste, si ritirò nella selva per occuparsi di coloro che erano ancora appestati, insieme a molti altri piacentini, divenuti suoi discepoli. L’antica tradizione vuole che il santo sia tornato a Montpellier, mentre le scoperte successive concordano sul fatto che egli si fermò a Voghera, in provincia di Pavia (gli errori e le alterazioni di dizione, crearono una confusione con Angera, in provincia di Varese). Sfigurato dalle prove e dalla peste, avvolto da poveri e polverosi panni, giunse al confine della città, non passando inosservato, neppure dalla vigilanza delle guardie. Quando gli chiesero chi fosse, lui rispose: «un umile servitore di Gesù Cristo». Fu allora accusato di essere una spia, perciò venne legato e condotto di fronte al governatore. Rocco non si ribellò e dopo cinque anni, che egli visse come un purgatorio per l’espiazione dei suoi peccati e dei peccatori, morì in carcere nella notte fra il 15 e il 16 agosto di un anno imprecisato, fra il 1376 e il 1379.

Al fianco della salma venne ritrovata una tavoletta, sulla quale erano incisi il nome di Rocco e le seguenti parole: «Chiunque mi invocherà contro la peste sarà liberato da questo flagello». La tradizione racconta che il corpo venne riconosciuto da una dama – nonna di Rocco e madre del governatore – grazie alla croce rossa impressa sul petto. Il pentimento, per aver provocato quella dura morte ad un innocente, investì molti cittadini. Fu così che Voghera con le zone circonvicine del piacentino, divenne il luogo del primitivo culto al santo. Dapprima il pellegrino di Dio venne accolto in una delle chiese di Voghera per poi, dopo alcuni temporanee traslazioni (prima nella chiesa di San Geminiano a Venezia, in seguito nel palazzo del patriarca di Grado, nella chiesa di san Silvestro), trovare destinazione definitiva, il 3 marzo 1490, nella nuova chiesa di San Rocco a Venezia. Nel 1590, papa Sisto V (1521-1590) chiese al legato veneziano a Roma, Alberto Badoer, di procurargli informazioni sulla vita e sui miracoli del santo, in modo da poterlo canonizzare. Gregorio XIV (1535-1591) fece iscrivere il suo nome nel Martirologio romano, il giorno seguente l’Assunzione di Maria Vergine. Il 16 luglio 1629 Urbano VIII (1568-1644) invocò «per sé e per tutto il popolo romano» la protezione di san Rocco contro le epidemie, per poi approvare definitivamente il suo culto con un breve apostolico il 26 ottobre dello stesso anno. E ancora, nel 1694 Innocenzo XII (1615-1700) prescrisse ai Francescani di celebrare la sua festa con rito doppio maggiore. Oggi, quando finalmente molti in Italia non si illudono più e chiacchierano meno, rendendosi conto della gravità di questo flagello in corso, stanno riscoprendo, nelle loro case, nel silenzio, nel raccoglimento e nella preghiera, la potenza intercessoria dei prediletti di Dio, come san Francesco d’Assisi e san Rocco di Montpellier.

 

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